Centro Culturale Candiani
Mestre (VE)
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Vito Campanelli
dal 5/1/2006 al 18/1/2006

Segnalato da

Anna Toso




 
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5/1/2006

Vito Campanelli

Centro Culturale Candiani, Mestre (VE)

'' (...)Opus II e' un insieme forte di slittamenti dall'informe al farsi forma, tra presenza e assenza: mostra il divenire di forme geometriche, ma al contempo indeterminate, colte, quasi fotografate sullo sfondo di un'interiore notte nel momento del loro definirsi; presenze fatte di colori di un mondo che non e' il nostro. Affioramenti primordiali assumono sotto l'occhio dell'osservatore carattere di struttura: quel a cui si assiste e' la nascita della non-figurazione (...)''. Michela Giacon


comunicato stampa

Opus II - Forme Presenze

Ampia personale dell'artista Vito Campanelli al Centro Culturale Candiani di Mestre. Introduzione critica alle 36 opere esposte di Michela Giacon:

''Abbiamo cosi' una serie di enunciazioni visive, strutture linguistiche situabili in un ambiguo luogo di slittamento tra astrazione e informale, oscillanti dunque tra rigorismo formale astratto e dissolvenza della forma in “presenza" equivalente alla pura registrazione di gesti. E' proprio sulla contrapposizione, sul versus tra rigorismo formale, derivato dalle istanze costruttivistiche, e assenza della forma disciolta in un eccesso di spontaneita' della scrittura, di matrice espressionistica, che si e' fondata, secondo W. Hofmann, l'arte del XX' secolo. Allora “Opus II “ (2004/05) , l'ultima serie-fase pittorica di Campanelli, in qualita' d'esperimento di transizione tra queste due fondamentali tendenze, rappresentandone quasi un compendio e insieme un andare oltre, si configura quale fenomeno tipicamente contemporaneo, produzione del XXI' secolo.

Se nella pittura informale, ricordiamolo, il gesto assume il valore di un'improvvisazione psichica diretta di cui rimane visualizzata sulla tela la vibrante, dinamica energia, e le forme-presenze hanno spesso il carattere di affioramenti indistinti, nell'astrazione, invece, permane almeno una traccia di progettualita'; la forma sopravvive anche per assenza, al negativo, e continua a sussistere la differenza tra figura e sfondo, forma e spazio.

Campanelli, in “Opus II", si e' spostato sul versante dell'astrazione, ma operando, con risultati altamente originali, tramite tecniche e modalita' informali. Le forme e controforme che fa apparire presentano infatti una piu' o meno definita qualita' di struttura: rarefatte e minimaliste, ma di nuovo cose, figure che emergono chiaramente su/da un fondo; il raggelamento e la stasi che potrebbero derivare da questo nuovo esercizio di controllo, da questa traccia di premeditazione, vengono evitati e compensati dai sapienti residui di espressivita' che connotano la serie. Si osservi uno dei principali motivi ricorrenti in “Opus", che contribuisce a conferire alle opere l'identita' visiva di una sequenza: la tecnica della colatura, ovvero gli “sgocciolamenti" di colore di cui Morris Louis, maestro dell'astrazione post pittorica anni Sessanta, aveva fatto una scienza; tecnica proposta in modo piu' libero e apparentemente casuale anche da Sam Francis, nell'ambito della cosidddetta “New York School".

La reinterpretazione di Campanelli, squisitamente personale, non e' finalizzata unicamente all'effetto complessivo di movimento, che vuole accentuatamente mantenere. In questa pittura di transizione, luogo inquieto di forme non del tutto nate, solo parzialmente costituite, le colature sono da leggersi come un'inconscia, tesa ricerca di segni-non segno che facciano da ponte, da trait d'union , seppur esile, da collegamento capace di tenere in qualche modo insieme forme fantasime altrimenti piu' frammentarie e (a volte desolatamente) sperse, vulnerabili, quasi minacciate nel loro galleggiare solitario nell'ambiente-supporto. E' la paura esistenziale di ritrovarsi frammentati e dispersi, che trapela nell'identificazione dell'artista con la materia e la forma pittorica. Il cambiamento produce insicurezza, la trasformazione genera angoscia.

Campanelli si confronta, di volta in volta, con una parte del se' che, in modo certamente conflittuale, muta sembianza: l'aspetto finale e' ignoto allo stesso artista. Non sapere cosa si sta diventando, a quale apparenza-sostanza si perverra', non e' un'esperienza da cui uscire indenni: malessere e disagio del profondo, chiaramente avvertibili, creano una speciale aura di sobria, sospesa drammaticita'. “Opus II" e' un insieme forte di slittamenti dall'informe al farsi forma, tra presenza e assenza: mostra il divenire di forme geometriche, ma al contempo indeterminate, colte, quasi fotografate sullo sfondo di un'interiore notte nel momento del loro definirsi; presenze fatte di colori di un mondo che non e' il nostro. Un evento misterioso, quasi esoterico: l'origine della forma, proposto in tutte le varianti proprie a un rito ancestrale. Affioramenti primordiali assumono sotto l'occhio dell'osservatore carattere di struttura: quel a cui si assiste e' la nascita della non-figurazione.

A volte le forme-cosa - per esempio in “Opus II 555" - cozzano tra loro sfaldandosi e ricomponendosi, a volte invece - si veda la pregnante epifania del quasi-quadrato rosso in “Opus II 560" - scendono dall'invisibile nel riquadro del supporto mantenendo un rigore che puo' richiamare, come lontana ascendenza, significanti costruttivisti e minimali. In “Opus II 550" una sorta di ghigliottina rossa centrale scende a sfaldarsi, unita da esili colate alla sua meta' perduta che fuoriesce in caduta libera dalla tela. La vastita' del fondo nero e' compensata dall'intensa irradiazione luminosa prodotta, mediante un uso istintivamente sapiente del contrasto di quantita', dalla piccola macchia gialla isolata sulla sinistra, richiamata da strisce di giallo naviganti, alla medesima altezza, sulla banda rossa che funge da blocco a destra.

La composizione rettangolare di “Opus II 554" e' uno squarcio sfolgorante sullo scontro magmatico e sulfureo tra potenze virtuali, masse e nebulose di rossi in opposizione, accesi dalla presenza esplosiva di un'unica macchia blu. Essendo un'immagine simmetrica, nell'insieme possiede un valore percettivo evocante le macchie di Rorschach. “Opus II 546" e' una presenza bidimensionale e bicromatica fluttuante tra il geometrico e l'organico, un Narciso astratto riflesso come in uno specchio oscuro dalla superficie-fondo. In “Opus II 533“, una piccola composizione verticale, abbaglia l'accecante figura-sfondo creata dal ritaglio bianco sull'area nera, dai netti, incisivi contorni; alla zona in negativo in alto, tanto intensamente connotata, si contrappone, a piede, una macchia rossa sfumata e semi-trasparente. La capacita' di Campanelli di muoversi su registri diversi assicurando al contempo una lettura unitaria e d'impatto all'insieme e' davvero rilevante.

Anche “Opus II 535" presenta un'evidente dialettica figura-sfondo tra chiaro e scuro. La fantasmatica e spettrale sagoma bianca risulta collegata da sgocciolamenti trasparenti al non visto, ma esistente, del campo oscuro, a sinistra in alto, a destra lateralmente. Elemento di forza l'intervento materico, di valenza tattile e tridimensionale, che spicca, irregolare e dorato, al centro della chiazza bianca. Un discorso a parte richiedono “Dispersione (Return)" del 2004, un'opera singola che non fa propriamente parte di Opus, e “Opus II 554" , sempre del 2004, che rientrano invece nella tipologia dei segni di parvenza ideogrammatica: segni-scrittura di cui sopravvivono i significanti in disfacimento.

Le due opere richiamano sia i famosi “Writings" di Mark Tobey, influenzato dall'arte calligrafica giapponese, sia l'ingigantimento del segno nella rigorosa scrittura automatica e gestuale di un Franz Kline, in cui un singolo segno si espande, improvvisa apparizione, a riempire tutta la tela; cosi', in “Opus II 554" , una sorta di ideogramma verticale rosso su fondo grigio scuro scende verso il basso, sovrastato da un analogo segno-scrittura giallo del quale vediamo solo la parte finale nel mentre sta slittando nell'inquadratura del visibile decisa dall'artista.

Infine, nel bellissimo “Opus II 568" , assistiamo al distacco o ritaglio di una singola sagoma arancio - sempre ancorata da sottili colature - dalla piatta massa sottostante. La sagoma liberata levita nel fondo grigio, depositando i fili di ragno del proprio sgocciolamento nel foro da cui e' stata o si e' estratta, foro definito a destra da una specie di pinza minacciosa. Anche qui e' stato applicato il contrasto di quantita': la sagoma protagonista e' attraversata da una luce bianca verticale che nel complesso dell'opera risulta accecante come un tubo al neon. Lo scambio, in simmetria dinamica, tra positivo-alto e negativo-basso, dimostra una ricerca istintiva, e intuitiva, tesa a ritrovare un equilibrio e un ordine nell'esistenza tormentata e inquietante della res artistica: un rigore che contrasti e compensi il minaccioso cozzare di entita' semi-formate.

Campanelli sembra quasi volersi salvaguardare da se stesso: pone dei limiti al traboccare dell'interna eruzione, con il risultato di cambiare di valenza il “limite", trasformandolo in una svolta importante e significativa per l'evoluzione del proprio linguaggio pittorico.''

Inaugurazione: 6 gennaio

Centro Culturale Candiani
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