30 disegni. I disegni si inseriscono in un percorso tracciato a cavallo tra tradizione e innovazione, la tradizione del grande rinascimento toscano e della cultura etrusca, e l'innovazione di un artista che vive in pieno le contraddizioni della nostra epoca.
30 disegni
Inaugurazione sabato 28 febbraio ore 17.00
Marco Fidolini è nato e vive in terra di Toscana, a San Giovanni Valdarno. Dalla
cultura e dall'arte di questa sua bella terra, egli ha ereditato vari elementi
che in qualche modo sono entrati nelle sue opere. I disegni che possiamo
ammirare nell'esposizione presso la Galleria Civica Ezio Mariani si inseriscono
in un percorso tracciato a cavallo tra tradizione e innovazione, la tradizione
del grande rinascimento toscano e della cultura etrusca, e l'innovazione di un
artista che vive in pieno le contraddizioni della nostra epoca.
Si tratta di contraddizioni che Fidolini non vuole nascondere o giustificare.
Anzi, citando Gorge Grosz, egli è convinto che, per quanto possano far male, la
durezza e la brutalità compongono una realtà davanti alla quale non è possibile
chiudere gli occhi o accontentarsi di guardarne la fragile apparenza imposta
dalla visione mediatica oggi imperante.
Marco Fidolini è un artista coraggioso e siamo contenti che Seregno ospiti le
sue opere, con l'augurio che i visitatori della mostra possano esserne colpiti,
nel bene o nel male, comunque al di là di una inutile acriticità .
Claudio Riva
Gigi Perego
Visibilità invisibile e veggenza
«Durezza, brutalità , la lucidità che fa male!
Di musica per addormentarsi ce n'è già abbastanza».
George Grosz, 1918
Nell'introduzione a Il Tragico quotidiano Giovanni Papini rifletteva acutamente,
quasi un secolo fa (1906), su alcune improvvide omissioni desunte dall'ordinario
della condizione umana scrivendo, tra l'altro: «Noi siamo abituati a questa
esistenza e a questo mondo, non ne sappiamo più vedere le ombre, gli abissi, gli
enigmi, le tragedie e ci vogliono ormai degli spiriti straordinari per scoprire
i segreti delle cose ordinarie. Vedere il mondo comune in modo non comune: ecco
il vero sogno della fantasia».
E quel vedere imporrebbe più di una riflessione soprattutto se comparato con
l'ingannevole sinonimo guardare che in tempi di esasperate apparenze ha
ingabbiato fantasia e coscienza critica.
C'è semmai da aggiungere che quel frammento letterario illuminato dai riverberi
di Schopenhauer e Nietzsche - quasi un'iperbole visionaria per quegli anni -
riafferma e compendia, oggi, tutta la sua ruvida e desolante verità fino a
superare le prefigurazioni più ardite di una traiettoria esistenziale che pareva
solo il lamento uggioso di un poeta.
Ma la visione mediatica e - comunque - l'apparenza del visibile omologato che
trapassano ogni confine geo-culturale in quel seducente turbinio del diorama
globale hanno dilatato a dismisura il nostro sguardo e, paradossalmente, occluso
la nostra vista; e poi contribuito a ridurre e sopire l'epifania dell'attesa per
infiacchirla, abbagliata, nelle pupille asservite allo spettacolo dell'evento
ostentato o consumistico.
Insomma un'appagante visibilità invisibile, sovente sminuita, che rimanda
all'introduzione papiniana (e nel contempo alle implicazioni più strettamente
artistiche di questa rassegna), eppure operosamente assimilata quasi a fiaccare
ogni consapevole contrapposizione. Così anche l'indagine delle cose ordinarie
che affollano l'inventario del nostro quotidiano cede sempre più l'ossimoro
passione e distacco a modelli preordinati e conformi, a bisogni indotti ed
effimeri, a soggezioni socio-culturali di stampo esclusivamente statunitense
subiti o, ancor peggio, fortemente anelati. E poi la consuetudine al banale
piagnisteo sul crollo delle ideologie e lo spaesamento per la perdita di alcuni
valori sempre più desueti che alimentano, peraltro, una condizione di ulteriore
asservimento alla pianificazione planetaria di un'altra e inesorabile Fattoria
degli animali.
Allora, in un simile contesto, anche le autonomie - per non dire delle
contrapposizioni - sembrano perseguire irrilevanti e ostinate utopie perfino in
quell'ambito magico-visionario che l'arte trattiene da sempre. Forse
ineluttabili naufragi, questi, nella nuova e confortante dimensione collettiva;
ma pure una possibile via di fuga dalla gabbia devastante dell'ordinario per
ricuperare quello straordinario di ogni individuale fantasia. Ed è proprio
attraverso l'indagine della visibilità comune che l'arte percepisce mutamenti e
veggenze fino a lambire inesplicabili profezie come la ferita di Apollinaire che
de Chirico anticipò di qualche anno sulla sagoma dipinta del poeta, o le
apocalittiche premonizioni guerresche dei quadri di Ludwig Meidner. Ma al di lÃ
di ogni eccesso profetico la prefigurazione dei mutamenti sta nell'ordine comune
delle cose stesse e basta saperla cogliere o, meglio, vedere.
Su queste premesse, ormai radicate nel mio linguaggio da qualche decennio, si
aggrumano una serie di rimandi culturali che attingono idealmente alla grande
tradizione rinascimentale toscana e nordica per giungere fino al Novecento di
area metafisica o a quello tedesco affine alla Neue Sachlichkeit e al Magischer
Realismus. L'ulteriore richiamo formale alle radici figurative della cultura
italica - quella etrusca in particolare, almeno in un ciclo di opere eseguite
sul finire degli anni Novanta - interviene a complicare la ragnatela metabolica
della mia produzione artistica ma forse anche ad esaltare le suggestive
antinomie per lungo tempo intrecciate. Un apparente garbuglio di inquiete
presenze repulsive e ugualmente affascinanti, cariche di passione e di algore,
ostinatamente puntate sui destini dell'uomo perfino - credo - con intento
gnomico. Destini e riflessioni che attraverso il taglio sostanzialmente
metropolitano e il repertorio tecnologico, assunti a teorema iconografico fin
dagli esordi, si sono via via ordinati a misurarsi in una sorta di sfida, certo
ambiziosa e impari, con alcuni esempi della tradizione pittorica congeneri al
mio linguaggio. Questo ha comportato un'amplificazione dell'assillo - quasi
ossessivo - per il rigore formale e lo sguardo oggettivo. Si sono accentuati
così gli interrogativi sulle possibili collocazioni temporali e i relativi
riscontri ordinari; e con essi i disagi psicologici, le inquietudini
esistenziali, l'ottica visionaria, l'inanità degli oggetti e dei sembianti e,
magari, le ombre minacciose che velano il nostro presente. Anche i pretesti
autobiografici hanno subìto impietosamente l'operazione di estraniamento per
divenire un altro perturbante. Il quadro generale si è affollato di sospensioni
negative e forse di inquietanti presagi ma anche di un'accorata partecipazione
alle pieghe turbolente del presente e ai suoi ineluttabili contraccolpi. Ed è
probabile che tutto ciò risulti, a volte, sgarbato o repulsivo soprattutto in
tempi di fughe dalla realtà e da noi stessi, insomma dalle cose ordinarie.
Infine, tra Schopenhauer e Nietzsche - timonieri della Metafisica dechirichiana
e inquieti suggeritori di qualche protagonista della pittura tedesca degli anni
Venti - s'infila, ancora aguzza, la voce di Papini: «Credo che il terrore è più
grande quando è prodotto dalla riflessione su cose o fatti che sono di tutti».
Marco Fidolini
Orario di apertura:
Feriali: 16.30 - 19.00
Festivi: 10.00 - 12.30 e 16.30 - 19.00
Galleria Civica Ezio Mariani
Via Cavour, 26 - Seregno (MI)