Sono esposte opere video, fotografiche e pittoriche di Yi Zhou e di T-yong Chung. Si tratta di un accostamento che nasce con l'ambizione di disarticolare il cosidetto dato di fatto oggettivo, ovvero quello che puo' essere considerato il sublime risultato dell'ideologia positivista. Le opere dei due artisti rispondono entrambe al bisogno senza tempo di un'arte che sia meraviglia e stupefazione. Un progetto di Sergio Risaliti.
Opere di: Yi Zhou e T-Yong Chung
Un progetto di Sergio Risaliti
Il 18 settembre presso la Not Gallery di Napoli inaugura Verismo Magico un progetto di Sergio Risaliti. Saranno presentate opere video, fotografiche e pittoriche di Yi Zhou e T-yong Chung. Si tratta di un accostamento inedito che è nato con l’ambizione di disarticolare il cosìdetto dato di fatto oggettivo, ovvero quello che può essere considerato il sublime risultato dell’ideologia positivista. L’inganno della scienza positivista e della filosofia materialista.
Le opere dei due artisti rispondono entrambe, ma ognuna a loro modo, al bisogno senza tempo di un’arte che sia meraviglia e stupefazione, cioè di un’arte che nasce per stravolgere la partitura del quotidiano, la prospettiva dell’identico e dell’oggettivo, la spazialità certa e misurabile della geometria euclidea, la linearità irreversibile e invalicabile del tempo storico.
Il titolo, temi e tracce
Il titolo combina e scombina due categorie stilistiche che normalmente vivono contrapposte, quella del verismo e quella del magico. Lo spunto è dato dal Realismo Magico, quella corrente italiana del primo Novecento italiano nato in controffensiva a certe prove espressionistiche di lingua mitteleuropea. Nato dalla costola della Metafisica, il Realismo Magico, andava a perturbare la mimesis con un iperrealismo bloccato a limite dell’aberrazione e dell’assurdo con fini psicologici: ovvero restituendo in modo traumatico l’immagine della realtà specchiata da una coscienza che quasi sempre vive angosciata o allertata. Una realtà che nelle opere del realismo Magico appare riflessa negli specchi deformanti del flusso di coscienza, ovvero in quella zona di incontro tra il vissuto – che è sempre tragico, comico, sublime, atroce- e la coscienza –che è sempre scioccata e traumatizzata-. Uno stato cosciente e visionario in cui il soggetto, guardandosi o guardando, prova o avverte cosa sia il perturbante. In questo senso è ovvio che il Realismo Magico sia nato per sottrarre al positivismo la fiducia fideistica nella realtà, ntesa come dato oggettivamente conoscibile attraverso sia la tecnologia sia la scienza. Realtà scientificamente conoscibile e tecnologicamente controllabile che già allora veniva estesa alle cose, alle merci, alla psiche, alle emozioni, all’indicibile.
In occasione di questo progetto napoletano, lo scambio di parola –di realismo con verismo- avviene, tuttavia, anche in omaggio alla cultura del sud: perchè qui, al sud, il Verismo fu per l’appunto stagione florida di capolavori letterari e artistici. Infine non può essere evitato il debito contratto da ogni realismo, magico o nouveaux che sia, con la verità della pittura caravaggesca. Ovvero, a quel realismo iperuranio che scartando ipotesi materialistiche e idealistiche seppero ben leggere il critico Roberto Longhi e il poeta Pier Paolo Pasolini, intuendo come nell’evidenza imetica del pittore di realtà si annidasse una lucida follia che fuori di ogni romanticismo o idealismo era di natura mistica e metafisca. Un’opera di verità e di magia che oggi appare neo-platonica: capace cioè di trasformare la mera realtà quotidiana in una realta assoluta, ideale, perchè senza tempo e sempre attuale.
In altri termini il realismo del quotidiano caravaggesco appare un linguaggio di corpi, di gesti, di oggetti, pietrificatisi nello specchio della pittura laddove la carne diventa immagine figurale e il teatro pura rappresentazione di figuratività metafisica. Quel vero così magico e pertanto perturbante che è stato programmaticamente esemplificato in un mito come quello di Narciso, dove il doppio, l’identico, per una sorta di onomatopeismo figurale, cattura il sé trascinandolo magicamente nel proprio mondo iperreale. Nel realismo iperuranio di Caravaggio il tableuax è vivant per opera di magia, e il vivente è magicamente (ecco il suppplemento del genio) messo in posa per sparire del tutto, ma solo dopo veloce esposizione al lume di notte, nel doppio speculare dell’identità figurativa. Apparizione di realtà a tal punto metafisica da spaventare e ingannare, da meravigliare e sorprendere chi la contempli a lungo. Ma anche epifania vertiginosa di una figuralità del tutto orizzontale e realistica. In sintonia con quelle prove di peripezia logica e linguistica che ebbero tanto successo nel Seicento sia in poesia che in teatro.
Verismo magico va letto in questo senso come fuga dall’oggettività e negazione del dato di fatto oggettivo. Un progetto che volutamente nasce con intenzioni anacronistiche, per dire che ancora c’è spazio per la magia dell’arte, in un’epoca di esasperazione mediatica, di cronaca vera, di reality tv, di verismo informatico e di realismo ipertecnologico. Per rispondere con l’arte alla tecnica e alla scienza che, fino a prova contraria, sembrano avere il pieno controllo della realtà.
“Gli uomini immaginano più di quanto non pensino” affermava Gaston Bachelard, e poi si chiedeva:“Cosa vede il poeta delle immagini dove noi vediamo solo la realtà? “. I poeti ci dice “hanno delle espressioni che oltrepassano il loro pensiero, che oltrepassano il pensiero. Perforano la realtà dal momento che possiedono un occhio profondo e così oltrepassando il reale possono accedere ad un universo archetipico”. Per il filosofo francese l’universo dell’immaginario poetico coincideva con quello dell’iperrealismo dell’immaginazione.
“Un realismo che riesce a oltrepassare le apparenze, che vuole possedere il mondo nei suoi elementi sostanziali, e seguirlo nelle sue dinamiche più profonde”. Il linguaggio dell’arte, sembra dirci Bachelard, è una ontologia poetica. Proprio per questo ci comunica qualcosa attraverso l’emozione, il cuore, l’anima. L’immagine infatti risuona, respira, si illumina e sembra ritornare da molto lontano, dopo aver compiuto un viaggio nel tempo e nello spazio. W. Benjamin nei suoi Passages ha scritto che: “L’Ora è l’immagine più intima di Ciò che è stato.”. Certe immagini insomma ci riportano ora sul luogo dell’eterno presente, in quel passato che rivive sempre nuovamente di somiglianze e reminescenze.
Gli artisti, le opere
Gli oggetti del quotidiano riprodotti da T-yong Chung -siano essi una macchina da cucire, una caffettiera, un paio di forbici, od altro ancora- sono di fatto degli oggetti-fantasma. E per tanto li diremmo fantasmatici. Sono sagome evanescenti, inscritte in un mondo in cui la materialità si sfalda per assomigliare a quanto c’è di più etereo o di più aereo: nuvole e fiamme, fumi, cirri, esalazioni, fuochi fatui, che salgono tra terra e cielo, a mezza strada tra la pura fisicità e la inconcepibile irrealtà. Gli utensili assolutamente precedenti la realtà oppure orfani della stessa, salgono alla luce affiorando in quella che sembra essere una notte oscura. La loro sostanza è infatti riconoscibile al nero e, come in un’epifania di forme e superfici che sono precedenti al colore, essi sorgono per emanzione dell’aura. Ma non sono radiografie di oggetti-merce scattate nel momento di una apocalisse atomica. Il mondo di T-yong Chung è un mondo di leggerezza e di aura.
Di leggerezza dell’essere e di sospensione dell’esserci. Dove, come negli abissi marini, o in quelli iperurani, si vive solo di luce e di irradizione. Dove non c’è differenza tra anima e sostanza, tra vita reale e favola; dove le cose, o l’impressione degli utensili, appare ricordata o sognata, fantasticata o immaginata. Siamo a ventimila leghe sotto i mari, tra le pieghe di soglie neuronali e ci muoviamo ai limiti dell’universo. Allucinazione o epifania, gli utensili ritratti da t-Yong si sfilacciano davanti ai nostri occhi come certi sogni sul far del mattino. Salvo che qui l’alba è oscura. Lo spazio è nero-fumo.
Come scrive Guido Molinari a proposito delle opere di T-Yong Chung: “ In alcuni disegni e dipinti su fondo nero risaltano oggetti quotidiani colti in un punto di confine con l’astrazione. In queste opere, il segno utilizzato diventa una traccia luminosa che anima gli oggetti, certamente riconoscibili e identificabili, ma dalla consistenza di ectoplasmi giunti da una realtà parallela. Queste soluzioni mostrano il desiderio di immergersi in un cosmo misterioso che non prescinda dalla percezione della realtà stessa. Una relazione con la quotidianità, che però viene rivissuta e trascritta attraverso gli strumenti della pittura, della scultura, o, in altri casi, servendosi di operazioni concettuali. I punti di contatto con il mondo rivisitati creativamente dall’artista, rivelano uno sguardo innocente, che vuole restituire una carica emozionale, non corrotta dall’abitudine o dai rapporti legati alla funzione degli oggetti stessi ”.
Per Yi Zhou la realtà è invece un enigma, una dimensione oracolare in cui le cose parlano per reverie. Un sogno ad occhi aperti di cui dobbiamo decifrare la verità archetipica. Yi Zhou guarda la vita come scena di un mito, e infatti mitologemi, e figure arcaiche, assieme ai simboli della scienza sacra e alle iconografie dell’epoca medievale o rinascimentale, ritornano sovente come informazioni inquietanti e misteriose.
Il magico per Yi Zhou è il carattere della realtà stessa che sembra strutturarsi come ricordo o sogno. Il passato a cui allude ogni figura è esperienza remota la cui forza concettuale è sempre attuale; l’immagine presente è allora qualcosa che ritorna e affiora da molto lontano, qualcosa di fondamentale che ha viaggiato nel tempo e nello spazio. Perché, come le immagini del mito, anche queste sono fondanti, e lo sono in senso sia metafisico sia antropologico.
Radicate in una preistoria dell’immaginario e dell’esperienza esse hanno accompagnato riti e costumi, usanze e comportamenti, anche per dare significato alla percezione di forze sovrumane o inumane. E allora certe immagini ritornano come fanno gli archetipi: ovvero risalendo da un tempo remoto, da quella preistoria della coscienza durante la quale l’uomo ha pensato per simboli e gesti universali. “AVATARS,” un corto d'autore, concepito e diretto da YI ZHOU, è stato presentato alla 64ema Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica a Venezia il 6 settembre 2007 . Il film è ispirato a un testo di Jean Baudrillard. In quelli che sono propriamente dei frammenti, il filosofo francese analizza il rapporto tutto speciale tra gemelli interrogandosi in particolare sulla nozione di gemelli Siamesi: cioè su quella doppia identica esistenza o anima individuale che lega due esseri fisicamente distinti e per molti aspetti diversi, addirittura contrapposti e antagonisti. In un certo senso "avatar" rimanda anche ai miti platonici, quelli in particolare dedicati alla forma primordiale degli uomini, una forma di bellezza e completezza assegnata agli esseri umani prima della loro divisione sessuale.
Nella tradizione orientale, il termine avatar, oggi conosciuto in altri ambiti, ad esempio quello di "second life", è, come sappiamo, collegato alla doppia vita spirituale degli esseri umani, alle figure angeliche protettrici, al culto dell’al di là. Insomma l'avatar sarebbe una specie di angelo custode. Il film inoltre narra
simbolicamente la fatica di Sisifo. Tuttavia a questo livello simbolico non si ferma, parlandoci poi della bellezza surreale della natura, del mondo dei sogni, così come della vita e della morte, dell'amore tra i gemelli (amore quasi letale, comuque tragico) e infine di un doppio differito narcisimo, quello dell’io che diviso si ricompone nella propria immagine, quella differita nella figura gemella.
Yi Zhou è una giovane artista cinese, che in pochi anni si è fatta conoscere al livello internazionale. L'anno scorso ha mostrato il suo lavoro nel Palazzo della Signoria di Firenze, in un'esposizione personale ispirata dalla "Divina Commedia" di Dante. Per la prima volta ha presentato uno dei suoi video alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. L'artista parteciperà anche alla mostra "Tomorrow, il futuro sensibile" organizzata in occasione del prossimo Festival della Scienza di Genova. Sta preparando un progetto speciale per Miami e una grande installazione pubblica per New York.
Inaugurazione 18 settembre 2007
Il 18 settembre dalle ore 21 al Trip ( Via Giuseppe Martucci, 64) sarà proiettato il video “Avatars” di Yi Zhou. La proiezione sarà ripetuta il 19 settembre alle ore 12, dal 20 al 22 settembre dalle 19,30 alle 22,30.
NOTgallery
piazza Trieste e Trento 48 - Napoli
Orari di apertura: dal martedi’ al sabato dalle 16 alle 20 e su appuntamento.
Ingresso libero