Associazione Culturale Satura
Genova
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Cinque mostre
dal 25/2/2005 al 16/3/2005
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Segnalato da

Satura




 
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25/2/2005

Cinque mostre

Associazione Culturale Satura, Genova

La sala maggiore ospita la mostra personale 'Sculture da appendere' di Marco Moretti; la sala prima 'Eccessi visionari del terzo millennio' di Giorgio Croce; nella sala il pozzo personale di Andrea Moneta; 'Palazzi Storici' di Margaret Miller Canepa alla sala colonna; infine la mostra di Mario Falchi presso la sala Portico


comunicato stampa

Marco Moretti, Giorgio Croce, Margaret Miller, Andrea Moneta, Mario Falchi.

la sala maggiore ospita la mostra personale Sculture da appendere di Marco Moretti curata da Giuseppe Moretti

la sala prima ospita la mostra personale Eccessi visionari del terzo millennio di Giorgio Croce curata da Miriam Cristaldi.

la sala il pozzo ospita la mostra personale di Andrea Moneta, curata da Alfonso Maurizio Iacono.

la sala colonna ospita la mostra personale Palazzi Storici di Margaret Miller Canepa, curata da Miriam Cristaldi.

la sala portico ospita la mostra personale di Mario Falchi, curata da Sergio Innocenti..

Con il Patrocinio di Provincia di Genova e Comune di Genova, s’inaugura nella sede dell’Associazione Culturale SATURA, Sabato 26 febbraio 2005 alle ore 17.00, la mostra personale Sculture da appendere di Marco Moretti. A cura di Giuseppe Moretti. Mi ha sempre affascinato la frase di Michelangelo "…la scultura è già dentro il blocco di marmo, basta togliere ciò che è di troppo."

E' vero, lo scultore deve già sapere cosa togliere e cosa lasciare… e a volte, magicamente, è la forma della pietra a suggerire al cuore dell'artista ciò che vi si cela all'interno. Ho visto più volte Marco guardare così un vecchio asse di legno… un tronco o dei semplici ritagli di alluminio… sì, proprio così… guardava con il cuore mentre tutto attorno non si accorgeva di nulla… "Il riciclo è la mia legge", dice… in realtà recupera materie che hanno, per tutti gli altri, già vissuto, ma per questo non meno nobili, anzi, come nella vita, la nobiltà l'hanno accresciuta, intensificata vivendo. Marco è per me un amico, per mille motivi, ed anche perché con me condivide alcuni momenti nei quali crea… parliamo di progetti futuri ed idee, a volte reali o solo fantastiche… mentre lui si aggira nel suo laboratorio. Cerca in un sacco colmo di pezzi di legno quello giusto, scorre veloce i ritagli di alluminio e, mentre parla, sceglie il prediletto… Poi, con attenzione lo segna, lo piega e prova l'incastro. Non è uno che si accontenta lui.. Marco… lo prova e lo riprova, lo taglia con precisione estrema, ma ciò che mi affascina è che fa tutto con grande rispetto. Ogni "scarto" è messo da parte… può ancora servire… ha la vita dentro! D'improvviso va verso il furgone e torna indietro con una scatola di cartone… gli brillano gli occhi… "guarda cosa mi ha dato la mia stufa, guarda che bella…". È cenere setacciata. Tutte le sfumature del grigio fino al nero sono lì, in mille pagliuzze. Si, la "semplice" cenere è per lui un tesoro. E lo dimostra quando diviene fondo per il pesce degli abissi, Ascia d'argento, in alluminio sbalzato, preciso nei particolari ed essenziale nella forma… sì, la cenere di prima ora ti porta nel buio delle profondità oceaniche. Creature marine come gli anemoni, particolari di un pruno o di un delicato tralcio di una pianta, l'amico Geko, amico perché lo segue; lo troviamo in una delle sue prime creazioni, in variazioni successive e in idee e soluzioni di progetti. "…e se facessi un enorme geko di alluminio che scende da un albero?" a volte mi dice mentre pensiamo a cosa fare in una mostra futura. Dicevo, l'amico geko e poi una raganella, proprio così, una piccola rana su una foglia verde: alluminio, moquette verde usata, e la famosa cenere di prima. Il titolo? "Baciami". E di colpo ci trasporta nella fiaba… il principe ranocchio… il bacio della fanciulla che amava non l'esteriore ma ciò che il piccolo anfibio aveva nel cuore… ed il cerchio magicamente si richiude. Nello stesso modo anche Marco guarda ciò che sta dentro, e vede il bello in tutto. E ce lo fa scoprire anche a noi, nelle sue opere; mi sono soffermato più volte a guardarle, all'apparenza sono così semplici… come le cose della natura. "Legami", due corde intercciate, in alluminio ovviamente, sbalzato con sapienza, gli strumenti gelosamente riposti nella piccola cassetta di legno, il martello in bronzo "che non strappa l'alluminio ma lo modella dolcemente" dice lui, e infiniti piccoli scalpelli e bulini che una volta erano chiodi, cerniere di una porta o perni.. anche loro portati a nuova vita. Ma io dovevo parlare delle sue opere e invece avrei voglia di raccontare la conoscenza dei legnami che ha Marco, tramandata dalla sua famiglia, perfezionata dalla sua passione e affinata nel suo lavoro. Così trovi un nodo di diverso colore al centro di una tavola che diviene gemma o il ritmo grafico dei cerchi concentrici testimoni dell'età di un tronco sapientemente esaltati… "Per l'artista tutto è bello, perché in ogni essere e in ogni cosa il suo sguardo penetrante scopre il carattere, ossia la verità interiore che traspare sotto la forma. E questa verità è la bellezza stessa." Così scrive nel suo Testamento Auguste Rodin nei primi anni del '900. Se vi avvicinate ad un'opera di Marco, non guardate solo la sapienza e la maestria con la quale ha lavorato i materiali, ma fate per un attimo silenzio nel vostro cuore… e lasciatevi trasportare.
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Con il Patrocinio di Provincia di Genova e Comune di Genova, s’inaugura nella sede dell’Associazione Culturale SATURA, Sabato 26 febbraio 2005 alle ore 17.00, la mostra personale Eccesi visionari del terzo millennio di Giorgio Croce. A cura di Miram Cristaldi. "A partire da un frammento di sapere o di memoria letterale, il sogno è capace di ingenerare una perspicacia psicologica, una divinazione degli altri e del loro modo di pensare molto superiore alla conoscenza che noi abbiamo della realtà... i volti sembrano venire da altrove, quando siamo noi che disponiamo di tutto...", scriveva Jean Baudrillard ("Taccuini 1990- '95" ed. Theoria, Milano) riferendosi al sogno come processo di alterazione del reale e considerandolo come straordinaria condizione in cui si vive "per eccesso". Anche il giovane architetto, e artista genovese, Giorgio Croce, con la sua pittura fantastico-visionaria vive una dimensione d'eccesso simile a quella del sogno: il suo frammentato, complesso e affabulante immaginario visivo - di natura surrealista - come un piano sussultorio è attraversato da balzi euritmici che spaziano dall'astrazione geometrica a quella naturalistica, da un virtuosismo di carattere iperrealista a una sintesi iconografica dove il reale si erge a simbolo, fuori dall'immanenza e dal contingente, senza precisi nessi e legami logici. Qui la funzione di controllo è completamente allentata e il giudizio è sospeso. Un po' come i calcolatori elettronici che con le loro fantastiche performance sono scollegati dalla oscienza umana. E il racconto dell'artista non si sofferma a creare un unico grande spazio in cui nascono, crescono e muoiono molteplici avvenimenti ma, come in un caleidoscopico puzzle, si articola in numerose finestre, ciascuna: spazio, privilegiato alveolo, cuore e centro di un micro-racconto che vive e si alimenta (in simbiosi) con quelli circostanti. Oppure, al contrario, vengono a contatto tra loro realtà incommensurabili che, elidendosi, finiscono per ignorarsi. Solo per un attimo sembra che ogni cosa abbia un significato, per poi accorgersi subito dopo che, installata una nuova gerarchia di rapporti, tutto subisce un'invisibile trasformazione diventando oggetto di contemplazione di una golosa e assetata percezione visiva. Anche il gesto oscilla in linguaggi differenti, ora duro, incisivo come graffito rupestre, ora morbido e ondeggiante come piega barocca (riferimenti all'espansione spazio-dinamica del Borromini), o in altri casi ancora, debordante e irrefrenabile come il veloce defluire dell'acqua fiumana. Mentre gli orizzonti sono sempre mobili, alla ricerca di un possibile centro che attiri le periferie. Il principio di indeterminazione e di contraddizione animano costantemente la struttura processuale del lavoro, andando ad alimentare fonti di energia che - attraverso il duttile collante dell'ironia - sanno direttamente collegarsi al centro dell'uomo, alla sua capacità creativa. Prendono corpo, in questo senso, espressioni esilaranti rese da un' esagerata distorsione formale che allenta il senso tragico dell'opera. Sottile filo rosso, questo, che permette salti di qualità e collegamenti tra differenti livelli ramificati nella molteplicità delle letture e nella complessità dei linguaggi adottati. Spiega infatti l'autore: "Il mio, è un parlare più lingue nello stesso tempo. Il difficile è esprimere contemporaneamente l'idea di unità". Se in genere i dipinti ad olio sono ottenuti con violenze cromatiche sovente basate sulla forza dei complementari (in particolare del rosso/verde), nel dipinto "Collisione biologica", 2005, la tavola cromatica è invece giocata sui contrasti del bianco-nero contaminati da cromie sanguigne. Qui, l'autore descrive, e mette in comunicazione, due emisferi opposti. Quello superiore, reso da chiare morbidità pittoriche - diluite in atmosfere tonali - è scosso da un unica chiazza rossa: vampa di fuoco simboleggiante un possibile vessillo. Solo l'accenno ad un larvato onphalo (ombelico del mondo) può fornire l'idea di un'amplificazione spaziale di tipo prospettico. Al contrario, nella parte sottostante, s'individua una forma collinare molto scura, al cui interno germinano segni nerastri (a questo colore si associa l'idea del buio, della notte, del nulla, legati al silenzio e alla passività, ma anche quella di profondità di sentimenti e di capacità introspettive), astratti e pesanti come gli arcaici graffiti rupestri. In questo spazio curvilineo - accanto a simbologie polinesiane e a indecifrabili scritte - si autoalimenta e vive affastellato una sorta di codice biologico suggerito da spirali e da sinusoidi. Evidente allusione, questa, alla biologia e ai pericoli della manipolazione genetica, cui l'artista spesso allude nel suo lavoro. La morte è qui poeticamente evocata da una grande ad annerita forma d'uccellino - irrigidito e senza vita - con le zampe piegate e rivolte verso l'alto (visibili gli accenni all'universo figurale di Goya). Ad unire i due mondi sta, in posizione quasi centrale, una figura allampanata maschile nella cui silhouette si staglia un personaggio femminile che stringe un neonato. Il complesso figurale, esageratamente allungato in altezza ed appena accennato da pennellate nere attraversate da tocchi rossastri della gonna, si staglia sullo sfondo simbolicamente come axis mundi (asse del mondo), capace di mettere in comunicazione cielo e terra. Ma al contempo, la curiosa parvenza di carattere (quasi) grottesco stempera la drammaticità del contingente per proiettare l'opera fuori dal tempo e dallo spazio.
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Con il Patrocinio di Provincia di Genova e Comune di Genova, s’inaugura nella sede dell’Associazione Culturale SATURA, Sabato 26 febbraio 2005 alle ore 17.00, la mostra personale Palazzi storici . Frammenti di pittura per una Genova inedita di Margaret Miller. A cura di Miriam Cristaldi.

Margaret Miller in Canepa, artista americana nata nel Texas - insegnante d'arte - abitante a Southport (Maine) d'estate e a Genova d'inverno, sa trasferire questa doppia realtà sistenziale nella specificità del suo lavoro pittorico. Attraverso una singolare rappresentazione di Palazzi storici, appartenenti al nostro patrimonio urbano, Margaret Miller interpreta le affascinanti architetture con colori accesi, brillanti, luminosi, propri dell'universo americano. Non solo, le strombate vedute panoramiche delle facciate - sovente colte da angolature spericolate - esaltano l'incalzare di fughe prospettiche e sottolineano la funzione plastico-pittorica delle ombre, generatrici di ardite geometrie: questo per uscire dalla semplice rappresentazione e dare vita a complesse, delicate, pagine di pittura. Fortemente attratta dalla magica bellezza dell'antico nella preziosità delle finestre timpanate, nel candore marmoreo dei pronai, nei classicheggianti terrazzini in aggetto, nelle gloriose pitture delle facciate sei-sette-ottocentesche, di Genova (via Garibaldi, via XX Settembre ecc...) - accanto ad alcune versioni di antichi palazzi francesi - l'autrice americana con i suoi Palazzi storici si fa giullare, cantore del nostro passato, non solo come attenta e partecipe osservatrice ma, con la sua brillante ed armonica interpretazione pittorica riesce a far vibrare le maglie d'un illustre tempo remoto, fautore di un'incerta contemporaneità. Quasi con approcci da etnologa, Margaret Canepa esplora con rapide incursioni pittoriche universi storici cercando di capire il linguaggio di chi ha abitato queste nobili dimore, per poi contaminarlo con espressioni della modernità americana. E evidente che c'è un passo considerevole tra l'osservazione minuziosa del villaggio storico ligure dove "le forme del passato sembra che parlino ai nostri contemporanei di ciò che essi sono mostrando però ciò che essi non sono più..." e quella sulla configurazione del "villaggio globale" dove si manifesta la contemporaneità per poi sfociare, al di là di questa analisi, nella complessa struttura della vita moderna. Una specie di antidoto, allora, ai "nonluoghi" messi a fuoco dal filosofo francese Marc Augé ("Nonluoghi" edi. Elèuthera, Milano 2000) quando descrive le aberrazioni necessarie degli spazi anonimi (e perciò non luoghi) come autostrade, centri commerciali, aeroporti ecc. disseminati in ogni angolo della terra. Questa inedita ricerca di meticolosa, armonica e al contempo raffinata pittura sembra infine tesa a riscoprire il gusto delle origini e a farsi testimonianza di ciò che è difficilmente documentato (di alcuni palazzi non esistono fotografie per l'impossibilità a realizzarle, ma solo alcuni disegni realizzati dal Rubens) e che la più recente attualità ha attenuato con i nuovi insediamenti urbanistici e con l'estensione della cultura industriale.
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Con il Patrocinio di Provincia di Genova e Comune di Genova, s’inaugura nella sede dell’Associazione Culturale SATURA, Sabato 26 febbraio 2005 alle ore 17.00, la mostra personale di Andrea Moneta. A cura di Alfonso Maurizio Iacono.

Andrea Moneta scolpisce volti. Volti? Sarebbe meglio dire parti di volti. Mezza faccia, una bocca, un viso coperto da un elmo, un altro, femminile, con un copricapo che è quasi un drappo. Da cosa si nascondono questi volti? Cosa nascondono? Perché Moneta ce ne mostra soltanto delle parti ? Quel che copre i volti è pietra, pietra non finita, pietra poco prima della forma. Perché questo esitare della forma? Sta emergendo dalla pietra e noi la vediamo in questi volti semi nascosti che certamente ci appariranno interi? Oppure stanno rifugiandosi nella pietra, quasi fosse un utero in cui proteggersi dal mondo. Vi è come una sospensione nella scelta tra l'emergere, l'affermare di esistere, il prendere forma compiuta, e l'immergersi, il nascondersi, il ritornare verso l'informe. A me pare che sia questa intelligente ambiguità a caratterizzare le sculture di Andrea Moneta, che in un certo senso trascende la singola opera per comunicarci quel che è insito nella rappresentazione stessa, una contraddittorietà, un'ambiguità che implica fondamentalmente due cose: da un lato l'espandersi del confine tra pietra e volto fino a diventare non una linea di separazione ma una linea che congiunge forma e non-forma; dall'altro il calmo dinamismo che quell' espandersi del confine porta con sé. Vi è come un movimento di cui non si conosce la direzione (la forma verso la non-forma? la non-forma verso la forma?) che toglie perspicuità ai volti. Perché i volti e non i corpi? Mi domando se non vi sia come un sottile timore dell'individuazione (un'individuazione quale soltanto un volto ci può dare) che ha a che fare, forse, con il contrasto tra il desiderio di autonomia individuale e il desiderio di protezione, come se un'autonomia potesse affermarsi e esprimersi come tale soltanto all'interno di relazioni con gli altri che qui sono tuttavia la non-forma, il passaggio di fronte a cui il volto esita, oscillando tra il suo distinguersi dal resto del mondo e il suo rifugiarsi nel mondo.
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Con il Patrocinio di Provincia di Genova e Comune di Genova, s’inaugura nella sede dell’Associazione Culturale SATURA (Piazza Stella 5/1, Genova), Sabato 26 febbraio 2005 alle ore 17.00, la mostra personale di Mario Falchi. A cura di Sergio Innocenti.

Abbinamenti di colori, ora sconvolgenti, ora perfettamente armonici.

Forza esplosiva o delicato tocco gentile, una continua dicotomia, un perenne altalenare tra opposti, questa è la pittura di Mario Falchi.

Le sue opere sono caratterizzate da una personalissima tecnica che ne contraddistingue lo stile. La stesura del colore avviene in modo pastoso e materico, il pigmento si increspa, si accumula, crea strati sovrapposti che impetuosamente si infrangono gli uni sugli altri, proprio come onde di un mare in tempesta; la forma appena accennata prescinde da se stessa, l’oggetto della rappresentazione è appena intuito, esiste solamente in quanto lontana proiezione immaginaria di se stesso.

Tutte le opere di Falchi paiono pervase dalla passione per la grande possibilità che la pittura fornisce, quella di raccontare modi e realtà parallele, nelle quali gli elementi più poetici della normalità si inseriscono in modo evidente negli oggetti, fornendone la forma ed il colore e vivendo con essi in maniera assolutamente simbiotica ed inscindibile”.
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Immagine: Giorgio Croce, Aurora, (2001)

Inaugurazione: sabato 26 febbraio ore 17.00
aperte fino al 16 marzo 2005

SATURA
piazza Stella 5/1 Genova

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