Associazione Culturale Satura
Genova
piazza Stella, 5/1
010 2468284 FAX 010 6046652
WEB
Cinque mostre
dal 22/5/2015 al 2/6/2015
mar-ven 9.30-12.30 e 15-19; sab 15-19

Segnalato da

Satura Art Gallery




 
calendario eventi  :: 




22/5/2015

Cinque mostre

Associazione Culturale Satura, Genova

Patrizia Mori in 'Coincidenze significative'; Karl-Heinz Hinz in 'Fermare l'istante'; Erica Campanella in 'Mitica umanita''; Alessandra Vinotto in 'Inside'; Pompeo Mariani in 'Oli e disegni'.


comunicato stampa

Patrizia Mori
Coincidenze significative

a cura di Elena Colombo

Le opere di Patrizia Mori ci conducono in un viaggio nella memoria fatto delle piccole cose che ognuno di noi si è lasciato alle spalle nello scorrere dei giorni. Entriamo dentro le stanze abbandonate con la sensazione di trovarvi un’intimità straziante e straziata. Eppure conserviamo la consapevolezza della testimonianza di qualcosa di famigliare. Frammenti che ritraggono frammenti, brani strappati dal notes della nostalgia, in cui foglie secche segnano le pagine e un intreccio di corde ricorda l’inesorabile procedere del calendario, almeno quanto i ritratti che, fermati su pellicola, vorrebbero non invecchiare. È una ricerca storiografica che, seguendo le più recenti scuole di archiviazione documentale, ha come fulcro il micro - racconto, ossia quella parte di Storia che generalmente non compone la cronaca ufficiale ma che è la base dell’identità individuale e collettiva. È l’approccio seguito da studiosi liguri come Antonio Gibelli, che sottolinea l’importanza di libri, riviste, immagini, reliquie e persino cocci quali fonti che fanno risaltare una complessità narrativa spesso ignorata, esposta al rischio di dispersione e tuttavia in grado di alimentare le nostre radici più profonde. D’altronde le case abbandonate, con la polvere delle loro stanze, hanno sempre costituito un polo di attrazione per i maestri della fotografia. Il pulviscolo sospeso nell’aria e sugli oggetti riverbera la luce che filtra dalle imposte scostate; le imposte socchiuse lasciano filtrare un bagliore che richiama le porte degli ambienti di Edward Hopper, donando allo sguardo la possibilità di una prospettiva che da limitata si fa aperta verso l’infinito trascendente, in una descrizione emotiva che si rifà allo stream of consciousness e a “Gita al Faro” di Virginia Woolf.

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Karl-Heinz Hinz
Fermare l'istante

a cura di Flavia Motolese

Le opere di Karl-Heinz Hinz nascono da un interesse ontologico verso i processi misteriosi ed insondabili della creazione. I suoi lavori si intrecciano con diversi ambiti disciplinari artistici: la scultura, la fotografia, la grafica e la pittura, ma all’origine della sua ispirazione artistica è sempre il tentativo di ricreare nel microcosmo il macrocosmo. Il pensiero che sottintende la sua produzione deriva dalla consapevolezza di quel continuo processo di mutazione che agisce su ogni essere vivente. La terra è una massa informe in continuo movimento, le leggi della fisica e della chimica insieme al caso generano o modificano incessantemente nuove strutture. L’uomo, inserito in questo contesto, diventa solo una presenza marginale nell’immenso respiro dell’eternità del cosmo, non è in grado di percepire i grandi cambiamenti che lo circondano perché la dimensione del tempo è per lui incommensurabile, ma, percepito questo abisso, può cercare di ricondurla in scala alla propria finitezza. La semplicità, solo apparente, dei suoi lavori è resa tale dalla capacità di sintesi estrema, raggiunta attraverso lo studio e la ricerca, con cui l’artista è in grado di rappresentare l’essenza delle cose oltre il velo dell’apparenza. Questo dato di radicale sinteticità che assume tutta la sua opera è una conquista effettuata grazie ad un’operazione di sottrazione che rispondesse all’esigenza di cogliere in primis le strutture basilari dell'essere. La pratica di Hinz propone segni e figure come forma pura, secondo una dialettica di evidenza e riflessione che sembra non potersi disgiungere dalla ricerca del fondamento. I monotipi diventano strumento espressivo perfetto della genealogia del divenire: l’immediatezza del gesto che delinea e definisce, l’elemento di casualità che sempre interviene nel processo creativo, così come in quello dell’esistenza. L’astrazione della composizione sottende a quel fluire ininterrotto che annulla la distanza tra soggetto e oggetto, l’opera d’arte testimonia il momento nel suo farsi mediante il segno impresso. L’eloquenza minimale del binomio bianco nero, con sporadiche concessioni al colore, richiama l’estetica lirica e contemplativa di alcune opere di Hsiao Chin, tratteggiando la personale grammatica del mondo di Hinz.

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Erica Campanella
Mitica umanità

a cura di Andrea Rossetti

Tratto pungente nell'arte di Erica Campanella è quell'approccio mentale che la porta ad una figuratività del “fare e disfare”, costruendo l'immagine e lasciando che questa stessa si sfaldi con senso d'infinità nell'apologia mitologica, quanto post-divinatoria, dell'essere umano. Essere la cui spiccata socialità/individualità è oggetto di una figurazione bella, perfetta, e sempre condizionata dalla sua indiscutibile natura sentimentale. Figurazione come influente oggettività, sconfinante a tratti nell'iperrealismo. Ed evidentemente incapace di bloccarsi lì, visto che il lavoro della Campanella si mostra più indirizzato ad ordinare termini “oltre-figurativi”. Un mantra per l'artista, ciò che da solo presiede una percezione delle immagini perpetuamente in oscillazione tra composizione e decomposizione, buttandosi sul manierismo dei volumi serpentinati e sulla iper-storicità del metallo (rame, ottone, similoro) come supporto coagulante per studiati dinamismi cromatico-chiaroscurali. Essere psicologicamente nell'immagine, inserirvi un'ineccepibile pratica di gesto in cui l'olio si apre ad espansione, fino a prodursi in un'artificiosa assenza, ad una perdita di consistenza che sia quanto mai “sconveniente” in rapporto alla fisicità incontrovertibile dei suoi personaggi. Anti-accademismo campanelliano, una selezionata sintassi visiva che nei rivoli di pittura colante stabilisce il valore della sua modernità, e si mescola quindi agli accenti post-modernisti di un genere ritrattistico ancora ben riconoscibile, nonché portabandiera nell'uso “accademico” dell'olio. È forse proprio nell'incontro tra moderno e post-moderno che il senso della pennellata trova la sua più bella vivacità di gesto, raggiungendo una padronanza del mezzo pittorico misurata anche dai sottilissimi segni appunti e incisi a stesura ancora fresca, insostituibile peso espressionista, preminenza di una gravità morale che entra violentemente nell'immagine, scorticandola con incondizionata forza di volontà.

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Alessandra Vinotto
Inside

a cura di Flavia Motolese

Il lavoro di Alessandra Vinotto è fatto di armonici contrasti, di luci e ombre, di contrappunti tonali. Come in un processo catartico, le tele esposte sono la registrazione di una ricerca introspettiva: come in un diario per immagini, queste opere raccontano, attraverso il linguaggio del corpo, pensieri ed emozioni dell’artista che, esteriorizzandoli, li libera, creando una distanza oggettivante. L’opera scaturisce da un intreccio di fotografia e pittura: la stampa originale incisa e graffiata, viene scansionata, nuovamente ristampata su tela ed infine dipinta. C’è un totale superamento della diversità tra le due tecniche utilizzate che, grazie alla forte strutturazione interna, risultano due linguaggi complementari e perfettamente integrati tra loro. La scelta di intervenire pittoricamente sulla fotografia risponde all’esigenza di lasciare inalterata la forza comunicativa dell’opera, per esaltarne la spontaneità ed autenticità. La parte fotografica rappresenta il lato razionale, la parte progettuale dello scatto, mentre l’intervento grafico successivo è la parte irrazionale, lo sfogo incontrollato che interviene libero sull’immagine preesistente. La serie di autoritratti raccontano, quindi, il personale universo interiore e tratteggiano un percorso esperienziale intimo dell’artista che, rappresentando se stessa, crea uno scambio dal particolare all’universale e innesca un processo di immedesimazione e identificazione con lo spettatore. Il corpo diventa forma libera di espressione fisica e mentale, svincolato da ogni costrizione è uno strumento liberatorio come il gesto che traccia scritte e segni, lasciando fluire libera la potenza creativa. L’opera fortemente percettiva di Alessandra Vinotto dimostra la sua piena consapevolezza come donna e come artista che sceglie di portare avanti una ricerca artistica sul corpo, sulla femminilità, sulla forza interiore attraverso un profondo e complesso studio della condizione umana universale.

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Pompeo Mariani
Oli e disegni

a cura di Mario Napoli

Pompeo Mariani, uno dei più apprezzati esponenti dell’Impressionismo italiano e internazionale, nasce a Monza nel 1857, in seguito si sposta a Milano, dove entra a far parte dei principali circoli culturali dell’epoca. In questi ambienti ha la possibilità di conoscere personaggi del calibro di Arrigo Boito, Luigi Conconi e Vespasiano Bignami. Inizia frattanto a dedicarsi all’arte e realizza i suoi primi disegni caricaturali. Incontra anche il pittore Eleuterio Pagliano, presso il quale intraprende gli studi pittorici. Nel 1880 parte per un viaggio in Egitto, esperienza fondamentale nella sua maturazione professionale, in quanto tornerà con alcuni dei dipinti che hanno costituito i suoi primi veri e propri successi commerciali. Nel periodo immediatamente successivo è attivo a Genova e il favore del pubblico, che lo apprezza sempre più, è dimostrato dai premi che ottiene: nel 1884 vince il Premio Principe Umberto, proprio con una veduta dello scalo genovese; nello stesso periodo ottiene il riconoscimento internazionale all’Esposizione Internazionale di Londra. Nel 1885 espone a Parigi e continua a realizzare i ritratti della nobiltà lombarda, fino a che nel 1889 il Re Umberto I gli concede l’onore di dipingere il suo ritratto, che verrà collocato all’interno della Cappella Palatina di Palermo. Da quell’anno inizia anche a frequentare Bordighera, dove gli vengono commissionati ulteriori ritratti da numerosi stranieri che si trovano nella cittadina ligure in villeggiatura e questo accresce ancor di più, se possibile, la sua fama all’estero. Durante gli anni della guerra fa la spola tra Bordighera e Milano, mentre continua a dipingere con continuità e a sperimentare le varie tecniche che caratterizzano tutta la sua produzione, dal pastello, all’acquerello, all’olio e così via, per rendere appieno tutta la vivacità della vita milanese e non solo. Sono anni in cui la ricerca personale lo conduce sempre più verso un isolamento, che verrà meno nel 1923, con la personale alla Galleria Pesaro di Milano. Dal 1925 risiede stabilmente a Bordighera fino alla morte, che lo coglie nel 1927, quando la sua produzione lo ha ormai reso uno dei principali esponenti del panorama artistico italiano dell’Ottocento.

Inaugurazione 23 maggio ore 17

Associazione Culturale Satura
piazza Stella, 5/1 Genova
mar-ven 9.30-12.30 e 15-19; sab 15-19
infgresso libero

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