Stato di Famiglia. La ricerca si fonda sulla volonta' di entrambi gli autori di provare ad osservare il mondo da un'altra prospettiva, a sovvertire l'ordine prestabilito della visione e, contemporaneamente, adottare espedienti percettivi come strumenti per raccontare, in qualche modo re-inventando la realta'.
Giovedi' 26 ottobre 2006 alle ore 18,30 inaugura a Roma, presso lo spazio
TROIS Studio la mostra d'esordio di STATO di FAMIGLIA (Sylvio Giardina e
Raffaele Granato) sodalizio artistico ufficializzatosi in concomitanza della
definizione del presente progetto ma formatosi ufficiosamente gia' da qualche
anno nel corso dell'elaborazione di un'indagine artistica incentrata sul
valore del "doppio", del riflesso e sviluppata prevalentemente attraverso il
medium espressivo che, per indole - e per eccellenza - incarna l'idea di
duplicazione del reale: la fotografia. Tale percorso sfocia oggi in una
serie di lavori che abbinano ad una meticolosa esecuzione fotografica un
ancor piu' diligente lavoro manuale operato sulle immagini, sollecitando
nello spettatore una duplice intuizione procurando, parallelamente, la
possibilita' di un'ambivalente lettura della medesima realta' rappresentata.
La ricerca di STATO di FAMIGLIA si fonda, fin dall'inizio, sulla volonta'
di entrambi gli autori di provare ad osservare il mondo da un'altra
prospettiva, provando a sovvertire l'ordine prestabilito della visione
concedendo libero arbitrio alla percezione e, contemporaneamente, adottando
espedienti come l'inganno ottico, l'effetto oleografico e la stimolazione
visiva come strumenti per raccontare, e in qualche modo re-inventare, la
realta'.
Il primo esperimento, sviluppato sulla traccia di queste intenzioni, si
concretizza qualche anno fa in una serie di lavori fotografici che
immortalano brani di quotidianita' depositata incidentalmente, per riflesso,
sulla superficie di oggetti e materiali specchianti (un vetro appannato, un
pannello metallico, l'acqua). L'idea era quella di derivare non solo una
nuova configurazione estetica dei luoghi percorsi e fotografati (che
astraendosi fino a mutare le proprie sembianze assumevano l'aspetto di
brandelli di reminescenza labile e rarefatta), ma una narrazione intimistica
dall'inedita valenza cognitiva. Incentrati sulla citta' - o meglio sulle
suggestioni che di questa gli autori hanno colto nel corso di un viatico che
alternava incursioni nel territorio urbano a blow up della sfera privata -
questi primi scatti annunciavano gia' certe esigenze, formali e concettuali,
che nella nuova serie di lavori sembrano divenire primarie.
In primis la riflessione sul "doppio", la necessita' di rappresentare la
realta' non semplicemente per quella che e' o appare, ma nel modo (o nei modi)
in cui questa puo' alternativamente essere percepita, mostrandola cioe' nella
sua veste meno ufficiale ma non per questo meno veritiera. Ordine e
disordine, vuoto e pieno, astrazione e rappresentazione. E' in linea con
logiche appartenenti a questo tipo di processo deduttivo e sulla
discontinuita' di questo ritmo cadenzato che anche la galleria dei ritratti e'
maturata, quale forma di verifica di uno studio che prende in considerazione
il rapporto tra l'immagine riprodotta e l'archetipo (il dato reale).
Nelle opere in mostra, questa particolare tematica sembra aprirsi ad
ulteriori declinazioni ed approfondimenti e svilupparsi, apparentemente, in
tutt'altra direzione rispetto a quella indicata dalla produzione precedente,
che pur prendeva spunto dalla suggestione del riflesso. Il commento dei due
autori, rintracciando ancora, ma direi inevitabilmente, le proprie radici
nelle articolate stratificazioni dei ragionamenti (filosofici, letterari ed
artistici) che hanno da sempre investito il tema della duplicazione (da
Platone a Baudrillard ad Alighiero Boetti), si pone ora su un inedito piano
di parafrasi visuale.
Sostanzialmente mutato appare il processo fotografico, ossia i tempi, i
criteri e le prassi che riguardano il momento della ripresa, logiche che
nell'opera dei due autori assume il carattere di rituale e che va ad
influire ed inevitabilmente a pesare sull'inflessione di linguaggio che
qualifichera' il prodotto finale. L'obbiettivo, pur continuando a scrutare il
territorio cittadino, si sofferma oggi su luoghi precisi (anche se
essenzialmente imprecisati), li seleziona accuratamente per poi eleggerli a
fondali di posa. La velocita' e l'accidentalita' dello scatto, che
caratterizzavano stilisticamente gli album fotografici dedicati al viaggio
attraverso la citta', sono attitudini definitivamente abbandonate a favore di
un orientamento stilistico e formale - la posa - che esige la
premeditazione.
L'inquadratura, quindi, non segue piu' il principio di
mediazione scegliendo volontariamente di eludere il soggetto per coglierne
invece il parziale riverbero depositatosi altrove, ma lo affronta
direttamente, intendendo catturarne con scrupolosita' l'interezza e in modo
cosi' da restituirlo nitidamente quale perno dell'intera composizione. Il
recupero di una prassi fotografica piu' classica coincide, o forse e'
determinato, dalla volonta' degli artisti di confrontarsi, oggi in maniera
piu' determinata che allora, con il genere del ritratto, tipologia espressiva
che tradizionalmente adempie a canoni estetici e formali precisi.
E' infatti l'individuo, o i luoghi che di questo sembrano trattenere il
riverbero della sua memoria (come certe dimore fatiscenti o certi paesaggi
da cartolina) ad assumere all'interno del perimetro dell'immagine una
centralita' in qualche modo spiazzante.
Ma se l'esclusivita' e la prerogativa del ritratto classico risiedono
nell'accentuazione del dato specifico che caratterizza ogni singolo
personaggio rappresentato per favorirne un approfondimento biografico o
introspettivo, nei ritratti di STATO di FAMIGLIA il dato aggiuntivo
proviene dall'esterno, e' qualcosa che viene fisicamente "aggiunto" dagli
artisti con l'intento di porre l'accento sulla nuova condizione che il
soggetto e' chiamato ad assumere nell'economia del loro lavoro, ovvero quello
di "icona", di simulacro di se stesso.
Tale "accessorio" (piccoli cristalli Swarovski diligentemente epurati dagli
artisti della patina argentata solitamente presente sul fondo, affinche'
neppure la minima scoria d'argento ne comprometta la trasparenza) viene
stillato alla stampa fotografica tramite un gesto manuale ripetitivo operato
con applicazione certosina. I micro-cristalli, appuntati direttamente sulla
superficie dell'immagine con l'ausilio di sottili spilli d'acciaio e
sovrapposti limitatamente alla figura ritratta ne delineano con esattezza la
silhouette, creando sulla pellicola fotografica, nell'area in corrispondenza
della figura ritratta, una sorta di nuova epidermide dagli effetti visivi
stranianti. Lo strato luminescente oltre ad incrementare le potenzialita'
illusionistiche dell'immagine, ribadisce l'idea che la realta', letta
attraverso l'epifania inattesa del suo duplicato, possa riferire percezioni
differenti, contraddittorie se non addirittura confutanti la realta' stessa.
Il taglio sfaccettato dei cristalli, infatti, non solo provoca allo sguardo
un vacillamento caleidoscopico, ma tende ad alterare la percezione
producendo, ad intermittenza, visuali divergenti della stessa opera. In base
all'incidenza della luce, il soggetto ripreso nello scatto a volte traspare
nitidamente dalla cortina di cristallo e, anzi, sembra assumere
un'inquietante valenza tridimensionale, rivelandosi in una corporeita'
iperreale; a volte invece svanisce astraendosi nell'abbaglio della
rifrazione di quella costellazione abbacinante che lo riveste, suggerendo
l'impressione che esso sia evaso, in modo tanto subitaneo quanto definitivo,
dal contesto di cui poco prima era parte integrante. Un piccolo movimento
dello sguardo, infatti, e tutto cambia: l'ordine delle cose, la loro
gerarchia, la sequenza dei piani. Il valore stesso dell'immagine muta, da
bidimensionale a tridimensionale, da figurativa ad astratta, da descrittiva
ad aniconica, dal ritratto alla negazione dello stesso e poi di nuovo la sua
riaffermazione, limpida, definita, vera e piu' che mai attendibile.
Argutamente utilizzato in modo incongruo, ovvero ignorandone l'indole
decorativa ed enfatizzandone invece le potenzialita' intrinseche, il
cristallo nelle mani degli autori diviene la chiave che apre una nuova
prospettiva alla rappresentazione: l'immagine fotografica diviene territorio
su cui si consuma e, in qualche modo si risolve, l'incontro tra la realta' e
la sua ombra, suggellando l'ipotesi di una loro, altresi' incompatibile,
convivenza.
Inaugurazione: giovedi' 26 ottobre 2006 ore 18.30
Studio Trois
Via Cavour 108 - Roma
dalle 16 alle 21; la mattina su appuntamento