Campo argentino, una serie di tavole, un dittico su tela, una videoinstallazione e una panchina-scultura. Tutto e' parte dall’installazione progettata e realizzata sei anni fa nell'hacienda argentina Las Mercedes, esperienza qui narrata.
Campo argentino
a cura di Raffaella Guidobono
L’Union presenta la prima mostra personale di Sandro Mele a Roma e accosta
una serie di tavole, un dittico su tela, una videoinstallazione e una
panchina-scultura, collocati dentro l’humus dove e' nata
l’esperienza sudamericana qui narrata. La consistenza del suolo in
galleria e' terrosa quanto basta per testare l’affondo del passo dentro un
campo. Il lavoro risulta ricettivo e attivo al contempo, fronteggia i
propri interlocutori e cala gli astanti dentro un equilibrio in grado di
contrapporre alla pulizia dell’opera levigata gli elementi ricchi di
materia grezza del luogo da cui sono tratti. Incorpora terra aria e sole e
restituisce pittura. Contrappone armonia e fatica, fonde purezza dello
sguardo e confidenza.
Tutto parte dall’installazione progettata e
realizzata sei anni fa nell’hacienda argentina Las Mercedes, a
undicimilacinquecentoquaranta Km di distanza da Roma, dove l’artista vive.
Halcon Blanco e' una fantastica tenuta a nord di Buenos Aires dove la
grande scultura-logo di cemento ha sancito la collaborazione con il gruppo
Minimono, da sempre sodale e vicino negli intenti, il cui segno grafico
era gia' apparso e appare in tutte le sue opere. L’autorizzazione a
prendere ad un certo punto il logo Minimono per i propri interventi e'
stato un segno. Il logo rappresenta una presenza e una ricerca allo stesso
tempo. Nell’idea di Sandro l’opera d’arte attraverso questo simbolo
stabilisce un’interazione con le persone. L’installazione nel campo
argentino risale al 2000 ed e' stata anch’essa un progetto
collettivo con gli abitanti dell’instancia, ovvero i gauchos che vivono e
lavorano la'. Nei ritratti di Molina, Zulma e Rulo ripresi nel 2005,
ritroviamo l’idea di collaborazione che sta alla base di ogni nuova serie.
La fonte d’ispirazione e' la possibilita' di baratto. In qualsiasi posto del
pianeta Sandro sarebbe in grado di stabilire una relazione con le persone
del posto e renderla un “lavoro". In questo caso Molina ha concesso il
proprio materiale video amatoriale perche' potesse venir
ricontestualizzato. Il materiale e' di altri, non importa che l’abbia
girato l’artista e' materiale che lui sente e fa suo. In questo modo il
documentario esce automaticamente: il gaucho sembra danzare con il cavallo
in un crescendo di conoscenza e rispetto, i bambini prendono e danno ritmo
alla natura, la famiglia allargata di tutti gli hacienderos si riunisce
per scattare una foto e la foto si modifica nel suo
divenire, fino a bloccarsi nell’istantaneita' della posa quando il gruppo e'
al completo. Tutto e' stato ideato dal principio per diventare una
installazione. Il film che ne scaturisce evoca il processo di doppia,
tripla esposizione e sovrapposizione che ritroviamo anche nelle foto, poi
limate e trasformate in tecnica mista su tavola, cerate, maltrattate e
infine lucidate per riottenere tutti i livelli su un unico piano che
all’interno dell’Union, trasformata in un campo di terra, cessa di essere
fotografia o pittura e diventa scultura. In Argentina Sandro ha condensato
gli strati differenti del proprio disegno mentale e li ha riportati dentro
quello che descrive come un enorme quadro dove fondere i contributi
spontanei della gente al sound dei Minimono, la scultura alla fotografia
materica, la pittura alla terra. E’ un lavoro in
continua collaborazione dove l’identita' dei protagonisti esce sempre: fa
parte del concetto Minimono aggiungere la propria personalita' all’opera e
venir citati. La mostra gioca sul fatto che le persone regalino se stesse,
senza il minimo senso di espropriazione. L’esperienza e' parte integrante
del lavoro. La collaborazione si trasforma in linguaggio.
Raffaella Guidobono.
“Ho costruito il logo che si staglia nel campo con il suo profilo e la sua
continuita'. Ho cercato di documentare il concetto dove il logo diventava
simbolo, solo cosi' le persone entravano a far parte della mostra. Sono
entrato in contatto con loro, li ho fotografati, ho
mangiato con loro; ho cercato di percepire le cose semplici da cui sono
mossi. Sono tornato la' dopo cinque anni. In qualche modo la relazione che
avevano con me ha formato la documentazione. Il modo di muovere gli
sguardi e' un sintomo dell’opera d’arte. Li porto in galleria ma non faccio
altro che parlare di loro".
Sandro Mele.
L'union Via Reggio Emilia, 32A Roma