Prima nazionale. Dal romanzo di Tomasi di Lampedusa, con Luca Barbareschi, regia di Andrea Battistini. Produzione Regione Siciliana - Assessorato Regionale Turismo.
Nell'ambito di Tarormina Arte
dal romanzo di Tomasi di Lampedusa
con Luca Barbareschi
regia di Andrea Battistini
produzione Regione Siciliana - Assessorato Regionale Turismo
Fondazione Teatro della citta' di Latina
prima nazionale
dalle note di regia
Immagini di luce, odore, ritmi e suoni. L’organetto, fuori dalla finestra
della stanza dove Don Fabrizio Salina muore, la signora che lo aspetta,
forse dalla prima pagina del libro, la faccia del Principe riflessa nello
specchio con la barba incolta.
Attraverso il suo sguardo, di nuovo, il
colore della terra e poi l’odore di muschio e di zagare, il sapore della
pelle di Angelica, il profumo di quella di Stella, la pieta' per quella di
Mariannina, e ancora occhi, quelli goffi e impacciati di Bendico', giusto
protagonista dell’ultima immagine del romanzo: quegli occhi e la sua zampa
levati nell’aria. Poi, quelli arroganti di Tancredi, quelli di topo
Seda'ra, quelli timidi e angosciati di Concetta, quelli di Padre Pirrone:
occhi da prete. Poi ancora odori, di drappi impolverati, damaschi, arazzi,
specchi, candelabri, in una sequenza serrata come i giri di un valzer.
Ingabbiati nella storia con quel senso di inutilita' che spesso la
contraddistingue, i personaggi del romanzo ci donano l’inaccessibile mondo
della loro intimita' forzando l’apatia dei concetti.
Ogni pensiero politico, ogni avvenimento, pur nel clamore che desta,
svanisce nell’incredibile processo di visualizzazione che si scatena
pagina per pagina.
Due immagini si contrappongono: i Salina incastonati negli scranni del
coro della chiesa di Donnafugata, gia' mummie ingiallite dal tempo, proprio
nell’attimo in cui la vera vicenda sta per esplodere in Italia.
L’altra
“Era un giardino per i ciechi: la vista costantemente era offesa ma
l’odorato poteva trarre da esso un piacere forte, benche' non delicato, le
rose che aveva egli stesso acquistato a Parigi, erano degenerate: eccitate
prima e infrollite dopo dai succhi vigorosi e indolenti della terra
siciliana, arse dai lugli apocalittici, si erano mutate in una sorta di
cavoli color carne, osceni, ma che distillavano, un denso aroma, quasi
turpe, che nessuno allevatore francese avrebbe osato sperare."
Ecco quindi folgorante, come solo la memoria dei sensi puo' essere tutto ci
appare meravigliosamente fermo e sospeso. Leggiamo la storia che ci
affascina e ci travolge nel suo essere grottesca. Magistrale affresco che
ci restituisce quello che in fondo tutti siamo: pupi, marionette, ridicoli
uomini divisi dal desiderio di scrivere una storia universale e quello di
lasciarsi semplicemente attraversare dal tempo.
Divisi, come e' diviso il suo protagonista. Divisi ma uniti dal provocare
negli spettatori la condivisione di un emozione restituendo quel bagno di
poesia unica e irripetibile, che nel romanzo “Il Gattopardo" si chiama
Sicilia.
Teatro Antico
Taormina (ME)