In mostra una ventina di opere tra grandi affreschi, cartoni, fotografie dipinte e musiche sul tema dei bambini e della scuola. L'artista circoscrive un mondo di affetti, ispirato dalla sua storia personale e da un luogo sacro e profano come il suo atelier: una chiesa sconsacrata a Verduno nel cuore delle Langhe.
Primary
A cura di Vittoria Coen
Valerio Berruti è un giovane artista piemontese conosciuto da tempo per le sue opere eleganti ed essenziali realizzate con l'antica tecnica dell'affresco.
Rappresentando famiglie e bambini circoscrive un mondo di affetti, ispirato dalla sua storia personale e da un luogo sacro e profano come il suo atelier: una chiesa sconsacrata a Verduno nel cuore delle Langhe.
Vincitore dell'edizione 2005 del concorso PagineBianche® D’Autore è stato selezionato sempre nel 2005 dall’International Studio & Curatorial Program di New York come unico artista italiano.
"Si intitoleranno 'Primary', scuole di primo livello, le grandi tele che ho realizzato proprio a New York per la mostra di Torino" spiega Valerio Berruti "Sono le mie amate scolaresche, bambini con divise scolastiche e i grandi fiocchi al collo che negli anni diventeranno cravatte troppo strette. I bambini composti, spesso anonimi...descriveranno musiche latenti scandite dalla posizione astratta e casuale di teste, braccia e piedi frementi... Musica di fiaba, estremamente personale e appassionata, caratterizzata da risate di bambini, in contrasto con i visi tutti uguali e allineati, costretti a una posa statica e innaturale."
Nella mostra organizzata da Ermanno Tedeschi negli spazi torinesi di Via Giulio 6, Vittoria Coen, curatrice della mostra, presenterà una ventina di opere tra grandi affreschi, cartoni, fotografie dipinte e musiche sul tema dei bambini e della scuola (di qui il titolo "Primary").
Catalogo Charta a cura Raffaella Guidobono. Visualproject di Valerio Berruti.
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Valerio Berruti “Primaryâ€, a cura di Vittoria Coen
“All the things that are…… are musical†(Richard Crashaw).
Decisamente avverso al tema della violenza e della depravazione disperata, che tanto spazio occupa nei toni correnti di molte espressioni dell’arte contemporanea, l’arte di Valerio Berruti sceglie i “bambiniâ€. Non c’è, però, in questa scelta, il roseo profumo di vecchie cartoline augurali, non c’è l’opprimente ridondanza decorativa, non ci sono gli sguardi compiaciuti e le premonizioni di grandi destini di un futuro da campioni.
I bambini di Berruti sono naturalmente reali, dolcemente quasi disarmati, da soli o accompagnati da una presenza adulta, perché la famiglia c’è.
Sono un’ipotesi di un passato che potrebbe essere anche il nostro passato, momenti di un’infanzia dimenticata per forza di cose, che qualche volta riaffiora da una vecchia fotografia e ci dà un po’ di stupore: eravamo proprio così? E dov’è finita quella maglietta che amavamo tanto?
Non c’è niente di banalmente convenzionale nelle forme semplicissime, anonime, non ci sono protagonismi. Così vere e semplici, le figurette si direbbero lineari prototipi di un’umanità che dovrà crescere, che farà cose, che ha in sé potenziali segreti di armonia, che è dentro le cose, anche in quelle che non si vedono.
Nella serie dei santi bambini c’era un’intenzione laicamente affettuosa. Radicare nell’infanzia le storie era, accanto alla scherzosa pseudo-identificazione, un modo efficace di avvicinare immagini della memoria e della tradizione ad un umano costantemente presente.
Era un modo di umanizzare l’iconografia sacra e la leggenda avvicinandole al tessuto di cui è fatto da sempre il nostro vivere. Non c’era, non c’è mai stata, io credo, nelle intenzioni di Berruti, nessuna ideologizzazione dell’infanzia, alla quale qualche artista ha voluto dare un’impronta, una veste primitiva, immaginando che un popolare arcaico esprima meglio il mistero.
Strutture elementari, identificazione negata anche quando il titolo è chiaramente allusivo: ogni referente è immanente nel soggetto fisico, l’immagine è autosufficiente, non ha bisogno di rimandi e di traslazioni per comunicare ciò che l’artista vuole esprimere, oggi per Berruti, decenni fa per Andy Warhol. E allora qual è il senso di un’operazione che ha allineato figurette sorelle, tanto simili fra loro da essere quasi indistinguibili, tipi piuttosto che individui?
Quanto più ridotto è il principio d’individuazione tanto maggiore è la possibilità di riconoscersi nel bambino, nel ragazzo, nella madre, nel “figlio prediletto†(tutti i figli sono prediletti?).
Il tratto così deliberatamente schematico allude ad una diversa concezione della categoria dell’essere, e la tecnica dell’affresco risulta funzionale, insieme con i colori delicati, alla trasmissione di una particolare situazione di sospensione.
Anche se si assomigliano i cuccioli di Berruti sono realtà in movimento, sono forniti di un prima e di un dopo. Sono fissate, queste realtà , nell’opera dell’artista, perché ci si ricordi che nella loro cosiddetta normalità ci sono universi possibili, come era già dalla nascita, nel nostro compagno di banco malgrado l’uniformità dell’abbigliamento, dal fiocco, dalla pettinatura, da quell’indefinibile non so che, segnale insostituibile che ci consegna tutti alle nostre storie.
Come l’artista sottolinea queste immagini richiamano al frammento, al fotogramma singolo, che in un attimo congela un gesto, un sorriso, “risa bloccateâ€. Berruti parla di “composizione musicaleâ€, di “pentagrammi†sui quali i piedini dei bambini si appoggiano metaforicamente. E non c’è alcun formalismo in queste forme, ma una promettente implicazione di armonia.
Ora Berruti ci confida la sua volontà di far rivivere “le atmosfere innovative†create dal Gruppo Fluxus in anni di grande fervore artistico. Dare forza all’antica aspirazione della sintesi delle arti, coltivata sin dal Rinascimento e cercata e proclamata con vigore dalle avanguardie del Novecento, è stata infatti proprio l’aspirazione degli artisti che negli Anni Sessanta hanno dato vita al movimento opportunamente chiamato, appunto, Fluxus.
Fluire e confluire, scorrere e incontrarsi in sintesi mobili e provvisorie, era piaciuto anche ai futuristi, ai dadaisti. Erano spinte rivoluzionarie, alternative, spavaldamente provocatorie.
Muoversi su tanti piani, nella sintesi delle arti; non c’erano globalizzazione né omologazione, ma incontri di una creatività che poteva rinnovare continuamente strumenti e produrre novità aggiungendo un rilievo nuovo al gesto e all’acquisizione della quotidianità nel suo farsi, senza preclusioni, senza pregiudizi.
E’ dunque un atteggiamento concettuale quello che restituisce all’oggetto artistico un valore autonomo, indipendente dai materiali e dalle tecniche. Qui, nelle tele di Berruti, l’oggetto artistico è leggibile, tangibile, commentabile. Ma non è un documento immobile.
La sintesi di suono e segno non è la cancellazione delle componenti, ma il dipanarsi di un potenziale ordine formale interno alle cose, una ricerca attenta e amorosa d’armonia.
Mantenendo fermamente al suo posto il soggetto, i bambini, proponendolo nella sua forma consueta e ben nota, lo si libera dagli eccessi di concretezza che nell’insistenza dei dettagli appesantirebbe e, proprio per questo motivo, creerebbe una non certo desiderata assenza di significato.
Il presente quotidiano della divisa scolastica dei bambini di Berruti, così prosaica in sé, sconfigge ogni tentazione di lettura asettica, paradossalmente. Propone invece un ritmo vitale, una melodia che si inventa nei possibili movimenti di queste sagome infantili. Una melodia latente che non verrà mai scritta sulla carta, ma che si ascolta con la memoria dei suoni che ognuno di noi potrebbe aver conservato dal suo passato.
Primary offre una presenza non ostentata, non esorbitante. Quel tanto di fisicità che vi si legge si smaterializza, scivola via verso toni immaginati che si muovono in una libertà senza confini, e tutto è evento.
Le forme suggeriscono movimento e suoni, sviluppando delicatamente i segni del loro dinamismo interno su inedite e private lunghezze d’onda.
Così mentre noi guardiamo i bambini, guardiamo dentro noi stessi e torniamo indietro nel tempo.
Immagine: 'Primary', 2004
Inaugurazione: 27 ottobre
Ermanno Tedeschi Gallery
Via Giulio 6 - Torino
Orario di visita: martedì-sabato 11-13 e 16-20