Senza Titolo. Il progetto espositivo comprende due lavori temporalmente e geograficamente distanti, ma accomunati dall'ossessione dell'artista nell'osservare il rapporto tra l'individuo e i propri strumenti.
a cura di Francesca Guerisoli
Il 28 ottobre presso gli spazi della galleria Ciocca inaugura la mostra Senza titolo di Fabrizio Bellomo. Il progetto espositivo comprende due lavori temporalmente e geograficamente distanti, ma uniti dalla costante ricerca e ossessione dell’artista nell'osservare il rapporto tra l’individuo e i propri strumenti.
Lo spettatore è accolto in galleria dalla serie di stampe Screenshots, nelle quali l’artista semplicemente ha digitato su un motore di ricerca per immagini delle parole chiave, che nel vocabolario italiano rappresentano la nazionalità e la lingua di alcune etnie. Il risultato finale dell’opera ci mostra una realtà solo apparente e distorta che proviene da pregiudizi stratificati, riportandoci alla mente gli studi criminologici di Alphonse Bertillon (1853-1914) o la catalogazione minuziosa di Cesare Lombroso (1835-1909) nell’antropologia criminale.
Le opere Prostitute nigeriane e Pregiudicato rumeno/tunisino evidenziano come l’immaginario visivo collettivo possa totalmente distaccarsi dal significato reale delle parole portando alla luce un risultato che sottolinea la potenza delle immagini nella costruzione di una nuova semiotica dell’era digitale.
Nella seconda sala è esposto l’ultimo video dell’artista, realizzato in Albania grazie al contributo di GAI-Movin’Up e al supporto di Fujimfilm e Tirana Art Lab.
L’opera, partendo dal proverbio albanese VEGLA BËN USTAIN (traduzione letterale: lo strumento fa il maestro), parla del ruolo predominante del mezzo da lavoro nelle vite di decine di uomini che, ogni giorno si mettono in vendita ai lati di una rotonda stradale a Tirana.
Fabrizio Bellomo incarica uno degli uomini di scrivere il proverbio sulla facciata di un edificio, adiacente alla rotonda, realizzando così un’installazione pubblica permanente nella capitale albanese. La scritta è stata realizzata con l’ausilio di un martello pneumatico. E’ lo strumento, quindi, il centro di questo lavoro, ma soprattutto è ciò che caratterizza i lavoratori.
VEGLA BËN USTAIN ci riporta ad un’altra opera realizzata dall’artista nel 2012 al Carroponte di Sesto San Giovanni, su commissione del Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo. Un’istallazione che mostrava l’ingrandimento di una targa ritrovata a Bari in un’acciaieria abbandonata, che recitava: “ABBI CURA DELLA MACCHINA SU CUI LAVORI È IL TUO PANE!”. Un legame intrinseco e atemporale tra la società, il lavoratore e il proprio strumento da lavoro, quasi un circolo vizioso senza fine.
FABRIZIO BELLOMO
Nato a Bari nel 1982, vive e lavora tra Bari, Milano, Berlino. È artista, curatore e regista.
Selezione mostre personali: 2015 Es geht einfach um Nummern | si tratta solo di numeri, Metronom, Modena.
Selezione mostre collettive: 2015 VEGLA BËN USTAIN, Tirana Art Lab (Albania); Plat(t)form, Fotomuseum Winterthur (Svizzera); 2014 2004-2014 10 Anni del Museo di Fotografia Contemporanea, Triennale di Milano; Objet Perdù, Fondazione Museo Pino Pascali, Polignano a Mare (Bari); 55° Festival dei Popoli, Firenze; 2013 Video.it, Fondazione Merz, Torino; 2012 34 CINEMED, Festival International du Cinéma Méditerranéen, Montpellier; ArtAround, MuFoCo, Cinisello Balsamo (Milano); 2011 Milano un minuto prima, Fondazione Forma, Milano.
Pubblicazioni: Le persone sono più vere se rappresentate, ed. Postmedia Books (Milano 2014); Io neanche lo vedo più il codice, appunti per un possibile saggio, in Generazione Critica. La fotografia in Europa dopo le grandi scuole, a cura di Marcella Manni e Luca Panaro, ed. Danilo Montanari (Ravenna 2015). L'Isola che non c'è. Bari, quartiere San Cataldo. ed. Linaria (Roma 2015).
Inaugurazione 28 ottobre ore 18.30
Galleria Ciocca
via lecco 15, 20124 Milano
mar - ven 14.30-18 o su appuntamento