De la pertinence du vide / Della pertinenza del vuoto. Carte colorate, ritagliate e incollate, e fotografie di paesaggi, propongono una visione discreta e originale sul mondo e sull'interazione con il mondo.
Geneviève Rocher, artista quebecchese, riporta a La Nube di Oort il fascino di un arte sottile cui spirito questa galleria ha già avuto modo di presentare al pubblico romano in varie mostre di artisti provenienti dal Québec. Le opere in mostra, carte colorate con varie tecniche, ritagliate e incollate, e fotografie di paesaggi urbani o di natura che includono carte lavorate e con ampi ritagli, propongono una visione discreta e originale sul mondo e sull’interazione con il mondo. Esiste una forte affinità con la topologia in queste opere, offrendo un’ottima chiave di lettura che suggerisce, mediante i pieni e i vuoti, la cromaticità attentamente studiata, l’inserimento di pezzi di giornale e i moduli continuamente variati, un mondo interconnesso e in continua trasformazione, seppur nella sua fragilità. La topologia diventa insomma lo strumento d’indagine, come nella fisica.
Le stesse carte colorate e ritagliate sono usate anche in un’opera sviluppata appositamente per la galleria, per creare una sorta di vetrata, che filtra e separa i mondi esterno ed interno.
Molto originale appare l’uso che Geneviève Rocher fa delle carte intagliate in alcune fotografie esposte nella mostra, interponendole tra spettatore e veduta. Un filtro interpretativo del paesaggio che finisce con l’insinuarsi tra i ritagli. Come scrive Rosa Pierno nel commento critico alla mostra: “Non certo una semplice ricerca di tipo analogico che studi le corrispondenze tra geometria/realtà e topologia/paesaggio. Sia chiaro, nemmeno questo sarebbe lavoro scontato per le implicazioni che inevitabilmente un simile accostare comporta, anche in relazione allo sfondo storico che aggancia. Eppure, la costruzione, nella ricerca di Geneviève Rocher, non è semplicemente concettuale, come tanta arte dell’età contemporanea ci ha proposto. Qui, si costruisce l’immagine tramite due sistemi di rappresentazione che si fondono, pur se contrapposti.
La fotografia è di per sé un mezzo che in ogni caso trasforma tramite ripresa il reale, ritagliandolo dalla visuale umana, alterandone l’aspetto tramite sfocamento o colori. Inoltre, l’immagine fotografata diviene sfondo rispetto a un ulteriore piano individuato dall’elemento che l’artista canadese tiene sospeso a mezz’aria, dinanzi all’obiettivo, e questo elemento miracolosamente rappresenta, in un precipitato formale e coloristico, il senso del paesaggio: sorta di essenza ricavata figurativamente, in cui sono presenti, come riassunti in uno schema, elementi appunto analogici o contraddittori, in ogni caso desunti dagli elementi presenti nello scorcio fotografato. Dicevamo miracolosamente perché solo nell’istante in cui li vediamo corrispondersi, riconosciamo che le caratteristiche dell’elemento ci sembrano desunte da quelle dello sfondo. La fusione che l’immagine nell’immagine procura (e vorremmo a questo punto non tacere che il gioco del quadro nel quadro è di shakespeariana ascendenza) sbaraglia la categoria del concettuale e inaugura un’opera che si pone nel solco della complessità.”
Le sue immagini filtro – aggiungeremmo – diventano, quando unite alle fotografie delle città d’arte, omologhe alla quintessenza stessa dell’architettura: la gestione del vuoto (archi, aperture, forme, volumi interni etc.). Come suggerisce d’altronde il titolo della mostra che parla appunto “De la pertinence du vide / Della pertinenza del vuoto”.
Inaugurazione venerdì maggio ore 18.15
La Nube di Oort
via Principe Eugenio, 60 Roma
mar-ven 17.30-19.30
ingresso libero