In esposizione una selezione di lavori pittorici di Roberto Tomba, Stefano Niccolini, Feofeo, Lucio Ranucci.
a cura di Deborah Petroni
Ogni movimento di pensiero diviene trasfigurazione ironica e tragica assieme, la visionarietà si
pone come elemento contrastivo assoluto, declinato nei tratti stilizzati di forme uniche in
continuità nello spazio. Alla base del linguaggio pittorico di Roberto Tomba vive un atteggiamento
poetico, un complicato sistema di relazioni segniche che legano le immagini tra loro illuminandone
i significati, rielaborando una materia complessa e stratificata di storia individuale e collettiva
assieme. Il dialogo con la realtà, il favoleggiamento fulmineo ed improvviso che si sovrappone al
quotidiano è il naturale controcanto di dipinti che nella riflessione filosofica – così come nel
risvolto psicologico – trovano una propria, ulteriore collocazione.
La mitologia ( intesa quale
insieme di suggestioni e simboli di un codice accettato e decodificato ) diviene allora mitopoiesi,
costruzione di una storia che produce e continuamente reinventa per sé stessa significati ulteriori
e rinnovati.L'allusività dell'immagine costruita da Tomba integra relazioni complementari cercando
sempre l'altro da sé, disponendosi ad accogliere, non ad escludere.
I colori netti e decisi, le forme pure e lineari, prive di incertezze o tentennamenti, traducono sul
piano formale una polisemia estrema: il suo sistema psicologico trova continuità nel sistema
segnico – anche meramente grafico – facendo dell'opera una sorta di serbatoio di esperienze,
luogo prediletto di decantazione di accadimenti, reali anche quando solamente supposti.
L'esperienza biografica intensa, avventurosa di Lucio Ranucci, vissuta attraverso Paesi che lo
hanno visto occupato nei mestieri più disparati, ritrova il proprio naturale correlativo oggettivo
nella sua pittura, estrema e rigorosa, dai tratti duri, spigolosi, ma così incisiva e icastica in una
lettura che si spinga oltre e al di là della soglia del visibile. Sono i colori a determinare i movimenti
dialettici del pensiero, ad espandere e spezzare le tensioni che creano le forme, i rapporti
dimensionali nello spazio. Più volte, considerando le proprie opere cinematografiche,
Michelangelo Antonioni diceva che la storia, la narrazione, non era altro che un fatto, un puro
accadimento, mentre era il colore, nel suo rapporto con i vari tempi e dimensioni dell'immagine, a
stabilirne la qualità. Allo stesso modo, probabilmente, in Ranucci dove la reiterazione del soggetto
( la donna che legge, l'interno con i due amanti, le varie scene di mercato ) è pretesto per una più
ampia analisi dei rapporti e delle situazioni umane: la storia narrata diviene simbolo e referente di
una Storia universale, visione e interpretazione di un'intera “commedia umana”, per dirla con
Balzac. L'accostamento ardito di colori violenti, pieni, contribuisce a costruire uno speciale senso di
saturazione dello spazio di ascendenza cubista, solidamente bilanciato in nuclei cromatici che
articolano l'immagine scomponendola in piani animati progressivi.
Caratteristica fondamentale che
riguarda ogni personaggio dipinto da Ranucci è la totale assenza di sguardo: attraverso due
semplici cavità nere il volto si riappropria della maschera, recuperando il significato profondo che
la parola “pròsopon” aveva nella civiltà classica: la persona, l'anima, la reale essenza dell'individuo.Il maestro produce così una sorta di umana archeologia contemporanea, una analisi storica che
sorpassa il tempo sbriciolandolo nell'istante universale.
Il pensiero praticato diviene visione simultanea, scaturigine e sviluppo di quanto vive della propria
naturale essenza, sbriciolando ogni tipo di sovrastruttura o falsificazione d'immagine.
L'intero procedimento artistico di Feofeo genera una complessa trama di colore esposta in sintesi
estrema, priva di restrizioni, senza mediazione alcuna: lo straniamento si produce in forma di
ipotesi, erosione spazio-temporale, rottura e proseguimento di una consequenzialità logica,
eversione di ogni ordine fisico e spirituale.
L'indeterminatezza asimmetrica prodotta dall'uso del colore diviene uno speciale tema lessicale,
frase sincopata tra le cui righe possa leggersi il carattere centrale di un contesto intimo, personale
tanto quanto collettivo ed universale. L'autenticamente soggettivo si produce allora come
nient'altro che un'ulteriore forma di oggettivo: dilata le possibilità di rappresentazione esprimendo
universalmente fenomeni che possono accadere soltanto nel cerchio di una data personalità. Per
questo il lavoro dell'artista può rivelarsi come alchemico, sia a livello visivo che semantico:
alchimia è tutto quanto trasforma, conduce, traveste, introduce e depista, muta di sostanza e
scinde, da uno sfondo magmatico ad uno lucido, oscuro e limpido insieme.
Attraverso la
scomposizione e ricostruzione degli elementi primari del colore, Feofeo tende a confrontarsi con
un tipo di arte liquida, biomorfa, capace di modificarsi e modificare – ad ogni singolo sguardo – la
percezione intera dell'immagine. La forma è idea dinamica, ipotesi metafisica trasformatrice, in
grado di prendere per mano il pensiero e trasportarlo oltre, avanti, entro il virtuosismo congelato
della temporalità immobile.
Se la fotografia non è che l'interrompersi di visioni successive ed ulteriori, ciò che ne si ricava sarà
un'assenza immobilizzata, privata dell'apertura alla possibilità di un ritorno.
Il lavoro di Stefano Niccolini procede – in questo senso – verso una particolare forma di
contemporanea trascendenza che, mantenendo come poetica assoluta la centralità del corpo,
rivela a poco a poco una cifra stilistica fondata sopra un tipo di rappresentazione radicale.
La visione resta costantemente costruita sull'equilibrio di due polarità estetiche, ora esteriorità ed
ora introspezione, specchio – a loro volta – di due più grandi categorie formali: quella che
concerne il visibile (simmetria), e quella che si affida all'intuibile (armonia).
“La fotografia perviene all'arte attraverso il teatro” scriveva R. Barthes, teatro che sia – prima di
ogni altra cosa – dubbio ed interrogazione. Gli scatti di Niccolini ( costruiti e realizzati attraverso la
cura di ogni singolo dettaglio dell'immagine) rimangono continuamente in bilico sopra un qualcosa
di irrisolto: la dualistica fascinazione per le ambientazioni – da una parte fastose, dall'altra scabre
ed essenziali – così come la quotidiana battaglia tra esterno ed interno, un percorso conoscitivo
iperbolico che dal dato oggettivo ammaliante conduca allo svelamento di un'introspezione.
Nella neutralizzazione del “corpo/immagine” si compie e si realizza l'idea visiva che ne restituisce il
corrispettivo sensibile. La superficie del “veduto” viene oltrepassata dalla stratificazione della
“visione possibile”, liberando il ritmo verbale del proprio – particolare – linguaggio interiore.
Alberto Gross
Presentazione a cura di Alberto Gross
Sponsorizzata e pubblicizzata da:
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Inaugurazione: sabato 24 maggio, ore 18
Galleria Wikiarte
via San Felice, 18 - Bologna
da martedì al sabato dalle 11.00 alle 19.00 orario continuato
domenica e lunedì chiuso
Ingresso libero