Vedere l'invisibile
Vedere l'invisibile
A pochi passi dalla Piazza Cattedrale ci si inoltra nell’antico Ghetto ebraico (le lapidi ricordano dove erano situate la scuola ebraica, frequentata anche da Bassani e la Sinagoga Spagnola, nella parallela via Vittoria). Proprio lì, nel cuore del Ghetto è posto un “unicum” raro a trovarsi in Italia: il ristorante con annessa galleria d’arte o se si vuole una galleria d’arte con annesso ristorante. Segni inconfondibili di una cultura del vivere che coniuga il buon gusto sia dell’estetica che del palato.
Autore di tutto ciò è Guido Marchesi, ristoratore e pittore.
Affidata la direzione artistica della Galleria a Sergio Altafini, esperto operatore d’arte e di cultura, si sta approntando un programma di rispetto che coniughi la forte presenza artistica qualitativa sia in ambito cittadino che in riflesso nazionale, per divenire un’affidabile piccola opportunità di verifica dello stato attuale dell’arte.
L’attività pubblica riprende proprio con una esposizione di Guido Marchesi dal titolo “Vedere l’invisibile” dall’energico richiamo simbolista, ma spogliato della drammaticità evocativa, insistente piuttosto sul chiaro scopo declamatorio e mai intimidatorio. I colori ad olio su tela ripristinano il gusto del racconto su affresco, raccogliendo come in un libro i capitoli della stesso viaggio.
CRITICA
Quello che si vede
La struttura dell’opera è semplice: il fondo e il soggetto in primo piano, ma ogni nuova frase del testo inizia con un attacco simultaneo di tutte le “voci” degli interpreti che non possono essere disgiunti nell’ambientazione. Ogni personaggio è delineato da ben caratteristiche cadenze del gesto, con sguardo rivolto ad una attonita attesa o con inconsapevoli ostacoli alla visuale. Paradosso del volo da fermo o ripiegamento costituiscono il materiale armonico di base di quasi tutte le composizioni. Paesaggi conosciuti e immutati e immutevoli che si intravvedono dalla memoria da finestra: è Toscana pianura o pianura padana, o abbaiare alla luna: atmosfera rinascimentale dettata dai colori. É la luce che muovendosi per intervalli di colore, imprime maggior ricchezza di movimento. La sintesi simbolica ha un chiaro scopo declamatorio e non intimidatorio.
Quello che si sente
Paragonando alla musica: quello che si sente è la risonanza di passi di danza sorridenti non di corte, ma di ascolto umano. I canti “Guideschi” restaurano l’orgoglio di sosta, rinnovano la forza della personalità del cinquecentesco canto carnascialesco. Alla finezza miniaturistica e ridondante degli autori nordici e oceanici, l’apolideferrarese contrappone l’armonia mono tono, con la tecnica dell’olio su tela i colori del “pitturar su fresco”, che qui è di casa, con i suoi tratti ampi e piatti. Alle complessità d’immagini mixate e all’artificio videografico manieristico oppone semplicità e immediatezza: ma del tutto estranee ed estranianti. In termini musicali: alla polifonia contraddice l’omofonia, alla gerarchia piramidale: la costruzione orizzontale; a un contesto contiguo e univoco: frasi nettamente delineate e individue; a un andamento ritmico e scorrevole,
complesso e ondulante: un ritmo secco e conciso.
Quello che non si vede, ma si percepisce.
La lentezza del viaggio come un bel sogno mattutino quando ti devi alzare e non ti vuoi svegliare sperando che il sogno continui. É la consapevolezza del già saputo: da sempre. La carica di mistero dell’incognita dell’attonito giulivo viaggio, prende. Ci vuole tempo per guardaresentire: ogni quadro è una frase; se si entra non si esce più. Il cuore s’innamora, la mente vola.
Galleria Marchesi
Via Vignatagliata, 41 - Ferrara
Orario: 11.00-13.00/18.00-22.00 tutti i giorni (giovedì chiuso)
Ingresso libero