La Dolce Vita
Prato
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Ignazio Fresu
dal 14/5/2005 al 30/9/2005
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Segnalato da

Enzo Bettazzi




 
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14/5/2005

Ignazio Fresu

La Dolce Vita, Prato

Impermanenze. Retrospettiva. ''Nei miei lavori ricerco l'intrinseca bellezza di cui e' permeata la transitorieta' (...) Con un linguaggio di ossidazioni, opacizzazioni, scolorimenti, screpolature, macchie, incurvature rimando ai meccanismi e alle dinamiche piu' delicate dell'esistenza''. I. F.


comunicato stampa

Le impermanenze

Ignazio Fresu non si accontenta di cercare e creare. Egli vuole cogliere i meccanismi celati nella creazione e nella continua mutazione, unica vera realtà immanente. Sono andata a trovarlo a Prato, dove vive e lavora e sono venuta a conoscenza dei suoi più recenti lavori: Impermanenze.
Egli usa - su supporti che vanno dalla tradizionale tela al mastice per intonaco- metalli in foglia, in polvere, allo stato grezzo e minerale. Ne è affascinato per la proprietà di trasformazione che permette all’uomo di intervenire sulla materia di cui non controlla l’origine. Ciò che mi ha colpito in Fresu è l’intenzionalità, la determinazione a non perdere mai di vista il fine ultimo della sua ricerca, l’identità etica/estetica, la responsabilità che sente dentro di sé in quanto artista…

“Attraverso la fragilità, la precarietà, la deperibilità, nei miei lavori – scrive – ricerco l’intrinseca bellezza di cui è permeata la transitorietà, riconoscendole valore estetico. Con l’uso di materiali palesemente vulnerabili, attraverso un linguaggio di ossidazioni, opacizzazioni, scolorimenti, screpolature, macchie, incurvature, nel realizzare oggetti stremati, disidratati, sul punto di smaterializzarsi, riamando ai meccanismi e alle dinamiche più delicate dell’esistenza. In aperto contrasto col mondo circostante, patinato, plastificato, che ha assunto a modello l’apparenza ostentatamente estetizzante… come il seme che morendo rinasce, mi prefiggo che l’opera trasfiguri rivelando nella materia la propria rappresentazione, ma da questa trascenda”.

Questa ricerca a ritroso, alle origini alla ricerca del mistero della creazione, al punto in cui forma e spirito vibrano all’unisono essendosi incontrati nel difficile punto d’equilibrio, nell’ordine del caos, mi sembra un momento di silenzio e di riflessione, e pure di rifiuto, in una civiltà che ha perso di visto i bisogni primari la comunicazione a livello profondo. Mi fa sperare nella possibilità ri-generativa – attraverso le fibre dell’arte – un mondo agonizzante. Investo l’arte e gli artisti di una grande responsabilità quali possibili artefici della genesi di una nuova umanità, di una sensibilità più estesa. Essi rappresentano oggi il tentativo di elevazione dell’umano, nel suggerire dimensioni diverse, forme e stati attraverso i quali trovare il divino, l’anima mundi. Verso la metà anni ’50 Yves Klein disse: “Un mondo nuovo ha bisognoso di uomo nuovo”. Mai come oggi lo “slogan” assume un’importanza globale: Klein è stato uno dei pochi grandi artisti ispirati negli ultimi cinquant’anni di storia dell’arte, tra tanti grandi provocatori dalle idee geniale dal potere sovversivo. Ma l’artista-sciamano, l’artista che vuole andare oltre, colui il quale non perde mai di vista il suo potere comunicativo e la sua missione di liberatore di menti è ciò di cui , davvero abbiamo bisogno.

Tutto questo indipendentemente dal mezzo espressivo usato, dal più tradizionale all’ipercybertecnologico. Quando non è strumentalizzato da qualcuno o qualcosa di cui intende persuaderci; ma questo è un altro discorso.

A cura di Cristina Trivellin

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