Sulla terra chiamata Palestina. "Terra di contraddizioni, di cui tutti rivendicano la legittima appartenenza, ma forse e' una terra che non appartiene a nessuno se non all'egoismo umano." Un viaggio fotografico che racconta per immagini alcune fasi della crisi mediorientale.
Sulla terra chiamata Palestina
alestina è un viaggio fotografico che racconta per immagini alcune fasi della crisi mediorientale.
Terra di contraddizioni, di forti passioni, di cui tutti rivendicano la legittima appartenenza, ma forse è
una terra che non appartiene a nessuno se non all'egoismo umano. Terra promessa, terra devastata,
ferita, martoriata, sventrata nella sua bellezza arcaica, e perché no, biblica. Montagne spianate per far
sempre più posto agli insediamenti. Jerusalem è irriconoscibile per chi ci è arrivato una prima volta 20
anni fa. Oggi è un susseguirsi senza fine di colate di cemento. Montagne sventrate per realizzare le
arterie a scorrimento veloce che corrono verso insediamenti di poche migliaia di coloni, immersi nel
loro sogno messianico, ma che non esitano a distruggere oliveti secolari, di enorme bellezza e
suggestione, solo per rappresaglia contro i palestinesi che ostacolano il loro cammino e protestano
contro la loro presenza.
Nel febbraio 1994, il colono Baruch Goldstein, seguace del movimento razzista del Kach, parte dall'insediamento di Qiryat
Arba per la folle missione di andare a sparare sui palestinesi in preghiera, nella moschea di Hebron, uccidendone 29 prima di
essere sopraffatto lui stesso". È l'inizio del mio reportage sui coloni estremisti degli insediamenti tra la Giudea e la Samaria,
le regioni dove affonda la radice dell'ebraismo.
Terra Santa, ma sarà poi vero che è santa se i primi a farsi la guerra sono proprio gli ordini religiosi? Quante volte si sono
presi a randellate i monaci francescani e i pope greci ortodossi per la supremazia sul Santo Sepolcro, o sulla chiesa della
Natività a Betlehem? Motivo: il totale controllo degli spazi di competenza. Non è forse paradossale che le chiavi del Santo
Sepolcro siano in possesso di una famiglia araba musulmana? Se fossero tuttavia nelle mani di una delle varie confessioni
cristiane (latini, ortodossi, siriani, armeni, copti, e poi evangelisti, luterani, avventisti del settimo giorno o ebrei per Jesus e
chi più ne ha più ne metta) lascerebbero fuori dalla porta tutti gli altri.
Terra di pace, terra di fedi, ebrei contro ebrei in base al rabbinato, sefarditi contro ashkenaziti, falashà contro gli ultimi
arrivati. Musulmani contro cristiani, cristiani contro ebrei. Tutti contro tutti.
Francesco Cito
Nato a Napoli nel 1949, Francesco Cito ora vive e lavora a Milano. Fotografa dal 1972 e nel 1975 diventa fotoreporter di
professione, collaborando con il "Sunday Time Magazine", che gli dedica la prima copertina con il reportage "La mattanza"
sugli antichi metodi di pesca del tonno in Sicilia, e successivamente anche con “l'Observer Magazine".
Nel 1980, dopo l'invasione sovietica, è uno dei primi fotogiornalisti a raggiungere clandestinamente I'Afghanistan, viaggiando a
piedi per 1200 chilometri con diversi gruppi di guerriglieri. Qui ritornerà nel febbraio 1989 come corrispondente del "Il Venerdì" di
Repubblica per documentare il ritiro dell'esercito sovietico. Tra la fine del 1982 e l'inizio del 1983 ha realizzato a Napoli un
famoso reportage sulla camorra. Nel 1983 è stato sul fronte libanese, come corrispondente del settimanale "Epoca", per
testimoniare la separazione all'interno dell'O.L.P. tra i sostenitori di Arafat e i pro-siriani di Abu Mussa. È l'unico fotogiornalista
ad avere documentato la resa di Beddawi (campo profughi e roccaforte dell'O.LP.). Nel 1984 denuncia le condizioni dei
Palestinesi all'interno dei tenitori occupati (West Bank / Gaza), causa dello scoppio dell'Intifada nel 1987.
In questo periodo è stato più volte ricoverato in ospedale ferito dai soldati di Israele e colpito da un sasso palestinese durante la
realizzazione di un servizio sui coloni israeliani per lo "Sterri Magazine". Nel 1990, sempre per " Il Venerdì", è tra i primi
fotografi ad attestare lo sbarco americano in Arabia Saudita a seguito dell'invasione del Kuwait.
In Italia, si occupa spesso di casi di
mafia al sud, ma segue anche avvenimenti come il Palio di Siena e altri rilevanti aspetti della società contemporanea. Nel 1995, il
'World Press Photo Contest" gli assegna il terzo premio per il reportage "Matrimoni napoletani" e nel 1996 il primo premio per il
reportage: "Siena, il Palio". Nel 1997, l'Istituto Abruzzese per la storia della Resistenza e dell'Italia contemporanea gli conferisce
il premio "Città di Atri", per la pace e la libertà, per l'impegno del suo lavoro sulla Palestina. Nel 2004 riceve il Premio Città di
Trieste al Reportage, nel 2005 il Premio Rodolfo Pucci, "La fibula d'oro" 2005 a Castelnuovo Garfagnana e il Premio "Werner
Bishof" ad Avellino.
Pubblicazioni:
Francesco Cito, "L'Isola al di la del mare" , Sassari. Fondazione del Banco di Sardegna. 2003
Francesco Cito "Immagini come parole", Edizioni della Meridiana – Belvedere Fotografia – Milano 2005
Inaugurazione: 23 marzo 2007
Galleria Fiaf
via Pietro Santarosa, 7/a - Torino
Orario 9.30-12.30 ; 14.30-17.00. Giovedì chiuso
Ingresso libero