Visioni estensi. Frammenti di vita. Gli arredi carichi di memorie della Palazzina di Marfisa d'Este, le silenziose presenze sui muri di Palazzo Schifanoia, i fantasmi ariosteschi che riprendono vita nella casa del poeta: questi i soggetti delle fotografie digitali dell'artista.
Visioni estensi. Frammenti di vita
a cura di Maria Livia Brunelli
S'inaugura Domenica 16 settembre alle ore 18,30 presso la Galleria del Carbone di
via del Carbone 18/a la mostra personale di Giulio Fabbri dal titolo: Visioni estensi Frammenti di vita. Gli arredi carichi di memorie della Palazzina di Marfisa
d'Este, le silenziose presenze sui muri di Palazzo Schifanoia, i fantasmi
ariosteschi che riprendono vita nella casa del poeta: questi i soggetti delle
suggestive fotografie digitali di Giulio Fabbri, artista ferrarese che ha elaborato
attraverso una tecnica contemporanea una nuova visione di questi luoghi carichi di
storicità. Ne sono risultate una serie di immagini fluttuanti ed evocative, che
hanno il fascino della sovrapposizione emotiva dei ricordi e la suggestione della
patina corrosiva del tempo sugli affreschi. La mostra che gode del Patrocinio della
Fondazione Cassa di Risparmio e del Comune di Ferrara è stata realizzata in
collaborazione con i Musei Civici di Arte Antica a cura di Maria Livia Brunelli.
L'esposizione che chiuderà il 30 di settembre avrà una seconda stazione espositiva
alla Casa dell'Ariosto nella Circoscrizione Giardino Arianuova Doro.
I décollage digitali di Giulio Fabbri
di Maria Livia Brunelli
Se il collage è un'accumulazione frammenti, il décollage è una sottrazione di quei
frammenti da un'immagine unitaria. L'immagine viene in parte cancellata, deturpata,
strappata, ma dietro c'è sempre una regia precisa e non casuale. La pratica del
décollage, inventata dai noveaux réalistes all'inizio degli anni Cinquanta, e resa
celebre in Italia da Mimmo Rotella, che strappava i cartelloni pubblicitari di miti
di massa come Bogart, Marilyn e Mastroianni, viene ora recuperata da Giulio Fabbri
in occasione di questa serie di opere.
Si tratta però di décollage digitali, perché il supporto non è più cartaceo come nel
caso delle composizioni di Rotella: Fabbri parte da fotografie di luoghi reali per
elaborarle digitalmente con la tecnica del décollage, facendo scomparire
dall'immagine tutti quegli elementi che lo sguardo dell'artista non ritiene
significativi, al fine di privilegiare solo alcuni particolari che sono funzionali a
creare sollecitazioni narrative agli occhi dello spettatore.
Allo stesso tempo, oggetto di questa pratica artistica non sono più le icone
contemporanee dello star businnes di Rotella, ma le icone cinquecentesche della
corte estense ferrarese.
Ne sono risultate una serie di immagini fluttuanti ed evocative, che hanno il
fascino della sovrapposizione emotiva dei ricordi e la suggestione della patina
corrosiva del tempo sugli affreschi.
Un tempo sospeso fuori dalle coordinate storiche, come quello delle fiabe. E' in
questo limbo temporale che si collocano le Visioni estensi di Fabbri, un percorso
tra passato e presente alla ricerca di tracce di vissuto in luoghi carichi di
storicità.
Lo sguardo attento e curioso del fotografo ha però evitato quegli edifici in cui la
vita della casata estense si è irrigidita in formule di pomposa formalità, per
prediligere le dimore più intime e raccolte, dense di aure domestiche. Ad abitare
questi spazi sono gli arredi carichi di memorie della Palazzina di Marfisa d'Este, o
le silenziose presenze sui muri di Palazzo Schifanoia, o ancora i fantasmi
ariosteschi che riprendono vita nella casa del poeta.
Queste Visioni estensi, arricchite in alcuni casi da installazioni scultoree, hanno
finito per aggregarsi attorno a due nuclei tematici: Percorsi segreti, una serie di
opere dedicate ai luoghi degli Estensi, esposte a Casa dell'Ariosto, e Frammenti di
vita, una seconda serie di opere che hanno per protagonisti gli abitanti di quegli
stessi luoghi, presentate alla Galleria del Carbone.
Percorsi segreti è un titolo evocativo, che nasconde sottesi esoterici, sottolineati
dagli interventi installativi: volontà dell'artista è stata quella di ripercorrere
le orme di chi ha abitato gli ambienti fotografati, ricostruendone la vita
quotidiana attraverso una sorta di visionario "pedinamento" visivo. Di stanza in
stanza, l'artista immagina ad esempio di inseguire all'interno della sua casa
Marfisa d'Este, la leggendaria dama estense nipote di Lucrezia Borgia, donna
bellissima ma divoratrice di uomini, mondana ma capace di gesti magnanimi (diede
assistenza a Torquato Tasso rinchiuso nell'ospedale Sant'Anna), così legata alla sua
dimora che volle restarvi anche dopo la consegna della città al papa.
Questo attaccamento alla sua casa fu forse la causa della leggenda che nacque
attorno alla figura di Marfisa, secondo cui la nobildonna ogni notte usciva dalla
porta su un cocchio, seguita da un corteo di fantasmi: gli amanti uccisi nella sua
dimora. Ecco allora emergere come fantasmi indistinti, da secoli di stratificazioni
e cambiamenti, di sovrapposizioni e trasparenze (e qui ai décollage di Rotella si
somma il ricordo delle stratificazioni serigrafiche di Rauschenberg), le stanze di
questa fascinosa dimora avvolte nei veli della memoria.
Ecco l'occhio soffermarsi su quella sedia, su quello specchio, su quella finestra
che furono lo sfondo di misteriosi momenti di vita vissuta (e poco importa se in
realtà non si tratta di arredi originali, ma frutto di una ricostruzione
museografica novecentesca: l'aura di Marfisa ha comunque impregnato quelle stanze in
maniera indelebile).
Ecco ancora un evocativo richiamo al grande spazio verde privato che collegava la
palazzina a Palazzo Bonacossi, ecco la porta della terribile prigione che fece da
sfondo ai patimenti di Giulio d'Este, condannato al carcere a vita, ecco il
riferimento al senno dell'Orlando ariostesco, che ha perduto la sua umanità
smarrendosi nella follia.
Protagonisti della serie di opere intitolate Frammenti di vita sono invece
evanescenti fantasmi, che per centinaia di anni paiono essere stati in attesa di
sguardi che li riportassero in vita: finché l'occhio dell'artista ha compiuto
l'atteso miracolo, attuando una cancellazione selettiva degli sfondi in cui erano
immersi per riportarli in luce, seppur in maniera confusa e frammentata, come
reperti che riaffiorano lentamente dall'oblio. Si tratta di presenze non meglio
identificate, abitatori muti di pareti e stanze che hanno il colore ingiallito della
carta antica: ogni tanto tra i lacerti superstiti appare una dama senza volto, lo
sguardo offuscato di un infante, il piede di un passante, una mano che regge un
fazzoletto, un cagnolino in attesa di chissà quali padroni. Indizi di un vissuto
supposto, non precisato ma suggerito.
Una operazione ancora più selettiva ha per protagonisti gli affreschi di Palazzo
Schifanoia. Se Giuseppe Mazzolani, tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del
Novecento, copia gli affreschi con intento restaurativo e ricostituivo, in una
totale capacità di identificazione con lo stile degli autori dei Mesi, Giulio Fabbri
invece li corrode con una colata lavica infuocata, lasciando affiorare degli sfondi
solo alcuni elementi decontestualizzati, come i metafisici vestimenti di Venere, che
risaltano così con effetto moltiplicato nella loro paradossale, elettrica
visionarietà.
Galleria del Carbone
Via del Carbone, 18/A - Ferrara
Orario: dal lunedì al venerdì 17-20; sabato e festivi 10.30-12.30 17-20; martedì chiuso
Ingresso libero