Bernd e Hilla Becher
Daniel Buren
James Casebere
Gordon Matta-Clark
Dennis Oppenheim
George Rousse
Il testo di Gio' Ponti del 1957 e' la fonte d'ispirazione di questa mostra che pone l'attenzione sul rapporto che da sempre intercorre fra arte e architettura. Piani, spazi e luce sono l’oggetto di riflessione di alcuni artisti che a partire dagli anni '70 rileggono lo spazio tridimensionale dell'edificio in chiave scultorea e performativa. Sono esposte opere di Bernd e Hilla Becher, Daniel Buren, James Casebere, Gordon Matta-Clark, Dennis Oppenheim, George Rousse.
Bernd e Hilla Becher, Daniel Buren, James Casebere, Gordon Matta-Clark, Dennis Oppenheim, George Rousse.
“Amate l’architettura, la antica, la moderna. Amatela per le illusioni di grazia, di
leggerezza, di forza, di serenita', di movimento che ha tratto dalla grave pietra,
dalle dure strutture. Amatela per il suo silenzio, dove sta la sua voce, il suo
canto, segreto e potente".
Il testo di Gio' Ponti Amate l’architettura del 1957 e' la fonte d’ispirazione di
questa mostra, che pone l’attenzione sull’incessante rapporto che da sempre
intercorre fra arte e architettura. L’intenzione non e' quella di stilare una serie
di paragoni estetici o concettuali tra i due campi ma piuttosto di osservare come
piani, muri, crepe, spazi e luce divengano l’oggetto di riflessione di alcuni
artisti che a partire dagli anni 70 rileggono lo spazio tridimensionale
dell’edificio in chiave scultorea e performativa.
Si parte con Bernd e Hilla Becher, che da oltre trent’anni testimoniano per mezzo
della fotografia cio' che viene definito come l’idioma moderno. Silos e gasometri si
tramutano quindi in Sculture Anonime, grazie alla visione della coppia che attrae
l’attenzione non sullo scatto fotografico, ma piuttosto, su cio' che ritraggono,
inventando dunque il genere monumentario in fotografia.
Di ben altra natura e' il discorso artistico intrapreso da Daniel Buren. Utilizzando
uno strumento visibile invariabile, cioe' l’alternanza di strisce verticali bianche e
colorate di 8,7 cm, indaga sui rapporti fra l’opera d’arte, il luogo in cui prende
corpo e lo spettatore.
Presente in mostra anche un’opera di James Casebere, l’artista che forse all’interno
del gruppo occupa un posto leggermente piu' distante, pur lavorando con lo strumento
architettonico. Il suo universo immaginativo consiste nel costruire dei contesti in
cui le strutture sono usate come metafore per spiegare i bisogni, i desideri e le
paure dell’uomo contemporaneo. Egli sceglie di evocare i modelli visivi della nostra
cultura semplicemente costruendo i modelli stessi di essi, utilizzando il mezzo
fotografico come propagazione.
Il percorso prosegue con l’opera dell’artista statunitense Gordon Matta-Clark.
La sua arte si concentra su principi di destrutturazione e rottura di elementi
architettonici, segmentando cio' che fu una costruzione non ancora abbattuta. I
soggetti da scomporre non sono scelti a caso, ma rappresentano l’effimera
indistruttibilita' della materia e della mente. Il suo e' un amore viscerale che
tocca l’intimo e l’interno, portando alla luce cio' che si conosce, ma non si vede,
rendendolo immortale per mezzo della fotografia.
Arriviamo quindi all’unica opera non fotografica presente in mostra quella di Dennis
Oppenheim. L’opera ideata negli anni 70 e realizzata in occasione della 47esima
Biennale di Venezia curata da Germano Celant, si presenta come un’architettura
rovesciata. Figura chiave di diversi movimenti artistici, tra cui Land Art,
Conceptual Art e Body Art, Dennis Oppenheim ha realizzato opere che spaziano da
grandiosi interventi paesaggistici a violente installazioni scultoree.
Infine l’architettura industriale si fa territorio esplorativo per il poliedrico
artista francese George Rousse. Il paradosso di questo viaggio un po’ segreto e
solitario mostra i “cantieri" attraverso un racconto fatto di pittura, ma che emerge
attraverso la fotografia. La pittura e' il suo pretesto, la fotografia e' la
materialita' del suo progetto, l’oggetto della sua riflessione e' la virtualita'
dell’immagine.
Come ci dice Gio Ponti “L’unico materiale durevole dell’architettura e' l’Arte".
Immagine: George Rousse, Istambul, 2002 cm.125x125
Inaugurazione giovedi' 16 marzo ore 18.30
Ciocca Arte Contemporanea
via Lecco 15 - 20124 Milano
Orario d’apertura dal martedi' al sabato 14.00 -19.30