Botteghe del Colonnato S. Francesco di Paola
Napoli
Piazza del Plebiscito

Artdesign 2004
dal 3/6/2004 al 13/6/2004

Segnalato da

archimass@libero.it




 
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3/6/2004

Artdesign 2004

Botteghe del Colonnato S. Francesco di Paola, Napoli

VII biennale dell'immaginario mediterraneo tra design, arte e artigianato.


comunicato stampa

Venerdì 4 giugno 2004, alle ore 18.00, si inaugura in Piazza del Plebiscito a Napoli, Botteghe del Colonnato di S Francesco di Paola, La mostra Artdesign 2004, VII biennale dell'immaginario mediterraneo tra design, arte e artigianato, promossa e organizzata dall'Archimass Laboratorio Design
con i patrocinii ed il contributo del Comune di Napoli, Assessorato all'Artigianato, e del Consorzio Artigianapoli.

Alla mostra partecipano gli architetti ed artisti:
Massimo De Chiara, Ernani Vigneri, Lorenzo Santaniello, Gino Anselmi, Guido La Puca,
Ezio Colombrino, Roberto Coppola, Sossio Petrossi, Patrizia Pastore, Giuliana Bocconcello, Francesca La Pignola, Maria Sabetti, Ida Migliaccio, Ludovico Papa, Vito Migliaccio, Antonio Tagliaferro, Gennaro Terrazzano, Gerardo Pedicini, Rosario Renino

Il segreto della forma sta nel fatto che essa è confine;
essa è la cosa stessa
e, nello stesso tempo il cessare della cosa,
il territorio circoscritto in cui
l'Essere e il Non-più-esserre della cosa
sono una cosa sola.
George Simmel

In 'I corpi e le cose' Enrico Bellone analizza il modo con cui veniamo a conoscenza del mondo e come lo trascriviamo. In base alla sua indagine le 'sensazioni che abbiamo nell'esplorare l'ambiente e la descrizione di quest'ultimo, insieme alla folla di comportamenti che ciascuno esibisce per adattarsi alla nicchia, si realizzano grazie a processi che avvengono nei nostri corpi e che, nella stragrande maggioranza dei casi, sfuggono completamente alla nostra consapevolezza'. Quest'ottica presuppone quindi una visione kantiana che individua, come parte essenziale della conoscenza, la conoscenza della casualità e delle relazioni spaziotemporali: il che varrebbe ad ammettere che la ricerca artistica, o meglio l'investigazione artistica, non segue un processo ordinato nel suo sviluppo ma scaturisce da una somma di processi preordinati che procede senza nessun fondamento epistemologico che non sia il risultato della 'natura evolutiva e non intenzionale dei manufatti', come se questi ultimi fossero 'ottusamente obbedienti alle nostre aspettative'. Il che è assolutamente inconcepibile. L'opera d'arte di contro segue un procedimento metodologico. È di fatto un percorso logico, è la risposta che si invera tra competenza ed esecuzione, è insomma il processo, secondo quanto afferma Hjelmslev, che 'viene ad esistere grazie al fatto che c'è un sistema sottostante che lo genera e determina nel suo sviluppo possibile'. Un processo a cui presiedono delle regole di base che assumono 'il valore di un modello generativo (in senso chomskiano), ossia di una grammatica che genera la serie pressoché infinita delle frasi'. Attraverso l'impiego 'comune di un metodo deduttivo estrapolato non tanto dai codici delle lingue naturali, quanto dai sistemi linguistici artificiali' (Menna), nasce l'opera d'arte.

A questa istanza, mi sembra, vada ricondotto il percorso creativo degli artisti di questa mostra. Che è già alla VII edizione. Chi avrà modo di confrontare tra loro le opere degli espositori, si renderà immediatamente conto il tipo di progettualità insito in ogni manufatto. Come cioè ogni singolo artista procede nella sua inventio e la rete dei passaggi procedurali che ogni opera in sé detiene. Il risultato quindi della loro azione, del loro incedere nei luoghi frastagliati dell'immaginario contemporaneo, è proprio nella consapevolezza delle loro scelte di base, nelle modalità con cui si rapportano alla realtà e nelle forme con cui dialogano con il territorio frastagliato e senza più regole della nostra condizione moderna: in altri termini come si misurano con l'età della globalizzazione che, da un lato, ha azzerato ogni differenza e, dall'altro, ha impoverito ogni istanza di futuro. Il loro procedere certo non è immune da difficoltà. Si trovano a dover convivere senza più garanzie metafisiche o possibili utopiche proiezioni. Il sogno della Bahaus è inimmaginabile, né più percorribile. Nel deserto chiassoso, plurale della condizione moderna, di questo - come dice Baudelaire - paesaggio piovoso, gli spazi metropolitani sono diventati luoghi del superfluo e dell'inutile, un accumulo di segni, un reticolo elettronico dove l'individuo si smarrisce o si perde. Dove allora ricercare un porto franco, un ambito da sottrarre all'uniformità globale del mondo in modo che la memoria individuale non si perda insieme alla memoria collettiva nel 'tentativo di ricomporre in un disegno unitario, nel profilo, e nel suono di una parola o di un nome in cui le cose possano di nuovo parlare come pienezza, come esistenza compiuta per l'uomo'? (Rella) Uno spazio beninteso sottratto a qualsiasi investimento capitalistico, ma anche a qualsiasi ipotesi di restauro rigenerativo.
Questo è l'ambito entro cui si muovono questi sperimentatori. Uno spazio - direi - domestico, quotidiano che ruota intorno alla possibilità di rinnovare, con piccoli gesti, il mondo più vicino alla loro consuetudine visiva. Senza sognare nuovi ipotesi spaziali, né immaginare nuovi territori possibili, nel tentativo quindi di ripercorrere con occhi rinnovati tranches della nostra cultura, darle significato, senso, nuovo spessore. Da qui, il senso del loro immaginario mediterraneo. Da qui il rifarsi a una matrice comune. Vasi, leggii, specchiere, taccuini, lampade, tovaglie, posacenere, chaises longues, portariviste, oggetti musicali vengono così a disporre un universo di senso per cui la 'struttura significativa', di cui l'oggetto porta le tracce, espellendo da sé il significato di alcune forme inautentiche del mondo, si sforza 'ogni volta di far comprendere ciò che esse avevano di parzialmente e soprattutto di esteticamente valido in quanto forme coerenti di espressione dell'anima umana' (Goldmann). In altri termini: penetrare nella segretezza della forma al fine di segnare il confine spaziale entro cui, secondo l'indicazione di Simmel, 'l'Essere e il Non-più-essere della cosa sono la stessa cosa'. Questo processo avviene attraverso il dispiegamento di materiali diversi. Legno, ottone, terracotta, rame, zinco, ecc. sono chiamati infatti a dispiegare questo universo di segni linguistici. Sia quando accedono con semplici procedimenti all'unicità razionale del percorso creativo come accade nei manufatti di Gino Anselmi, Ezio Colombrino, Lorenzo Santaniello, Vito Migliaccio, Ernani Vigneri, Ludovico Papa e Sossio Petrossi; sia quando cadenzano con gioiosa e partecipe fantasia ironica il confine tra due latenti opposizioni, come è il caso degli oggetti di Francesca La Pignola, Massimo De Chiara, Gerardo Pedicini e Ida Migliaccio; sia quando con stupore e meraviglia rincorrono immagini profonde come è il caso di Roberto Coppola, Rosario Renino, Patrizia Pastore e Giuliana Bocconcello; sia quando istituiscono con arditi accostamenti formali un rapporto tra inventio e ordine naturale e storico delle cose come accade nella chaise longue Antonio Tagliaferro o nella lignealamp di Guido La Puca o nei vasi canopi di Gennaro Terrazzano o ancora nei troni ceramici di Maria Sabetti. Insomma, in ciascuno degli artisti-designers agisce un'azione profonda dove arte, tempo e connessioni culturali, come tanti seducenti idee di piacere, si intrecciano con evidenti valenze estetiche, al fine di rinnovare lo spazio della nostra quotidiana esistenza alla ricerca dell'intervallo perduto di cui parla Dorfles e dello scambio simbolico tra competenza ed esecuzione di bachelardiana memoria.
Gerardo Pedicini

La mostra, curata da Gerardo Pedicini, resterà aperta al pubblico fino al 13 giugno.

Piazza del Plebiscito a Napoli, Botteghe del Colonnato di S Francesco di Paola

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