In esposizione una selezione di lavori di Dejavu, Francesca Libardoni, Margherita Calzoni e Maria Cristina Neviani. A cura di Deborah Petroni.
a cura di Deborah Petroni
Dejavu
Francesca Libardoni
Margherita Calzoni
Maria Cristina Neviani
Dipingere è un avvenimento che sposta continuamente il fuoco della visione, costringe a oltrepassare il cono ottico
scrutando le ombre come impronte di una realtà supposta quale immagine. La dialettica artistica di Francesca
Libardoni pare condurre a questo spazio indefinibile e indeterminato entro il quale la figura non viene riconosciuta
se non come evocazione di sé medesima: il consistere dell'ombra, della luce nascosta, descrive il quadro come luogo
ambivalente, episodio deputato alla simulazione, alla ridefinizione di un linguaggio visivo denso di evaporate
sedimentazioni irrisolte.
La lucidità e la radicalità della visione sembra trovare alimento all'interno del proprio sviluppo, anticipando ad ogni
nuovo sguardo una particolare necessità di ricostruzione e ridefinizione.
Disperdendo l'inessenziale l'artista conduce una sorta di polverizzazione diffusa, la ricerca di una diversa identità
vissuta come occasione in cui orientare una possibile dimensione priva di misure o costrizioni. La contingenza del
veduto diviene l'immanenza della visione.
Le note si richiamano per simpatia e dissonanza ricostruendo la trama sottile di un gioco in cui la temporalità
musicale trascende nella dinamizzazione ed elaborazione dello spazio.
Le immagini costruite da Maria Cristina Neviani si affermano attraverso molteplici suggestioni in cui legami e antitesi
convergono a completare il tempo totale dell'opera: nel quadro tutto è simultaneo, la propria identità appare come
un decorso temporale che trattiene il respiro. La sua sintesi consiste allora nel commutare ogni principio formale
nella struttura dell'unità determinata dai vari momenti del dipinto. La concezione di una dimensione assoluta
ulteriormente sottolineata dall'uso di pigmenti luminescenti che intrappolano la luce e ne rilasciano al buio gli
effetti:il quadro vive così di due momenti distinti, a loro volta suddivisi e sbriciolati in istanti successivi infiniti
attraverso i quali lo scheletro dell'immagine rivela la propria anima confondendosi con la sostanza della materia.
Ogni porzione, ogni aspetto dell'opera diviene la punteggiatura necessaria per riuscire ad intendere l'intera scrittura
artistica che, nell'impermanenza dei propri confini, diviene il plurale di sé medesima, in una convergenza e
stratificazione formale manifestata come principio identitario.
L’opera pare abbandonarsi alla propria situazione, di volta in volta particolare, nell’istante esatto in cui sussiste la
condizione perché riesca a superarsi, a ridefinire il proprio apparato percettivo e ad accettare la conformità delle
proprie varianti.
All’interno di tale ampliamento del concetto di forma il lavoro di Margherita Calzoni muove dalla volontà di
regolare la materia tramite un ordine mosso da un rigore interno. Un’opera che non nasce dalla
destrutturalizzazione di un’immagine: l’idea è una necessità sostanziale dell’artista che nasce in quanto pura,
visualizzazione di un concetto capace di intrappolare il senso profondo della materia e restituirlo sotto forma di
opera d’arte in sé completa e conchiusa.
Dettaglio sostanziale diviene il filo, tessitura che imbriglia e tende a modellare o circoscrivere l’esuberanza
debordante della materia. Istanza fondamentale si rivela la volontà e capacità di educare la caoticità della sostanza
pittorica. L’opera diviene immagine elaborata da una sensibilità regolatrice che accetta il caos solo nell’ipotetica
possibilità di razionalizzazione, superando il conflitto tra idea e materia.L'immagine, nell'opera di Dejavu, supera la dimensione puramente visiva per divenire linguaggio, sistema
comunicativo autonomo e concluso, profondamente strutturato al proprio interno.
La particolare semplicità e linearità delle forme, la netta precisione del colore, la ricercata reiterazione del simbolo o
dell'immagine perdurante non paiono costituirsi come associazioni o rappresentazioni allegoriche, ma sono il
risultato di visualizzazioni empiriche tra loro relazionate e qualificate da uno spazio ed un tempo assoluti, in assenza
dei quali non si avrebbe nemmeno quella simultaneità sintattica che procede per immagini e di immagini si
autoalimenta.
Da sottolineare – nella poetica dell'artista – l'importanza del tema del “doppio” o, meglio, del “multiplo”:
mantenendo come punti di riferimento pochi, imprescindibili elementi costitutivi (valgano, su tutti, il geco o il pesce
scarnificato ) Dejavu costruisce un intero universo all'interno del quale l'icona sia il traslato visivo di più ampie
formulazioni di pensiero, immediatamente riconoscibili e “sintetizzate” nel breve istante della visualizzazione
formale.
L'opera diviene – in tal senso – autentico correlativo oggettivo, stratificazione di differenti ed ulteriori circuiti
intellettivi. L'immagine, parlante ed eterodiretta, assume allora l'autenticità sintetica dell'ideogramma ( si pensi al
maquillage che come una scriptio continua percorre il corpo dei suoi pesci, ad accorciare le distanze con tanta arte
primitiva ed automatica ed avvicinandosi sensibilmente ad una particolare inclinazione dei primi street artists
americani ).
Alberto Gross
Inaugurazione: sabato 10 maggio, ore 18
Galleria Wikiarte
via San Felice, 18 - Bologna
da martedì al sabato dalle 11.00 alle 19.00 orario continuato
domenica e lunedì chiuso
Ingresso libero