Equatore di vita. Una galleria di ritratti a figura intera, testimoni della mescolanza di etnie che - lontane dall'essere puro fascino per l'esotismo - diventano straordinarie testimonianze di vita. Ritratti ultrareali che non si accontentano del compiacimento della forma e del colore ma che diventano lo strumento di sintesi della commistione dei sentimenti dell'artista e del soggetto. Una 'melancolia equatorial' - come egli stesso la definisce - una commistione di passione e tristezza.
La fabbrica è da sempre legata ad un ottimo artista che ha scelto di vivere negli ultimi anni in Brasile: il pittore, scultore e grafico Daniel Maillet.
Maillet ha creato il logo e la comunicazione visiva della fabbrica ed era decisamente opportuno che le sue nuove opere – ancora mai esposte in Europa – venissero ospitate a Losone.
'Equatore di vita' si chiama la mostra personale che si apre venerdì 23 aprile alle 18.30 con la presentazione da parte del professor Jacques Gubler, critico e storico d'arte e d'urbanistica. Il professor Gubler tratteggerà l'opera di Maillet e presenterà il suo catalogo edito da Charta nel 2002, mentre il giovane critico e giornalista d'arte Stefano Verri ha realizzato un intervento critico – qui allegato – incentrato sul nuovo corso intrapreso da questo artista in prossimità dell'equatore. Una storia d'artista, però, non divisa in due parti nette, ma con una continuità nell'approccio alla creazione artistica basato sull'osservazione del reale e ! sul disegno dal vero. I conoscitori delle opere precedenti di Daniel Maillet cerchino di non mancare l'occasione di vedere i suoi nuovi lavori: grandi olii su poliestere ricchi di cromatismi e terracotte che han stupito lo stesso autore – che prima dell'esperienza brasiliana non aveva mai usato questo mezzo espressivo – per l'agilità comunicativa e la maestria così rapidamente conseguita. La mostra è completata dalle immagini fotografiche che Maillet ha 'rubato' per strada agli intensi volti e paesaggi del Nordeste brasiliano.
Daniel Maillet
equatore di vita
il tempo della pittura
In questo primo scorcio di XXI secolo in cui inermi assistiamo ad un'umanità afflitta dal cancro del consumismo, in cui troppi artisti muoiono prima di nascere perché più effimeri delle loro stesse creazioni, mentre altri - certamente dotati - sacrificano la propria ricerca per assecondare i capricci del mercato, a volte troviamo ancora degli 'spiriti nobili', delle voci che si estraniano dal coro volgare della banalità .
Daniel Maillet è uno di questi 'spiriti nobili': un artista colto, che rende il suo lavoro come sintesi di pensiero e di tecnica.
Il disegno è sicuramente il punto di partenza, l'origine unica, la struttura scarna e scheletrica su cui si modella il mondo sensibile. Una tecnica raffinata in cui convergono le lezioni degli antichi maestri e quelle dei grandi contemporanei, l'espressionismo paterno e l'ingegno personale. Un disegno che viene dal vero ma che allo stesso tempo è analitico, un disegno in cui i soggetti vengono catturati nello spazio e isolati sulla carta, privati dell'habitat e inseriti in una sorta di vuoto cosmico.
Trovo sia decisamente importante notare quanto il segno di Maillet sia formale, quanto ogni tratto sia pesato, quanto ogni proporzione tenda ad una perfezione assoluta. Acuto e preciso, pur avvicinandosi alla perfezione, Maillet è lontano dal facile vittimismo dell'arte per l'arte, cercando una comunicazione attraverso il linguaggio universale della figura.
'Ho lasciato per un tempo la bella Svizzera con a due passi il bacino della cultura lombarda e veneta. Sono cascato nei tristi tropici, parafrasando Claude Lèvi-Strauss'. In maniera così sintetica e nel contempo analitica, Daniel Maillet mi rende partecipe dell'ambiente in cui nascono le sue ultime opere. Un esilio mentale, immagino, più che fisico, in cui la sua instancabile ricerca si appropria di nuovi orizzonti. Come un moderno Gauguin si sposta nel sud del mondo assimilandone i colori, le luci, le atmosfere, i soggetti.
La tavolozza si estende, inglobando i cromatismi del mare, della terra, del cielo e della natura. Il segno si amplia, è materico, larghe pennellate diventano gli elementi fondanti della figura, ma non è ridondante: il segno rimane minimo e raffinato. Non un cambiamento radicale, ma una Aufhebung: un superamento che porta in sé le lezioni precedenti arricchendole di significato ed ispirazione. Vecchi stilemi che si vestono di tropicalismo.
Una galleria di ritratti a figura intera, testimoni della mescolanza di etnie che - lontane dall'essere puro fascino per l'esotismo - diventano straordinarie testimonianze di vita. Parafrasando il famoso giudizio di Berenson riguardo ai ritratti di Lorenzo Lotto, anche queste pitture di Maillet - cito a memoria - 'sono in cerca della grazia di uno sguardo'.
Ritratti ultrareali che non si accontentano del compiacimento della forma e del colore ma che diventano lo strumento di sintesi della commistione dei sentimenti dell'artista e del soggetto. Una 'melancolia equatorial' - come egli stesso la definisce - una commistione di passione e tristezza.
Accanto ai ritratti di vecchie o di giovani indigene sospese nello spazio, in cui l'attenzione si concentra maggiormente sulla figura, troviamo grandi tele in cui il paesaggio stesso diventa parte integrante di questo racconto intimo. Un racconto che si esprime anche attraverso la fotografia, attraverso gli scatti rubati per le strade.
Il viaggio in Brasile non porta soltanto alla riscoperta del tempo della pittura, ma è anche occasione per lavorare con la terracotta. L'esperienza visiva diventa tridimensionale, la pittura ed il disegno in un certo senso si fanno tangibili. Linee spigolose contrastano con i ritmi pacati delle forme, due bambini accovacciati diventano un ulteriore capitolo di quel libro di emozioni che Maillet ci sta regalando. L'analogia al disegno e alla pittura che rimangono quindi fondanti di tutto il lavoro di questo artista non sono assolutamente casuali. In uno dei suoi scritti lo stesso Maillet afferma, infatti: 'Nel 1994, quando viaggiai per la prima volta in Brasile, son stato in Bahia, dove conobbi una ceramista che insisteva che dovevo modellare con l'argilla; io ero pittore e la scultura mi parve lontana dal mio fare. Finalmente cedetti alle sue insistenze, tentai con un ritratto ed iniziai a modellare un volto; con sorpresa le forme del modello apparivano con naturalezza. All'istante non capivo come potevo riuscirci, così senza esperienza. Mi resi conto molto dopo che era l'occhio allenato a copiare, era lui che stava dirigendo la mano, anzi era più facile che disegnare su un foglio piano, perché non avevo il problema di convertire la terza dimensione in bi-dimensione'.
Stefano Verri
Immagine:
Cicero, di Daniel Maillet, olio su poliestere
la fabbrica
via Locarno 43a
6616 Losone
Ticino, Svizzera