La nascita della creativita' italiana. Gli anni compresi fra il 1948, con la definitiva uscita dall'emergenza del dopoguerra, e il 1960, anno in cui le Olimpiadi di Roma sancirono di fronte al mondo l'avvenuta trasformazione del Paese. Le icone, gli oggetti, le opere, creati da artisti, architetti, fotografi e registi che di quegli anni furono i protagonisti, compongono un mosaico che illumina le peculiari caratteristiche della creativita' italiana. 3000mq di esposizione, oltre 700 opere, tra dipinti, sculture, documenti, fotografie, filmati, abiti e oggetti di design. La mostra e' divisa in sezioni: costume e societa' comprende storia, economia, politica, editoria, sport; il percorso espositivo prevede poi le sezioni di architettura, design, grafica, cinema, televisione, moda, fotografia, arte
La nascita della creatività italiana
Tremila metri quadrati di esposizione, oltre settecento opere, tra dipinti, sculture, documenti, fotografie, filmati, abiti e oggetti di design, a comporre per la prima volta nella sua completezza un affresco sulla vita italiana di quello straordinario decennio che furono gli anni Cinquanta.
Il periodo che va dalle elezioni del 18 aprile 1948 alle Olimpiadi di Roma del 1960 ha rappresentato per l'Italia, uscita dalle distruzioni della guerra, non solo il momento della rinascita, economica e materiale, ma anche una feconda stagione che ha segnato l'inizio della fortuna della peculiare creatività italiana. Un percorso di evoluzione che ha portato un paese ancora fondamentalmente agricolo, e per la gran parte analfabeta, a diventare una delle maggiori potenze economiche e industriali d'Europa e del mondo.
Per prendere a prestito una metafora mutuata dal mondo del cinema, pur nell'approssimazione di tutte le sintesi di questi genere, gli anni Cinquanta segnarono il passaggio dall'Italia delle risaie della mondina Silvana Mangano in Riso amaro, alla Roma della Dolce vita, con Anita Ekberg diva americana immersa nella fontana di Trevi.
Qualsiasi sia il punto di visuale prescelto, l'architettura, il design, la moda, il cinema, l'arte, la mostra presenta dunque le opere d'arte e gli oggetti protagonisti di questi anni di sviluppo, nei quali l'innalzamento della qualità media della vita e delle produzioni si è accompagnata alla presenza di alcune grandi personalità che di questo sviluppo sono state il motore intellettuale e creativo.
La nascita del design diffuso, con l'attenzione agli aspetti estetici e produttivi legati agli oggetti quotidiani, il prêt-à -porter e l'introduzione della moda confezionata, la ricostruzione urbanistica e l'edilizia popolare, il dibattito artistico e il fiorire dei "manifesti", lo sviluppo di un cinema di grandi autori e di grandi tecnici, che guarda alla realtà quotidiana, vedranno l'emergere di alcune personalità di altissimo rilievo, che con le loro grandi realizzazioni imprimeranno un segno tutto italiano a questa evoluzione, caratterizzando uno stile che da allora in poi vedrà il suo successo internazionale.
È sufficiente fare i nomi di Gio Ponti, dello studio BBPR, di Marco Zanuso e Bruno Munari, di Albe Steiner e di Max Huber per capire quali forti personalità si impongano e caratterizzino, ad esempio, l'architettura e il design di quegli anni. Ma è anche il periodo di Emilio Pucci e di Roberto Capucci nella moda, di Visconti, Fellini, De Sica, Antonioni e Rossellini nel cinema, di Fontana e Burri, di Manzoni e Marino Marini, di Guttuso e Vedova nell'arte, di Giacomelli e Mulas, di Berengo Gardin e Roiter nella fotografia. Tutte personalità capaci di superare i confini dell'Italia e diventare modelli internazionalmente riconosciuti.
Tutto ciò fu reso possibile grazie al fortunato saldarsi delle capacità imprenditoriali di una nuova generazione che sentiva di doversi staccare dagli schemi pre-bellici, con un'altrettanto nuova generazione di architetti, artisti, autori, creatori di moda, che si prestarono a sperimentare nuove soluzioni e materiali, e a riempire quelle capacità produttive di nuovi contenuti e creatività .
Per narrare tutto ciò, la mostra presenta le straordinarie realizzazioni protagoniste di quel momento tanto fecondo, occupando uno spazio che ha pochi precedenti nella storia delle mostre milanesi.
Una grande installazione nella piazzetta Reale accoglie la "premessa" alla mostra: dall'aereo Fiat G91, vero e proprio fiore all'occhiello dell'ingegneria e del design italiano, alle automobili di quegli anni, quali la Nuova Fiat 500, la Lancia Aurelia, la Cisitalia e la "mitica" Giulietta Sprint.
Dopo la grande introduzione storica e sociale ospitata nella Sala delle Cariatidi, le singole sezioni dedicate ad architettura, design e grafica, cinema e televisione, moda, fotografia, arte, ricostruiranno, attraverso gli oggetti e le opere originali, la formidabile storia di quegli anni e dei loro protagonisti.
Un quadro completo di quel decennio, dunque, non solo per ricordare ma soprattutto per comprendere come sia nata e si sia sviluppata quella via italiana alla cultura e al gusto moderni, che da allora in poi ha caratterizzato il nostro Paese.
COSTUME E SOCIETÀ
costume - storia - politica - economia - editoria - sport
Lo spettacolare allestimento della Sala delle Cariatidi fa da introduzione storica e cronologica alla mostra, raccogliendo in un grande affresco unitario fatto di immagini, suoni, oggetti, tutto il "mito" degli anni Cinquanta, dalla Vespa alla Lambretta, dai cimeli dello sport alle immagini e agli oggetti che sono ormai oggi entrati a far parte dell'immaginario collettivo legato a quegli anni.
Alla straordinaria scenografia (25 metri per 10), progettata da Alberto Marangoni, prendono parte le icone, i documenti, gli oggetti, i filmati, a rievocare il clima culturale e gli avvenimenti più importanti del decennio. Questa "introduzione", dunque, fa da premessa agli approfondimenti tematici delle singole sezioni, ed è dedicata a suggerire e svelare, in un unico colpo d'occhio, il carattere degli anni che vanno dal 1948 al 1960, dando avvio a un percorso espositivo capace di illuminare le peculiari caratteristiche della creatività italiana.
Una grande raccolta iconografica, proiettata su grandi schermi, ripercorre i momenti salienti del periodo, con un occhio rivolto non solo all'Italia, per fornire il quadro storico entro il quale si dipanerà poi la mostra: dalle elezioni del 18 aprile 1948 ai trattati di Roma, che segnano la nascita della Comunità Europea, dalla sottoscrizione del Patto Atlantico alla crisi di Suez, dalle vittorie di Coppi e Bartali alle Olimpiadi di Roma.
A fianco di questa galleria di immagini, tutti quegli oggetti che per il loro valore simbolico o documentario possono meglio far rivivere il mito degli anni Cinquanta: le biciclette di Coppi e Bartali, i cimeli della spedizione italiana sul K2, i primi elettrodomestici, l'abito da sposa di Linda Christian, realizzato dalle Sorelle Fontana, ma anche gli oggetti mitici del design, come la "Lettera 22" appartenuta a Indro Montanelli, il Master in mogano della prima Fiat 500, i primi scooter, ecc.
Una grande occasione, dunque, per accostare la riflessione di coloro che vissero quegli anni alla sorpresa delle generazioni che oggi sono eredi, spesso inconsapevoli, di quella straordinaria stagione.
Una scelta di 100 immagini di fotocronaca racconterà poi questi anni attraverso l'occhio dei fotoreporter, per vedere come il nascente foto-giornalismo abbia allora interpretato la realtà italiana.
CURATORI DI SEZIONE
Costume: Guido Vergani
È stato a lungo inviato speciale del settimanale "Tempo" e, per quindici anni, di "Repubblica"; ha collaborato alla "Stampa". Attualmente scrive per il "Corriere della Sera". Da inviato, ha raccontato gli albori del regime castrista, la guerra israeliana del 1967, la guerra civile in Giordania, il golpe di Pinochet, il ritorno della democrazia in Spagna, il terremoto del Friuli, il terrorismo, il processo Tobagi, il boom della moda a Milano, il Giro d'Italia del 1988, le inaugurazioni scaligere, il delitto di Pietro Maso, il debutto di "Arlecchino" del Piccolo Teatro in Israele e altre vicende della cronaca nera e bianca. Ha pubblicato "Mesina" (1968), "Il delitto di piazzale Lotto" (1973), "Vestire i sogni" (1981), "Giovanotti, in camera" (1995), "Caro Coppi" (1995) in alleanza retrospettiva con il padre Orio Vergani, "Un buco nell'anima" (1996), libro intervista sulla malattia-droga. Nel 1999 e nel 2003 ha curato il "Dizionario della Moda del XX Secolo" edito da Baldini e Castoldi.
Storia: Giorgio Rumi
Professore di Storia Contemporanea all'Università Statale di Milano, collabora come editorialista con il "Corriere della Sera", "Il Sole 24 ore", l'"Avvenire" e "L'Osservatore Romano". È stato consigliere d'amministrazione del Teatro alla Scala, e attualmente è consigliere d'amministrazione della RAI. Ha pubblicato diversi studi sulla storia dell'Italia contemporanea e sulla storia delle relazioni internazionali, con particolare riferimento al ruolo della Chiesa.
Politica: Giorgio Galli
Già docente di storia delle dottrine politiche all'Università degli Studi di Milano, a partire dal 1953 ha pubblicato numerosi libri storici; i più recenti dei quali (2004) sono "Piombo rosso - la storia completa della lotta armata in Italia" (Baldini Castoldi Dalai), "I partiti politici italiani" (Rizzoli), "Il ritorno del rimosso in politica" (Di Renzo), "La magia e il potere - l'esoterismo nella politica occidentale" (Lindau). Ha scritto regolarmente su "Panorama", "La Repubblica", "Il Messaggero", "Il Secolo XIX".
Economia: Roberto Ruozi
Si è laureato con 110 e lode all'Università Commerciale "Luigi Bocconi" nel 1961, dove è stato Rettore dal 1995 al 2000 e Professore Ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari fino al 2002. Ha insegnato nelle Università di Ancona, Siena, Parma, Parigi (Sorbona) e al Politecnico di Milano. Attualmente è Professore emerito e Presidente del Centro Studi sull'innovazione finanziaria dell'Università Bocconi. È autore di numerose pubblicazioni su problematiche bancarie e finanziarie. Ha ricoperto importanti incarichi amministrativi in Società quotate e non quotate. È Presidente di Mediolanum S.p.A., ePlanet S.p.A., Axa Assicurazioni S.p.A., Factorit S.p.A., Palladio Finanziaria S.p.A., del Touring Club Italiano e del Piccolo Teatro di Milano. È membro del Consiglio di Amministrazione della Indesit S.p.A. e di Mediaset S.p.A.
Editoria: Luigi Cavalli
Dal 1954 al 1973 ha lavorato presso la casa editrice Rizzoli, svolgendo le varie incombenze di capo ufficio stampa, redattore della collana "I Classici Rizzoli", redattore della sezione di letteratura italiana e della rivista "Paragone" di Anna Banti, editor. Ha curato edizioni integrali di opere di classici italiani per le case editrici Rizzoli e Fulvio Rossi. Caporedattore dell'Enciclopedia Universale Rizzoli Larousse (1966-1971), è stato dirigente della sezione Grandi Opere Rizzoli. Dal 1973 al 1986 direttore editoriale della casa editrice Unedi (poi Scode), per la quale ha ideato e diretto l'Enciclopedia Universale, ha curato anche l'edizione dell'Enciclopedia Generale Mondadori (1984-1986). Direttore della Nuova Enciclopedia Universale Rizzoli Larousse (1989-1993), ha poi lavorato per Garzanti, collaborando all'enciclopedia multimediale Garzantjunior (1995) e coordinando i volumi di aggiornamento dell'Enciclopedia Europea. Ha anche tradotto romanzi, volumi di saggistica e "grandi opere" per vari editori.
Sport: Gian Paolo Ormezzano
Ha iniziato la sua carriera nel 1953 a "Tuttosport", dove diventa direttore dal 1974. Poi a "La Stampa" come inviato speciale. Dal 1960 collaboratore sportivo di "Famiglia Cristiana". Ventidue Olimpiadi da giornalista, record del mondo. E anche 28 Giri d'Italia, 12 Tour de France, tantissime edizioni dei campionati mondiali ed europei di calcio, atletica, basket, nuoto? Nel 1966 intervista i campioni di Mao nell'allora quasi inaccessibile Cina. Nel 1969 il lancio di Apollo 11 e la conquista della Luna. Libri di storia del calcio, del ciclismo, dell'atletica, e altri di arte varia e personaggi assortiti, sempre con lo sport di mezzo. Due romanzi con fondale sportivo. Per l'Enciclopedia Treccani, tanta storia dei Giochi olimpici invernali ed estivi.
ARCHITETTURA
All'indomani della Liberazione, gli architetti impegnati a dare risposte alla nuova realtà italiana si trovano di fronte a una difficile dialettica tra il pensiero e l'azione. Dal punto di vista urbanistico, l'entusiasmo e le generose illusioni accese dal clima posto in essere dal Comitato di Liberazione Nazionale consentono solo di fissare in modelli contenuti ancora fluidi le elaborazioni razionaliste già indicate nella seconda metà degli anni Trenta. Sul piano dell'architettura, il confronto con la storia, che in modo più o meno ambiguo caratterizzerà il decorso della ricerca italiana, costituisce il filo rosso di buona parte del dibattito aperto sulle prospettive della ricostruzione. Nel frattempo, le istanze tese alla formulazione di un linguaggio nuovo per molti sfociano con percorsi differenti nella vicenda neorealista (Ridolfi, Quaroni, Michelucci, D'Olivo, ma per certi aspetti anche molti della scuola "razionalista" milanese); per alcuni altri si porrà ancora un bisogno di superamento e di avanguardia che si manifesterà con il fulgore di una meteora nella breve esperienza brutalista (Viganò).
Segno della svolta politica del 1948 sarà il Piano Fanfani (1949), che darà origine alla Gestione INA-Casa con il titolo "Provvedimenti per incrementare l'occupazione operaia, agevolando la costruzione di case per lavoratori". Manifesto del neorealismo architettonico e insieme dell'ideologia dell'INA-casa è il quartiere Tiburtino a Roma, che vede riuniti tra il 1949 e il 1954 gli architetti Quaroni e Ridolfi. Anche a Milano, capitale indiscussa della cultura razionalista, si apre un dibattito molto profondo sulla "continuità " del Movimento Moderno, e una tacita parola d'ordine che si diffonde è sempre quella del superamento dialettico del "razionalismo" (Albini, BBPR, Figini e Pollini, Gardella, Cosenza, Caccia Dominioni, Ponti, Mollino, Michelucci). Luogo di confronto e verifica di queste diverse anime sarà l'importante esperienza legata allo sviluppo della Olivetti a Ivrea.
Un'altra posizione di grande valore, ma in quegli anni spesso accusata di "disimpegno", è l'esperienza "professionale" di alcuni isolati architetti, interessati certuni a ricerche formali e liriche (Libera, Moretti, Asnago e Vender) e altri a risultati più pragmatici e industriali (Minoletti, Bega, Mattioni). Se l'esperienza di progettazione dell'edilizia pubblica sarà causa di sofferte frustrazioni, la cultura architettonica di quegli anni potrà di converso contrapporre i successi ottenuti nel settore del design e, ancor più, quelli ottenuti nel campo della museografia (Scarpa, Albini, BBPR).
Alla fine degli anni Cinquanta crea scalpore l'esperienza progettuale che verrà complessivamente definita "neoliberty" (Gregotti, Rossi, Canella, Aulenti, Gabetti e Isola, Riva). Ciò che scandalizza sarà l'affermazione di un fallimento del movimento moderno, "dei suoi ideali etici tradotti in diete formali divenute superflue. Scalpore che, in gran parte - spiega Tafuri - è dovuto al loro fare emergere problemi sottesi, alla loro capacità di fare chiarezza (per eccesso di ambiguità ) sul contenuto oscillante dell'introspezione repressa, dell'intimismo catartico, del moralismo teorico propri dei nuovi 'maestri' italiani".
Curatore di sezione: Giampiero Bosoni
Architetto, professore associato di Architettura degli Interni e di Storia del design presso la Facoltà del Design del Politecnico di Milano. Dal 1998 è docente di Storia del design del mobile alla Scuola Universitaria Professionale della Svizzera italiana. Ha collaborato con Figini e Pollini, Vittorio Gregotti ed Enzo Mari, con i quali ha sviluppato l'interesse per la teoria e la storia del progetto nel campo dell'architettura e del disegno industriale. In particolare, sui temi del design e dell'abitare ha realizzato vari articoli per numerose riviste del settore (Abitare, Casabella, Domus, Interni, Ottagono, Crossing, Progex, Print, Rassegna, Pluriverso e altre) e scritto e curato diversi libri e mostre. Nel 1997 ha ideato e curato per la Triennale di Milano l'esposizione "Museo del design", dando vita al primo nucleo della Collezione permanente del design italiano della Triennale di Milano.
DESIGN
Inutile dire che il design italiano degli anni Cinquanta è uno dei settori disciplinari nei quali meglio si vede il formarsi di una nuova creatività , e forse quello dove più brillantemente si sono coniugati il fermento intellettuale e quello produttivo.
La sezione si apre con una raccolta di modelli in scala ridotta di alcune delle più famose realizzazioni di interni del tempo, posta a cerniera con la precedente sezione "Architettura". Questo passaggio dovrà testimoniare al visitatore con immediatezza quale palestra sia stato in quegli anni il design d'interni per la sperimentazione di un nuovo concetto di sistema degli oggetti e di paesaggio domestico, ma anche di negozi, di musei, di allestimenti fieristici.
"Il design di tutti, il design per tutti", questo potrebbe essere il titolo del nucleo centrale della sezione, nel quale, attraverso i brevetti, i disegni, la pubblicità , e naturalmente gli oggetti, verrà ricostruita la varietà di forme, la creatività diffusa di una ricerca dinamica e ottimista, che si riversa sia sugli aspetti funzionali, sia produttivi. Saranno esposti una serie di oggetti che sostanziano questa instancabile attività di ricerca di funzionalità ed eleganza: sia quelli destinati all'uso quotidiano (come la macchina per cucire, il ventilatore portatile, gli occhiali da motociclista firmati Baruffaldi, la penna a sfera Auretta firmata da Albe Steiner per l'Aurora, fino alle confezioni per i medicinali, sempre di Steiner) che i brevetti più bizzarri (come il piatto inclinato per minestre o il dado per giocare al Totocalcio), senza dimenticare naturalmente i pezzi diventati "classici", come le lampade dei fratelli Castiglioni (poi prodotte da Flos). Sono anni, inoltre, che vedono una particolare attenzione per la ricerca grafica da parte delle aziende, con la creazione di alcuni marchi commerciali che sono giunti fino a oggi (ad esempio, i marchi della Rinascente e dell'acqua Frisia disegnati da Max Huber).
E poi, tutti quegli oggetti che in quegli anni sono stati pensati e prodotti per entrare a far parte della quotidianità in casa, al bar, in ufficio, in una continua tensione fra l'evoluzione di un artigianato di alto livello, alla ricerca di un'eleganza formale di gusto borghese, e una vena artistica più "di rottura", ironica e destrutturata. La "Lettera 22" e la "Divisumma" di Marcello Nizzoli, i primi televisori, il telefono "Sellidor" Safnat, gli interruttori "Magic"; e ancora tutto quel vasto mondo degli elementi d'arredo, ai quali si comincia a pensare con un occhio attento agli aspetti estetici, funzionali e produttivi, e per i quali spesso si sperimentano nuovi materiali: sedie, poltrone, tavoli, lampade, ai quali applicano la loro creatività tutti i grandi architetti.
Il design italiano degli anni Cinquanta vede per l'appunto cimentarsi, in questo nuovo campo progettuale, tutti i più grandi maestri dell'architettura: da Gio Ponti a Franco Albini, da Viganò a Zanuso, dai fratelli Castiglioni a Mollino e Munari. Nell'ultima sala della sezione, per ciascuno di questi maestri (sono stati scelti dieci "protagonisti") verranno presentate le opere più emblematiche, indicate come archetipi di un originale modo italiano di affrontare il tema del design, accompagnate da modelli e disegni. Da questi esempi risulta chiaro che il design italiano di allora non era ispirato solo dalla pura ricerca funzionale, ma piuttosto era sostenuto da una ben fondata e brillante ricerca estetica, come è dimostrato dalla carica anticipatrice di questi prototipi spesso entrati in produzione molti anni dopo. Alcuni esempi sono l'aspirapolvere REM in nylon rosso dei fratelli Castiglioni, una vera e propria "scultura" compatta con un'elegante cinghietta in pelle per portarlo a spalla; la seduta "Mezzadro", realizzata nel 1957 e prodotta da Zanotta nel 1970; oppure la poltroncina "Famiglia Antropus" (1949-1950) disegnata da Marco Zanuso, prototipo di studio per l'applicazione della gommapiuma, messa in produzione dalla Arflex molti anni più tardi, che lancia a livello mondiale l'imbottito industriale; la sedia "Superleggera" di Ponti prodotta da Cassina (nell'introvabile prima versione bianca e nera).
Curatore di sezione: Giampiero Bosoni
GRAFICA
Gli anni Cinquanta hanno rappresentato per la grafica italiana il passaggio definitivo da una concezione di arte applicata alla forma moderna di una disciplina che ha il proprio statuto nella comunicazione visiva. In questi anni si assiste al superamento definitivo dell'approccio cartellonistico e della réclame, verso una direzione variegata dalla pubblicità al design, dall'imballaggio alla corporate.
Molteplici sono gli apporti e i protagonisti di questa esuberante stagione. La peculiarità della grafica italiana si definisce a partire dall'assorbimento della lezione del cartellonismo, e quindi dell'approccio artistico al mestiere, ma riesce a interpretare le nuove pulsioni della scena europea della disciplina. Il funzionalismo, la scuola costruttivista, la nuova tipografia che giungono in Italia dalla Germania, dalla Svizzera, dall'Olanda e dall'Inghilterra trovano in Italia autori capaci di accogliere queste novità e di re-intepretarle con un linguaggio personale e autoriale che mette alla prova gli assunti metodologici di queste nuove tendenze, soprattutto attraverso il confronto con la tradizione iconica del passato, della grande tradizione umanistica italiana.
La sezione dedicata alla grafica - pur senza dimenticare i grandi maestri, come Steiner, Huber e Carboni - si articola nell'illustrazione di quattro approcci, che vogliono esemplificare questa storia e anche la diffusione e l'espandersi di una cultura del progetto grafico nel nostro Paese in quegli anni. A partire da questo obiettivo, vengono raccontate quattro micro-storie che facilitino e avvicinino alle diverse sensibilità di un mestiere e alle diverse interpretazioni di un profondo cambiamento disciplinare.
A Milano, Franco Grignani, un autore che riesce a ricondurre alla grafica la lezione futurista e che anticipa un approccio dinamico e cinetico, raccontato attraverso il suo lungo lavoro pubblicitario per gli stabilimenti tipografici Alfieri & Lacroix; a Genova, Eugenio Carmi, oggi affermato artista, ha avuto un inizio di carriera legato alla grafica negli anni Cinquanta, collaborando con le acciaierie Cornigliaro prima e poi con l'Italsider, e realizzando un lavoro di art-direction fortemente anticipatorio, in un contesto di grande vitalità culturale; ancora a Milano, Michele Provinciali, che marchia il design italiano, le riviste, le aziende (Kartell, Zanotta ecc.) attraverso un approccio unico, connotato dalla capacità di leggere il moderno con gli occhi e gli strumenti del passato; infine a Torino, Armando Testa, che rappresenta un approccio alla pubblicità intesa in senso moderno, dotandola di grande forza di rappresentazione sintetica, eleganza e vicinanza formale, capacità di racconto e di affabulazione. I suoi lavori per Carpano, Facis, Pirelli sono ormai diventati icone di uno stile della pubblicità italiana.
Curatore di sezione: Mario Piazza
Grafico e architetto, dal 1982 lavora a Milano, occupandosi di comunicazione, immagine coordinata e allestimento. Nel 1996 ha fondato 46xy, studio di design e di strategie di comunicazione. Dal 1992 è Presidente dell'AIAP, Associazione italiana progettazione per la comunicazione visiva. Dal 1997 è docente di Comunicazione Visiva presso il Politecnico di Milano. Dal 2004 è creative director di "Domus". Progetta e cura mostre sulla grafica e pubblica libri (tra gli ultimi "Progettare il marchio", "Italic 1.0. Il disegno dei caratteri contemporaneo in Italia", "Una firma per sei") e collabora con riviste specializzate ("Abitare", "Progetto grafico", "Linea Grafica").
CINEMA
Gli anni Cinquanta sono probabilmente il periodo del cinema italiano più sottovalutato e misconosciuto. È proprio in questi anni che, grazie soprattutto all'esperienza neorealista, ma non solo, il cinema riesce a fare dello schermo il collettore di speranze collettive di un'Italia che vuole rimettersi in cammino, arrivando addirittura a farne il luogo e lo strumento privilegiato di confluenza di elementi identitari forti, capaci di ottenere un immediato riscontro all'estero, maggiore di qualsiasi azione diplomatica. Si può capire, allora, come il cinema degli anni Cinquanta sia qualche cosa di più che la semplice "tomba" del neorealismo, piuttosto il tentativo, perseguito sia sul piano industriale che su quello culturale, di ritrovare un rapporto con il pubblico e con il Paese, per recuperare un legame con la realtà vissuta quotidianamente dagli spettatori, in grado di far sognare, ma anche riflettere e pensare, e sostenendo con i numeri della produzione quel bisogno di parlare a tutti.
In mostra, lo straordinario intreccio tra film impegnati e film popolari, tra pratiche alte e produzioni basse. Se è grazie ai film di De Sica e Zavattini e a quelli di Rossellini che il cinema ritrova una propria ragion d'essere, è altrettanto indubitabile che i film di genere, come il melodramma alla Matarazzo e il film comico con Totò, fanno propri quello "spirito del tempo" che il neorealismo ha così ben fatto emergere.
Senza dimenticare che accanto a loro, accanto ai già acclamati Rossellini e De Sica, ai "maestri" che verranno incoronati negli anni Sessanta (Visconti, Fellini e Antonioni, autori, tra il '50 e il '60, di alcune delle loro opere migliori, a cominciare da Bellissima per proseguire con Il grido o Le notti di Cabiria), vi sono i "giovani" Lizzani e De Santis e gli autori di commedie che in questo decennio impareranno il mestiere e si prepareranno al salto di qualità (il Comencini di Pane amore e fantasia, della Valigia dei sogni o della Finestra sul luna park; il Lattuada del Mulino del Po, di Anna, del Cappotto, della Spiaggia; il Monicelli delle Infedeli, di Totò e Carolina, dei Soliti ignoti; il Risi del Segno di Venere, di Poveri ma belli, del Vedovo).
La sezione dedicata al Cinema presenta - oltre a una rassegna cinematografica promossa dalla Provincia di Milano, e realizzata in collaborazione con la Cineteca Italiana - i documenti, gli oggetti di scena, i costumi, i manifesti originali, le fotografie delle star, nonché una selezione di spezzoni cinematografici, tratti dai capolavori dei registi dell'epoca: dal tutù della bambina di Bellissima, ai disegni di Fellini e alle caricature di Maccari dell'onorevole Giulio Andreotti - che giocò allora un ruolo fondamentale per il cinema italiano, quale Sottosegretario alla presidenza con delega allo Spettacolo - , ai documenti della censura, alle sceneggiature originali, fino ad arrivare al grande Cristo che compare nella prima scena della Dolce vita, o agli elementi di scenografia di Ben Hur e alla bicicletta di Don Camillo.
Una galleria fotografica ripercorre infine i volti e il "mestiere" del cinema, accompagnata da un omaggio alle "maggiorate", non solo donne dal prorompente fisico, ma modelli di una femminilità che riesce, negli anni del dopoguerra, a imporre un proprio ruolo nella società .
Curatore di sezione: Paolo Mereghetti
Nato a Milano nel 1949, attualmente è caporedattore al "Corriere della Sera", dopo aver lavorato all'"Europeo", "Repubblica" e "King". Critico cinematografico, ha pubblicato saggi e libri su Orson Welles, Arthur Penn, Jacques Rivette, Sam Peckinpah, Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi. È l'autore del dizionario dei film "Il Mereghetti".
TELEVISIONE
L'inizio delle trasmissioni televisive regolari sul territorio nazionale, alle 11.00 di domenica 3 gennaio 1954, segna un momento di straordinaria importanza nella storia del nostro Paese.
Ha inizio la programmazione della televisione italiana, ed è subito Mike Bongiorno. È suo, infatti, il primo programma trasmesso nel pomeriggio dalle 14.30 alle 14.45: "Arrivi e partenze"; la formula è semplice: una serie di incontri - in studio o filmati all'aeroporto di Ciampino - con personaggi famosi di passaggio a Roma.
Se gli italiani hanno già imparato a parlare una lingua unica grazie alla radio, l'inizio della programmazione televisiva accelera il processo di alfabettizazione e di crescita culturale, grazie a un'offerta straordinariamente varia che assolve una funzione didattica e pluralistica, portando a disposizione di tutti la cultura, l'informazione, il teatro, la letteratura. Il palinsenso RAI degli anni Cinquanta accosta programmi di varietà e quiz - basti pensare al fenomeno di "Lascia o raddoppia?" - a trasmissioni di informazione, di cultura, musica e sport (il primo numero della "Domenica sportiva" è proprio del 1954). La gente si organizza, sfruttando le vetrine dei negozi di elettrodomestici o riversandosi in massa nell'appartamento del vicino di casa più ricco; il fenomeno dell'"ascolto di palazzo" durerà per quattro o cinque anni.
Attraverso i principali filoni di quella televisione - informazione, cultura, divulgazione, intrattenimento, sceneggiati, sport e pubblicità -, la mostra costruisce un racconto per immagini di quella che è stata la peculiarità della televisione dei primi anni, e che a un'analisi storica appare il sorprendente archetipo di ciò che verrà dopo.
Il livello della proposta televisiva degli anni Cinquanta è garantito da professionalità di straordinario rilievo: si pensi a Enzo Biagi e ai suoi reportages; ma anche a Giorgio Albertazzi con "Appuntamento con la novella"; o a Mario Soldati alla scoperta del Po; o ancora a Tognazzi e Vianello, protagonisti delle prime trasmissioni satiriche della storia dell'umorismo televisivo; o alla nascita di "Carosello" nel 1957, prodotto di altissima qualità , a cui collaboravano capaci professionisti.
C'è già quasi tutto in questa programmazione: al visitatore l'affascinante compito di ricostruire, attraverso il materiale originale selezionato dalle Teche RAI, gli esordi della storia del mezzo televisivo in Italia.
Curatore di sezione: Barbara Scaramucci
È laureata in Giurisprudenza all'Università La Sapienza di Roma ed è giornalista professionista dal 1980. Ha iniziato la professione giornalistica nelle redazioni de "Il Globo" e "Avvenire". È entrata alla Rai nel 1983. È stata redattore, capo servizio e vice capo redattore della "Cronaca" al TG1, poi redattore capo della segreteria di redazione del TG3. Nel 1994 ha diretto la Testata Giornalistica Regionale, prima donna a ricoprire l'incarico di direttore giornalistico alla Rai. Dal 1996 dirige le Teche della Rai. La direzione Teche ha realizzato il primo sistema in Europa di catalogazione multimediale dell'audiovisivo, attualmente preso come modello in test da parte dell'Unione Europea di Broadcaster (UER), ed è stata inserita nel 2000 dall'UNESCO nel registro della "memoria d'Italia". Dal 2003 è responsabile del laboratorio in catalogazione video del DAMS dell'Università di Roma Tre e collabora al master MIDA dell'Università di Roma Tor Vergata. È coautore del volume "Mamma Rai" per i quaderni di storia della Le Monnier (premio Diego Fabbri 1997) e dei volumi "Radiorario" e "Cultura per il 2000: gli anni de L'Approdo" (edizioni ERI, 1999). Con Peppino Ortoleva ha curato "L'enciclopedia della radio (Garzanti, 2003). Nel 2004 ha pubblicato con Claudio Ferretti "Ricorderai" (edizioni ERI), che ha vinto il premio Ostia per la saggistica e il premio speciale del festival del cinema di Salerno.
MODA
Gli anni del secondo dopoguerra segnarono un momento di svolta cruciale nelle dinamiche dei processi creativi e produttivi della moda italiana, dando avvio a quel successo in ambito internazionale che fino a oggi ha caratterizzato questo settore. Gli intrecci fra l'influenza della moda francese, la spinta all'internazionalizzazione rappresentata dall'apertura al mercato americano, la fruttuosa alleanza fra la sartoria e il dinamico settore della produzione tessile, le abilità dei protagonisti della scena creativa e artigianale del tempo, le innovazioni apportate dalla ricerca di nuovi tessuti e le esigenze di un modo di vivere in rapido rinnovamento, favorirono il nascere di un gusto e di uno stile sempre più preciso e indipendente, foriero della fortuna dell'italian style.
Per rispondere alle esigenze della nuova clientela, i raffinati creatori di moda idearono uno stile di abbigliamento che aveva le caratteristiche funzionali dello sportswear, ma rivestito di un contenuto artigianale e di un gusto che aveva a che fare con le tradizioni di un paese antico: un prodotto che contenesse un'idea di Italia distillata per un pubblico straniero. I risultati furono immediati e durevoli nel tempo, e in quest'avventura un partner essenziale fu l'industria tessile. La produzione dei tessuti artificiali divenne infatti uno dei motori dello sviluppo dell'intero settore moda italiano; il connubio fra le case di moda e l'industria tessile fornì reciproci slanci e nuovi spunti creativi.
La Sala Bianca di Palazzo Pitti divenne la vetrina della produzione di moda più prestigiosa del nostro Paese, mentre a Roma la produzione di moda si dedicò all'industria cinematografica di Cinecittà , e numerose sartorie della capitale vantavano fra la loro clientela nomi celebri dello star-system. A Milano, al contrario, si impose uno stile più semplice e sobrio, esito della forte attenzione per la nascente cultura del design, basato sulla ricerca della funzionalità e della linearità delle forme.
La sezione dedicata alla moda riflette e ripercorre con straordinaria efficacia questo variopinto scenario, e offre al visitatore un'occasione unica per indagare, rintracciare e ammirare con rinnovato stupore i capolavori della straordinaria creatività della moda italiana anni Cinquanta. In mostra, i capi più significativi provenienti dalle prestigiose sartorie del tempo: i raffinati ed esclusivi abiti da sera delle collezioni Schuberth, Fontana, Antonelli, Simonetta, Veneziani e Biki; i modelli da cocktail - termine coniato da Dior per descrivere gli abiti corti ed eleganti; le innovative creazioni di Marucelli, esito della contaminazione con la sperimentazione artistica.
Accanto a questi, a rievocare le sfilate della Sala Bianca, saranno esposti modelli boutique di Emilio Pucci, Mirsa, Miricae: abiti dal taglio semplice, camicie, gonne, maglieria, straordinaria rappresentazione dello stile italiano, frutto della ricerca e dell'utilizzo di materiali innovativi - come l'incredibile abito della Tessitrice dell'isola realizzato in tela di cellophane -, di originali fantasie di colore e di sapienti produzioni artigianali. Ampio spazio verrà poi dato anche al settore dei tessuti (con le produzioni di Taroni, Costa, Pria e molti altri), alla creazione di accessori (Gucci, Ferragamo, Roberta di Camerino), alla bigiotteria (Coppola e Toppo) e alla modisteria (Gallia & Peter).
Curatore di sezione: Enrica Morini
Insegna Storia del Costume e della Moda all'Università IULM di Milano e si occupa in particolare della storia della moda contemporanea. Ha pubblicato "Storia della moda dal XVIII al XX secolo" (Skira, 2000) e saggi su diversi argomenti, fra cui il prêt-à -porter italiano e le mode giovanili. Ha redatto diverse voci per l'Enciclopedia della Moda Treccani, in corso di pubblicazione. Ha curato inoltre diverse mostre.
La parte relativa ai tessuti è stata curata da Margherita Rosina
FOTOGRAFIA
Gli anni compresi fra il 1948 e il 1960 segnano un periodo cruciale della storia italiana recente, caratterizzato da un clima di rinnovamento che coinvolge ogni settore del tessuto produttivo e creativo dell'Italia. È la fotografia d'autore, presente in mostra attraverso le espressioni dei suoi principali protagonisti, a immortalare il volto della nazione, secondo quello spirito realista che informava di sé gran parte della produzione artistico-culturale degli anni Cinquanta.
In mostra circa 150 opere (molte delle quali con stampe originali dell'epoca), scelte a rappresentazione dei differenti linguaggi espressivi e delle peculiari sensibilità artistiche dei grandi fotografi italiani e stranieri, in un percorso di immagini atto a cogliere gli aspetti contrastanti di un paese in trasformazione.
In primo luogo saranno messe a confronto le creazioni dei grandi maestri di origine fotoamatoriale (come Giuseppe Cavalli, Pietro Donzelli, Mario Giacomelli) con quelle dei loro amici impegnati nella professione (Paolo Monti, Mario De Biasi, Fulvio Roiter). A questo dialogo di immagini prenderanno parte anche le fotografie di alcuni grandi autori stranieri attivi in Italia: da David Lees a Herbert List, da Henri Cartier-Bresson a Paul Strand, maestri che seppero diffondere con la verità dei loro reportage il volto di un'Italia lontana e in rapido mutamento.
Il percorso prende avvio da i nostri paesaggi più famosi, immobili da secoli e poi trasformati dall'espansione delle città . Accanto ai grandi centri urbani convivono i mille paesi della celebre provincia italiana, realtà animate da ambienti e atmosfere oggi scomparse: mercati, bar e trattorie, feste e balli.
Il racconto in immagini si sviluppa attraverso nuove forme di linguaggio fotografico che interpretano i tratti salienti del tessuto sociale e culturale di un paese coinvolto in un processo di modernizzazione: la condizione dell'infanzia e quella della donna; l'analisi dei corpi femminili e maschili operata dai fotografi secondo linguaggi di sorprendente modernità ; i ritratti in studio - abitudine sociale ancora diffusa nel periodo in esame -, che sembrano presentarci volti dal più moderno carattere; l'universo luccicante dello star-system; i protagonisti della cultura e dell'arte; il passaggio dalla realtà produttiva agricola a quella industriale; e poi, ancora, l'emigrazione, i riti religiosi, la vita politica e gli sport di massa.
Presenti in mostra anche autori giovanissimi, al loro esordio in quel decennio, come Ugo Mulas, che percorre con attenzione le periferie di Milano e il quartiere di Brera, mentre volti noti e persone del popolo, della guerra e della successiva ricostruzione sono i soggetti prediletti da Federico Patellani. A questi nomi si aggiungono quelli di fotografi come Aldo Ballo, anch'egli agli inizi di una brillante attività di narratore dell'industria e del design, e di Federico Garolla, che testimonia la nascita della moda a Roma e ritrae il mondo dello spettacolo.
Curatore di sezione: Cesare Colombo
È protagonista da più di trent'anni nella fotografia e nella comunicazione visiva. Ha affiancato al lavoro di fotografo una lunga esperienza nel settore della ricerca, dell'analisi critica e dell'ordinamento di immagini storiche. Come fotografo-autore, ricordiamo due mostre e due fotolibri: "Milano veduta interna" (Alinari, 1990) e "Accordi. Claudio Abbado e i Berliner" , testo di Ermanno Olmi (Motta, 1996). Dagli anni Sessanta ha prodotto servizi fotografici soprattutto per riviste di architettura come "Abitare" e "Domus" e per aziende. Come ricercatore, ha curato numerose mostre e fotolibri per editori, aziende ed enti pubblici. Ha diretto l'ordinamento della Fototeca 3M Italia (ex Ferrania) e ha contribuito come consulente all'ordinamento e alla valorizzazione degli Archivi Alinari, del Touring Club Italiano e all'"Archivio dello spazio" della Provincia di Milano.
ARTE
Caratterizzato dalla divisione politica in blocchi, il secondo dopoguerra vede il progressivo trasferimento del punto di riferimento, in campo artistico, verso New York, che diventa il polo intellettuale di tutte le avanguardie, fulcro dinamico del dibattito e del cambiamento.
Nel dialogo che si viene così a instaurare tra le due sponde dell'Oceano, tuttavia, non solo è forte l'attenzione degli artisti italiani verso il "nuovo mondo" rappresentato dagli Stati Uniti: Afro, Guttuso, Morlotti, Rotella, Dorazio e altri trascorreranno periodi più o meno lunghi a confrontarsi con le nuove tendenze d'oltreoceano; ma anche l'Italia continua a essere meta obbligata degli artisti americani (vi soggiorneranno infatti, tra gli altri, Rothko, Twombly e Rauschenberg), non solo perché depositaria di una grande tradizione antica, ma anche perché sede di un vivace dibattito contemporaneo.
A testimoniare questo reciproco interesse, le esposizioni che vedono presenti gli artisti americani nelle gallerie e nelle rassegne italiane: nel 1950, ad esempio, si tiene a Venezia la prima mostra europea dedicata a Pollock, mentre Calder vince il Gran Premio per la Scultura alla Biennale del 1952.
Forte è anche l'attenzione che musei e gallerie americane dedicano all'arte italiana: nel giugno del 1949 viene inaugurata al Museum of Modern Art di New York la mostra "Twentieth-Century Italian Art"; così come rassegne monografiche sono dedicate a Burri, Guttuso, Morlotti e Dorazio.
La critica americana dimostra poi un particolare interesse verso gli artisti italiani: "I contemporanei italiani, così poco conosciuti in questo paese fino ad alcuni anni or sono, ci sono passati davanti con sorprendente rapidità [?]. Una caratteristica curiosa del mutamento del panorama artistico straniero è che - proprio come i francesi, inspiegabilmente, sembrano aver perso quella vivacità di sperimentazione e quel coraggio che li ha mantenuti alla guida del movimento modernista per la maggior parte del secolo attuale - gli italiani paiono aver riacquistato quel coraggio di cui avevano dato prova, seppur per breve periodo, durante i grandi giorni di Balla, Severini e degli altri innovatori di un paio di generazioni fa".
La sezione vuole dunque ripercorrere questo fecondo decennio, nel quale la scena artistica italiana vive un periodo per nulla marginale, ma anzi vivace e propositivo, dialettico e polemico, entusiasta e dinamico, caratterizzato da un proliferare di movimenti, polemiche, manifesti.
Per sommi capi, il dibattito prende il via dal confronto tra una posizione in qualche modo riconducibile allo Spazialismo di Fontana - l'artista che maggiormente coagula e stimola nuove idee e nuove forme, e che va considerato un caposcuola geniale e intuitivo -, per un'arte che travalichi i concetti di spazio e di tempo, e un'area che si ispira al Fronte nuovo delle arti di Guttuso, Morlotti e Vedova, per i quali l'arte deve rappresentare una partecipazione totale alla realtà degli uomini, in relazione con la storia.
A fianco di queste posizioni, e come diramazioni da esse, molti sono i gruppi e i movimenti che caratterizzano l'arte italiana del decennio.
A cominciare dal M.A.C. - Movimento di Arte Concreta, fondato nel 1948, tra gli altri, da Gillo Dorfles e Bruno Munari, che alla ricerca di una forma pura, scevra da contaminazioni con la rappresentazione naturalistica, univa un'attenzione per l'industrial design, emblematica del rapporto che in questi anni lega artisti, architetti e designer.
E poi il Gruppo degli Otto (con Afro, Morlotti, Vedova) e il Manifesto di Origine (sottoscritto da Burri e Capogrossi).
Per continuare con l'esperienza dell'"Informale", nella quale, pur senza un manifesto o dei programmi enunciati, si riconobbero diversi artisti, da Capogrossi a Tancredi, da Scanavino a Roberto Crippa, da Alfredo Chighine a Francesco Somaini.
E ancora, Enrico Baj e Sergio Dangelo, che nel 1952 lanciano il Manifesto della pittura nucleare.
Nella seconda metà del decennio, una nuova generazione si prepara a prendere il testimone del cambiamento: Piero Manzoni, Enrico Castellani, Dadamaino, Gianni Colombo, Grazia Varisco. Questi artisti, che hanno poco più di vent'anni, non risentono delle tensioni dialettiche che hanno caratterizzato i dieci anni precedenti.
Di questi anni sono i celeberrimi "achromes" di Manzoni, nei quali l'artista, riflettendo sull'opera quale "area di libertà ", va eliminando via via ogni elemento figurativo o cromatico, azzerando così ogni ipotesi metaforica, rappresentativa o narrativa.
Infine, Mimmo Rotella, che già dal 1957 lavora strappando i manifesti stradali e riportandoli poi su tela, con sovrapposizioni di immagini tratte dai cartelloni pubblicitari, che definisce décollages, prefigurazione di quella che di lì a qualche anno sarà la Pop Art.
Curatore di sezione: Claudia Gian Ferrari
Titolare dal 1974 dell'omonima galleria d'arte fondata nel 1936, la conduce in prima persona privilegiando il recupero di artisti fra le due guerre (da Wildt a Cagnaccio di San Pietro, da Pirandello a Sironi e da de Pisis ad Arturo Martini e Gino Rossi), presentati con cataloghi scientificamente concepiti. Ha curato numerose mostre in Italia e in Germania. È segretaria dell'Associazione Amici di Arturo Martini, e insieme a Luciano Caramel e Filippo Tibertelli de Pisis è membro del Consiglio Direttivo dell'Associazione per il Patrocinio dell'opera di Filippo de Pisis.
Conferenza stampa di anteprima della mostra Giovedì 3 Marzo alle ore 11.30
La cerimonia di inaugurazione avrà luogo nella Sala delle Cariatidi alle ore 18.
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