Palazzo della Regione Autonoma Trentino Alto Adige Sudtirol
Trento
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I peccati del III millennio
dal 25/3/2007 al 9/4/2007
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25/3/2007

I peccati del III millennio

Palazzo della Regione Autonoma Trentino Alto Adige Sudtirol, Trento

Le molte opere esposte raccolgono un "catalogo" di peccati riconducibile a due filoni principali: il tema del vivente e quello dell'artificiale. I lavori proposti dagli artisti - pittura, la fotografia, poesia e prosa - sono connessi alle loro personali ricerche, ma sono stati realizzati appositamente per la mostra.


comunicato stampa

A cura di Carla Corradi, Matilde Meazzi

Quali peccati?
di Carla Corradi.

L’idea di organizzare questa manifestazione sui peccati del III millennio è nata nell’agosto 2006, mese fecondo per le idee. Ho prima pensato ai sette peccati capitali, ma, alla luce di tutto il male che c’è nel mondo oggi, mi sono sembrati subito irrisori (gola, superbia, lussuria, avarizia, invidia, accidia, ira).

La gola è diventata obesità o nelle sue due varianti anoressia e bulimia. L’accidia si chiama ora depressione, l’ira è diventata violenza privata e tanto poco rabbia collettiva, l’invidia è figlia del consumismo e del possesso di beni che danno una forma di identità basata sull’avere non sull’essere.

La lussuria è un incessante passaggio dal linguaggio della visione a quello del tatto dove il corpo nudo perde la sua specificità di attrarre se non c’è artificio, costruzione, identificazione con i canoni di bellezza imposti, e dove la relazione maschio-femmina è mutata sia per la liberalizzazione della procreazione, dell’aborto, della transessualità, dell’omosessualità.

Inoltre, effettuando un’analisi più approfondita a livello psicoanalitico dei sette peccati capitali in Freud e concordando con quanto sostiene Quirino Zangrilli si può pensare che essi in realtà fossero uno solo: l’uccisione del Padre primigenio e la consumazione del pasto totemico del quale è rimasta traccia sia nella paura di castrazione che affiora nel lavoro psicoanalitico in individui di ogni razza, cultura e credo religioso, sia nei riti di offerta al dio dell’agnello sacrificale proprio nel tempo pasquale.

Ho usato il termine “peccato” invece di male solo per attrarre l’attenzione con una parola che è molto usata anche nel linguaggio corrente non solo in quello religioso.

Riflettendo poi su 30 anni di professione (psicoterapeuta) mi sono accorta che, tra gli elementi che per diversi anni costituivano materia di approfondimento, il senso di colpa appariva assai spesso, mentre negli ultimi dieci anni è andato gradualmente sfumando, fino a esaurirsi. Come a dire che anche nelle malattie dell’anima il narcisismo 4) è subentrato alla colpa e nella percezione individuale e collettiva quasi più niente è considerato come errore, se non ciò che intralcia la realizzazione egoistica del profitto nella corsa ai beni materiali. In altre parole c’è una regressione al principio del piacere che vuole tutto e subito e una fuga dal principio di realtà. La realtà stessa è ormai inquinata e confusa con la realtà virtuale.

Scopo di questa iniziativa è invitare a riflettere per uscire dall’assuefazione, dall’apatia, dall’abitudine al male, nonché dalla saturazione della nostra recettività ad esso; è analizzare con mente critica i suoi vari aspetti e se possibile scoprire la nostra se pur parziale responsabilità per gran parte di esso; trovare con idee geniali (ecco perché ho invitato gli artisti che sono notoriamente creativi) una qualche forma di cambiamento a livello individuale prima e planetario poi. Non rassegnarci, non abituarci alla violenza, non stare a guardare impotenti come se tutto fosse ormai normale.

L’invito a partecipare è iniziato a settembre 2006 ed è stato esteso anche fuori dei confini provinciali, essendo stato pubblicato oltre che sulla stampa locale anche su internet, per questo motivo hanno risposto all’appello scrittori, poeti, fotografi, pittori da diverse regioni d’Italia e anche dall’estero, portando ciascuno una personale interpretazione del “peccato del III millennio”. Questo mi ha fatto piacere perché temevo che dovendo descrivere il male, l’assuefazione, l’inerzia, l’indifferenza che ci pervade a volte (anche se è una normale difesa) demotivasse molti ad aderire, perché restii ad effettuare una ricerca dentro di sé e nel mondo di quel lato oscuro di cui non si ha più voglia di parlare.

E’ stato per me un arricchimento notevole costatare in quali diversi modi l’argomento è stato sviscerato, sia come contenuti, sia con diverse modalità artistiche.

Cercando una possibile sintesi dirò che gli argomenti più sentiti si distribuiscono su quattro grandi filoni: la violazione dei diritti dei più deboli, la guerra, la violenza alla natura e agli animali 5) il sesso (non la sessualità) in qualche sua forma ancora vissuto come peccato.

Emerge in quasi tutti i lavori un dualismo evidente tra la situazione reale del mondo e il desiderio o il sogno di come potrebbe essere o la nostalgia di com’era: dualismo tra natura e cultura, tra razionalità e intuizione, tra ricchezza e povertà, tra emozione e ragione, tra umanità e tecnologia, tra libertà e condizionamento, tra gioia negata e sofferenza, tra vita e morte. Anzi la morte, sia quella inflitta che quella subita è la protagonista nascosta a cui si demanda spesso metaforicamente il lettore o lo spettatore.

Denunciando il male, molti hanno anche suggerito, come mi auguravo, la sua possibile soluzione.

I lavori pubblicati, tra testi, poesie e immagini sono 90, ma 9 autori hanno presentato sia un testo, sia un’immagine, manifestando forse il bisogno di esplicitare anche con la parola il lavoro di sintesi che la realizzazione del quadro o della fotografia comporta. L’età dei partecipanti va da 21 ad oltre i 70.

Il testo è corredato da un DVD realizzato egregiamente da Paolo Ober.

Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno dato un apporto significativo al progetto e chi mi ha aiutata a realizzarlo, ma chiedo ancora che questa opera venga diffusa il più possibile e susciti riflessioni e partecipazione anche oltre i confini della nostra Regione .


“L’opera d’arte è l’enigma più grande che esista,
ma l’uomo ne è la soluzione”. (Joseph Beuys)
di Tilly Meazzi.

Chi oggi si occupa dell’arte e della sua presentazione al pubblico si trova ad affrontare fenomeni complessi e spesso contraddittori. In generale si nota come le visioni o i programmi unitari cedano sempre più alla frammentarietà, vissuta positivamente come pluralità e molteplicità dell’arte.

L’obiettivo di un orizzonte culturale unitario, segno nella storia evolutiva dell’uomo di quella che veniva chiamata civiltà, è indice oggi di perdita e di inutile limitazione.

Come ho già avuto modo di riflettere, nella società si possono ravvisare due orientamenti: uno la cui tonalità di fondo è data dal culto dell’indifferenza e un secondo la cui tonalità fondamentale è il culto della possessione. Sia per il primo che per il secondo esiste la stessa esperienza di farsi cosa, un perdere se stessi, un sentirsi solo tramite fra sé e il mondo. In ciò è evidente un appiattimento dell’esperienza sull’attualità, sul suo aspetto puramente pragmatico, e l’interferenza delle sottoculture spettacolari e della loro rappresentazione esasperata nei media.

Ma se si parla di contributi validi, e non di quella frenetica attività ripetitiva e banalizzante che purtroppo spesso occupa le pagine delle riviste patinate d’arte, si nota come il fattore della pura visione si è inesorabilmente spostato verso quello dell’arte come oggetto del pensiero. Indice di un profondo desiderio di ritrovare un contesto spirituale più vasto, spinta che era stata abbandonata dalle varie ricerche sperimentali che volevano l’innovazione ad ogni costo.

A prima vista, abituati come siamo al gioco elastico delle mostre “a tema”, anche questa rassegna non si sottrae al criterio di essere un raccoglitore di esperienze artistiche diverse e anche contrastanti. La stessa questione del “peccato” che qui si solleva, e certamente non si risolve, indica l’impulso a raccogliere alcuni esempi della concezione del “peccato” nell’arte attuale, ben sapendo che il confine della sua definizione sarebbe scivolato inesorabilmente in quelli di “colpa”, di “responsabilità” e di “denuncia”.

Osservando l’insieme delle opere esposte si delinea però un senso che non ammette una dimostrazione della teoria artistica del “peccato” o del suo mito, ma che mira ad individuarne nessi e tracce al confronto.

Si tratta insomma di pensare ad un modello di esposizione, né storica né cronologica, nè sperimentale, che sfugge costantemente dalle definizioni retoriche che gli vengono richieste per porre l’accento sul tono emotivo, sul processo di riconoscimento di pensieri, sulle trasformazioni degli elementi del linguaggio visivo al fine di interrogarsi ed interrogarci su quanto persiste di questa concezione nella cultura visiva contemporanea.

Si tratta allora di sbarazzarci di alcuni luoghi comuni sul “peccato”, di allontanarne le iconografie, i contenuti e i rapporti ormai divenuti anacronistici : poiché la qualità del “peccato” è dinamica, conviene tararne le molteplici temperature d’immagine e procedere con differenti materiali.

Esistono infatti molteplici modi di figurare il “peccato”, di occultarlo, di renderlo percepibile entro il segreto della visione. E’ attraverso lo scambio di energie, osservava Dorfles, che l’arte realizza nuovi rapporti simbolici e sociali, nuovi modi di essere e di agire, di organizzare i segni della comunicazione.

Interessante così il susseguirsi di sovrapposizioni, di sostituzioni, d’intrecci tra l’esplicitarsi del tema del “peccato” e la costruzione di miti propri dell’arte, non solo contemporanea. Si passa dalla forma più diretta della narrazione simbolica citazionista alla sua versione onirica, dalla perenne contrapposizione Eros- Thanatos alla Natura naturans, dalle suggestioni visionarie al negativo della realtà.

Se le nuove icone di massa non fanno che sostituire le divinità eroiche, e questo ci fa riflettere sul mito della novità che avvince certa arte contemporanea, come esprimersi superandone i limiti?

Ma forse l’importante è che le opere siano in grado di travalicare l’ambito estetico, stimolando risposte nel pubblico, riportando i pensieri all’ultima cronaca di guerra, di sfruttamento, di quotidiana violenza …

e ribaltino progressivamente la stasi, l’assopimento del rapporto tra la libertà e il mondo, facendo dell’arte il crocicchio di gesti, memorie, urla, eventi legati al presente ma anche alla volontà di entrare nel futuro.

L’uomo può riscattarsi se prende coscienza del suo essere al centro di molteplici relazioni, di quelle tensioni che mirano a trasformare l’organismo sociale, ed è ben consapevole che i “giochi” si possono cambiare, come ricordava Wittgenstein, se e solo se si conoscono bene le regole che li rendono praticabili.
“Temi e problemi estetici”

(Testo di Tilly Meazzi)

Un’analisi puntuale delle singole opere non potrebbe certo aspirare ad essere completa, per ovvie ragioni numeriche, da qui la scelta di analizzare gli intenti che ne stanno alla base.

I lavori che vengono proposti dagli artisti, che si legano certamente alle loro personali ricerche ma che sono stati realizzati per il tema dell’esposizione, raccolgono un “catalogo” di “peccati” riconducibile a due filoni principali: il tema del vivente e quello dell’artificiale. Al primo si possono certamente ricondurre tutte le espressioni e impressioni che raccolgono il grido e il monito ecologista, pacifista, umanista ed etico; al secondo invece quelle che denunciano i linguaggi e le comunicazioni disumanizzate, i miti mercificati, le ridondanze vuote di “contenitori” privi di senso e di funzione, tutto ciò che in modo strisciante ma pervicace si va sostituendo all’uomo come centro d’interesse. Entrambi però si intrecciano continuamente nelle singole opere creando un cortocircuito d’espressione che ne arricchisce profondamente l’impatto visivo.

Perchè in questa scissione sta il “peccato” di aver perduto il legame tra l’uomo faber e il proprio prodotto e di conseguenza la responsabilità che ne derivava.

Il Logo stesso dell’esposizione si propone come fenditura, separazione acuminata che lacera e incombe, ferita in un universo cupo e solitario attraversato da figure evaporate, rese prive di densità corporea e di identità spirituale.

Sebbene le tecniche siano diverse, il tema ecologista è quello che si esprime volentieri attraverso la fotografia: l’occhio fissa scenari un tempo incontaminati per preservarne memoria, si fema sul particolare, si divincola nella claustrofobia della ricerca scientifica, si indigna ironico sulle garanzie che il conformismo ci offre nell’afono progetto di omologare i maestri dell’arte alle produzione del nostro balcone metropolitano.

Ma trova voce anche in piccole installazioni narrative di afasici erbari, in simboliche rivolte forse ormai tardive che si sgretolano nel profilo gessoso di città-prigioni.

Sia che si scelga l’infomale materico o segnico, il collage concettuale, la fotografia al negativo, l’iperrealismo o i teatrini (come nel linguaggio critico si definiscono istallazioni contenute nella cornice di un quadro), al tema pacifista non mancano purtroppo argomenti di denuncia: non ultimi il guerreggiare del linguaggio, sempre più crudo e sempre più sordo, gli scenari in cui i simboli perdono il valore di monito o l’infanzia abusata e negata negli scenari di guerra civile.

Molto variegata anche la scelta di stili e materiali per il tema umanista ed etico, anche se prevale la pittura figurativa densa di riferimenti puntuali ai vizi (i peccati capitali), non mancano ironiche rappresentazioni del loro aggiornamento: nell’infinita ripetitività dell’immagine e dei gesti si ricalca una coazione a ripetere fuori da ogni controllo.

Anche il ritorno alla densità del mito, alla sua pluralità di significati, alla coabitazione dei contrari che in essi permane, diventa materia d’espressione di “peccati” che riaffiorano in abitus diversi ma non per questo meno pervicaci di un tempo: la negazione della vita, il disprezzo della privatezza, l’umiliazione e il rifiuto, i pregiudizi…a cui si affianca inesorabile il male di vivere che attrae nel suo vuoto progressivamente ogni significante e significato. E lontano, di fronte ad un impervio confine che può farsi frontiera, il vento muove vessilli, preghiere?, a cui bisogna ormai dar risposta.

Immagine: Tomaso Marcolla, Shalom, peace?, 2006, computer grafica cm 50x70

Inaugurazione della mostra e la presentazione del libro-catalogo 26 marzo 2007 alle ore 18.

Palazzo della Regione Trentino Alto Adige
Sala di Rappresentanza Piazza Dante 16 Trento
La mostra rimarrà aperta dal con orario: 08-20 tutti i giorni tranne il sabato e i festivi.

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