Dona Jalufka
Paula Metallo
Noemi Agosti
Laura Beleggia
Giulia Betti
Eleonora Bracalente
Gabriele Carloni
Daria Carpineti
Morris Castorio
Sara Virginia
Ceccarelli Teresa
Dimartino Matteo
Evandri Matteo
Fiordelmondo
Arianna Fiorentino
Alessia Galassi
Alessandro Gianbartolomei
Francesco Gioacchini
Alessio Giulioni
Jose Manuel Guasco Vital
Hong Meiyi
Diana Kostelyanchir
Rebecca Lamona
Matteo Lorenzini
Luo Tian
Maria Martinez
Linda Marzioli
Isabel Mirallas
More' Francesca
Luca Olivieri
Viola Ortenzi
Jessica Pace
Simona Pagano
Selene Pierini
Iacopo Pinelli
Luca Sabbatini
Alessandra Silverio
Luna Simoncini
Sun Qiu Ying
Eleonora Tanucci
Robert Tsarukian
Simone Virgini
Wang Wen Ming
Wu Si Meng
Yi Tao
Marina Mentoni
Paolo Gobbi
Monica Manfrini
Il workshop Sarnanoscape 4 indaga e riflette sulla valorizzazione dell'ambiente e in particolare sulle proprieta' dell'acqua. Dona Jalufka e Paula Metallo sono protagoniste della mostra 'Mogli e buoi'.
Sarnanoscape 4
a cura di marina mentoni e paolo gobbi
con la collaborazione di matteo catani e paolo nannini.
Il workshop SARNANOSCAPE 4, realizzato grazie alla collaborazione tra
l'Accademia di Belle Arti di Macerata, l'Associazione Culturale Spazio
Lavì! e il Comune di Sarnano, è nato dalla ferma convinzione che le
pratiche di
cura, tutela e valorizzazione debbano urgentemente riguardare non solo i
beni artistici, ma anche l'ambiente nella sua complessità, e si è
concentrato sul valore dell'acqua, sulle proprietà di questo elemento di
generare e
garantire la vita, così come di scandire e connotare la storia dell'uomo e
delle sue civiltà.
Le devastazioni provocate, nella recente storia del pianeta, dalle
continue inondazioni conseguenti al cambiamento climatico, dalla
cementificazione selvaggia del suolo e dall'incuria - eventi drammatici
che distruggono e cancellano vaste aree del territorio italiano e il
vissuto dei loro abitanti -, l'inquinamento dell'acqua e la speculazione
che su di essa viene sistematicamente messa in atto, hanno spinto questo
progetto ad avvicinarsi a quelle piccole realtà del paesaggio marchigiano,
e nello specifico del territorio di Sarnano e i suoi corsi d'acqua, che
sembrano ancora mantenere intatto il loro ecosistema per svelarne la
bellezza naturale, le ritualità e gli usi
collegati alle acque, per scoprire storie e racconti in un processo volto
a restituire un nuovo presente all'eredità trasmessa dalla natura e
dall'uomo.
Scaturito dall'osservazione delle peculiarità del territorio sarnanese, il
workshop ha preso in considerazione sia l'aspetto naturalistico dei suoi
torrenti (Rio Terro, Tennacola) sia quello terapeutico, estetico e
ricreativo dell'acqua
(terme e piscine) nonché il suo uso sociale nel tempo e nell'attuale
quotidianità (pozzi, fontane, fonti, acquedotto).
L'articolazione di SARNANOSCAPE 4 si è concretizzata essenzialmente in tre
fasi.
Nella prima fase, conoscitiva, si sono tenute escursioni e passeggiate nei
luoghi naturalistici, agricoli e urbani prescelti, ma anche ricerche
d'archivio, interviste ad abitanti ed esperti, riprese fotografiche e
video.
La seconda fase, rielaborativa, individuale o di gruppo, si è svolta
prevalentemente presso l'Accademia di Belle Arti di Macerata e ha visto i
partecipanti (studenti interni ed Erasmus) impegnati nella realizzazione
di opere
personali (grafiche, pittoriche, installative, fotografiche e video)
stimolate dalle suggestioni visive e/o sonore, dagli incontri, dai
racconti e dai documenti raccolti.
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Mogli e buoi...
a cura di Monica Manfrini
“L'importanza sta nel tuo sguardo più che nella cosa guardata” (Andrè Gide)
La relazione è la protagonista di questo racconto a due che si dipana in
una serie di sguardi sempre più ravvicinati al tema cogente
dell'integrazione di culture. Passato /presente, uomo /donna,
maschile/femminile, aggregazione/disgregazione, lontananza/vicinanza e
un'altra infinità di varianti
come pubblico/privato, tradizione/modernità vengono via via indagate a
volte con leggerezza, a volte con ficcante determinazione a cercare di
infrangere confini, eliminare frontiere.
Non è la prima volta che Dona
Jalufka e Paula Metallo mescolano i loro sguardi per cercare di raccontare
il mondo che ci circonda. Come ne I nutrimenti terrestri, dove André Gide
dà vita al dibattito, sempre attuale, tra la storia e l'uomo, invitandoci
ad abbandonare idee preconcette per riappropriarci della vita nel suo
fluire naturale e a ribellarci a ogni forma di tradizione “forzata”, a
ogni cecità ideologica e religiosa, così il lavoro site specific delle due
artiste guida il nostro sguardo alla riflessione e a educare la nostra
sensibilità. I loro sguardi sono quelli di chi si è trovato a convivere
con le attenzioni, a volte morbose, di coloro che non vogliono capire il
desiderio di fondersi con i luoghi cercati e amati da lontano. Che siano
stati raggiunti per lavoro o per amore, poco importa. Il loro punto di
partenza è un proverbio italiano che ribadisce il precetto patriarcale di
tenere uniti il luogo di lavoro con la creazione autoctona della famiglia.
Proverbio che possiamo assimilare ad altri presenti nella lingua inglese,
come get to know the birds in your own backyard1, o in francese marie-toi
devant ta porte avec quelqu'un de ta sorte2, o meglio prend ta femme dans
ton village et les boeufs dans le voisinage3, o in tedesco bleibe im Lande
und nähre dich redlich4. Addirittura, nella declinazione in lingua
tedesca, l'aggettivo finale aggiunge il concetto che la vicinanza delle
persone ai luoghi porta sincerità al rapporto.
I lavori presentati da
Paula Metallo sono collegati tra loro sintatticamente in un linguaggio
complesso, che prevede mezzi espressivi apparentemente distanti, ma che è
totalmente coerente. L'impronta stilistica rivela, infatti, la discendenza
prolifica dall'arte del Rauschenberg degli anni '80/'90 che, a sua volta,
traeva linfa vitale dalla realtà americana. Qui gli objets trouvés si
fondono invece a narrare il paesaggio del territorio marchigiano.
Territorio imbevuto di cultura contadina, ma anche ricco di esperienze
artistiche storicamente radicate, che portano Paula Metallo ad analizzare
“lo sguardo” di Piero della Francesca posato sulle colline urbinati
attraverso gli occhi dei Duchi di Montefeltro e a riportarne a noi le
suggestioni. Sempre Rauschenberg, durante un'intervista concessa ad Alain
Sayag (1981), notò di avere avuto le sue esperienze più importanti in un
paese straniero quando scoprì di essersi smarrito, “poiché è quando ti
perdi che guardi più intensamente”.
Così il lavoro di Dona Jalufka,
artista di origini texane, che ha sempre mescolato fotografia, pittura e
installazioni, evidenzia con questo continuo cambio di pelle la sua
capacità di reintrepretare metaforicamente il reale. La sua indagine segue
vari momenti della vita contadina: il lavoro, la preghiera, la festa, la
morte. Restiamo affascinati dalle luci catturate sul campo innevato,
percorriamo lo skyline delle colline e poi, con uno scarto improvviso,
come con una lente d'ingrandimento, ci troviamo vicino, vicino alle teste
degli animali di cui Dona Jalufka dà una visione spaesante e affettuosa
allo stesso tempo. Ci piace pensare che, abbandonata la macchina
fotografica per un attimo, la mano abbia percorso il grosso capo degli
animali e le dita saggiato le loro setole dure. In ogni caso è questo che
il nostro occhio è invitato a fare, il bue non più come un mero strumento,
una merce di scambio, il prezzo di una dote, ma un mite, addomesticato
compagno nel duro lavoro dei campi. Con un altro cambio di passo Dona
Jalufka ci riporta al tema di un'altra relazione: tra i luoghi e la “donna
della vita”, ovvero la moglie scelta per continuare la stirpe. Le donne,
in un passato non molto lontano, erano il centro della famiglia, pilastri
dell'economia rurale, ma quasi sempre lavoratrici invisibili, impegnate in
tutte le attività, dalla cura del bestiame ai lavori agricoli, alla
crescita dei figli. Donne anche molto limitate dalle norme della
tradizione e dalla paura di entrare in conflitto con la cultura di
origine.
A differenza del passato, oggi, in un mondo in cui i diritti le
sono riconosciuti, la donna può rivendicare la propria identità e il
proprio spazio. Non teme più di essere “messa al bando”, criticata
pubblicamente per le sue scelte indipendenti. Con un ribaltamento
spaesante, ma efficace, Dona Jalufka porta il corpo della donna ad
appropiarsi dei luoghi identificandosi con il profilo delle colline o
delle linee dei campi. Donna qualunque quindi, non dea o ninfa o
leggendaria profetessa, come era abitudine ricordarla, fin dall'antichità
tra le montagne marchigiane per eccellenza, i Monti Sibillini. Donna che
oggi dichiara il suo essere “femminile” e non si accontenta come accadeva
nel secolo scorso di essere celebrata solo come “pupa del biroccio”
accettando i colori forti dei pittori popolari e sopportando le
altrettanto forti battute salaci di chi, vedendola passare per strada
proprio alla guida del biroccio, cercava di sminuire le sue capacità e le
sue iniziative indipendenti.
La maggior parte di quelle donne che fino al
secolo scorso si erano sposate attraverso l'intermediazione di un sensale,
oggi liberano le proprie scelte, condividono spazi, luoghi, pensieri,
decisioni e progetti con il loro compagno. Paula Metallo con una mirabile
invenzione, al limite del fantasy game, trasforma con leggerezza proprio
quel carro, il biroccio del matrimonio allestito per il primo viaggio
della donna verso la casa dello sposo, divenuto un lievissimo carro di
velo dipinto. Le due artiste si sono messe in gioco nel lavoro come nella
vita, per loro sposare un'altra cultura è stata una scelta, non un
destino.
1Conosci gli uccelli del tuo orto.
2Sposa chi abita vicino ed è del tuo livello.
3Prendi moglie nel tuo villaggio e i buoi in zona.
4Rimani nel tuo paese con vicini sinceri
Ufficio Stampa:
servizixarte,servizixarte@gmail.com
Inaugurazione: sabato 23 maggio ore 16.30 e ore 18:00
spazio Lavì!
via Roma 8, Sarnano (Mc)