Opus II Forme Presenze. Mostra personale di tele astratte. 'Il campo del quadro e' il luogo della tensione fra relitti di forme e sincronia del colore' (Giulia Ceschel).
Opus II Forme Presenze
Una delle teorizzazioni più interessanti su quanto stava accadendo all’arte agli inizi del XX secolo, riguardò il concetto di pittura “astratta” che venne egregiamente presentata nel saggio del 1908 dello storico d’arte tedesco Wilhelm Worringer, e che fu divulgato con il titolo “Astrazione ed Empatia ”. In questo testo lo studioso mise, per la prima volta, in evidenza il nesso esistente tra la tendenza all’astrazione e l’angoscia dell’uomo di fronte alla incomprensibilità del reale. Nella sua argomentazione non viene più presa in considerazione la forma dell’oggetto, come espressione della realtà esterna, ma al contrario come la reazione che si crea nell’animo di colui che contempla la realtà. Essa viene in tal modo percepita dal soggetto solamente attraverso i propri sensi ed in base alle sue imprescindibili emozioni e reazioni del tutto individuali. La narrazione infatti, nell’ambito del dipinto astratto, scaturisce direttamente dall’anima dell’artista.
Alla luce di tutto ciò, se osserviamo il lavoro pittorico dell’artista Vito Campanelli, vediamo che in gran parte della sua produzione pittorica che, senza dubbio possiamo definire astratta, egli sembra vivere quella tensione tipica dell’uomo occidentale, trovandosi a fare i conti con un angoscioso dualismo di tipo esistenziale. Da un lato vi è infatti un’esteriorità sociale vissuta come qualcosa d’imposto e di fittizio e dall’altro lato un’interiorità che è invece autentica espressione dell’io. Si può però cercare una via per sgretolare l’involucro sociale nel quale ci si trova immersi, e quest’ultima è rappresentata proprio dalla gestualità pittorica. Gestualità che viene così intesa come azione che l’artista compie per manifestare la propria tormentata interiorità. Campanelli, infatti, ha già deciso, ed ha intenzione di tenersi lontano da ogni forma di consumismo e di superficialità di cui è invaso questo nostro mondo globalizzato. Perché in esso, troppo spesso, si tende a sottrarre visibilità al singolo e all’individualità più genuina.
D’altra parte nel mondo dell’arte autentica non è sempre il “vero” e la“ verità” ad occupare un posto di primo piano? Se esiste un fuoco dello spirito che arde davvero, al di là di ogni tragicità, non è forse là che si manifesta una forma di bellezza propriamente umana? Soltanto l’arte è in grado di realizzare questa identità superiore, in cui artista e mondo esterno coincidono, infatti nell’atto creativo l’artista ha il potere di oggettivare l’idea nella materia e con ciò, di rendere soggettiva la materia stessa.
Già nei primi anni cinquanta in America, il critico d’arte del “New Yorker” Roberts Coat propose il termine di “Abstract Expressionism” ed il critico Harold Rosenberg, nel 1951, introdusse l’espressione di “Action Painting”. Con questi due termini s’iniziò ad indicare due nuove correnti artistiche. Queste raggruppavano spontaneamente diverse inclinazioni artistiche che erano però unite da un unico filo conduttore. Ciò che le accomunava era un’astrazione basata sulla frontalità dello spazio, la rapidità di esecuzione del ductus pittorico e soprattutto l’assenza di strutture narrative, intese in senso tradizionale. All’interno di questo gruppo di artisti, circa una quindicina, ne citerò alcuni, tra i più noti, che costituiscono un importante punto di riferimento per comprendere il lavoro dell’artista Campanelli.
Ricordiamo quindi il lavoro di Mark Rothko, Clyfford Still, Barnett Newman, Franz Kline, Willem De Kooning e Jackson Pollock che, attraverso questo movimento, consacrato da alcune famose gallerie di New York, quali quella di Peggy Guggenheim e quella di Betty Parson, raggiunsero l’attenzione internazionale anche in Europa, dove fino a quel momento, questo movimento appariva ancora sconosciuto.
A differenza di quanto fecero gli artisti dell’Espressionismo Astratto americano, l’artista tedesco Hans Hartung, ci introduce invece ad una pittura di espressione segnica, dove il “gesto” è decisamente più controllato da un’attenta preparazione propedeutica e da una profonda riflessione intellettuale. Un suo dipinto dal titolo“T”, risalente al 1956 e attualmente conservato nel Museo Nazionale D’arte Moderna di Parigi, ne è un chiaro esempio. Qui lo spazio del dipinto è infatti concepito come qualcosa di evocativo, permeato da una forte spiritualità.
Ecco allora che, dietro l’apparente semplicità dei lavori di Vito Campanelli, che a tratti potrebbe essere scambiata per semplificazione, osserviamo come nell’ambito del ciclo pittorico che prende il nome di “OPUS”, egli si ricolleghi a tutta questa tradizione pittorica che lo ha preceduto. Con il termine “OPUS” che deriva dal latino ed è traducibile con l’epiteto “lavoro”, si racchiude l’intero corpus di opere realizzate dall’artista tra il 2004 ed il 2007. Con questo titolo non dobbiamo pensare ad un auto-elogio riferito della propria attività pittorica, ma al contrario dobbiamo ricondurlo direttamente ad un’azione pura e alla gestualità carica di forza interiore, che è dominante in tutto il suo lavoro. Lo scopo unico è quello di far trasparire, di far emergere in tutta la sua prepotenza, dalla materia di cui è composto il colore, la pittura. Questa è quindi una pittura, espressa attraverso la fisicità dell’artista, che si esplicita nell’atto dello stendere il colore e nella sua rapidità di esecuzione. Tutti questi sono gli aspetti che caratterizzano i suoi manufatti pittorici del periodo 2004-2007.
Jaques Derrida, in un suo libro sulla verità in pittura, scrisse: “…fare l’economia dell’abisso: non soltanto sottrarsi alla caduta nel senza-fondo tessendo e ritessendo all’infinito la trama, arte testuale del rammendo, moltiplicazione degli elementi all’interno degli elementi; ma anche fissare le leggi della riappropriazione, formalizzare le regole che reggono la logica dell’abisso e che fanno la spola tra l’economico e l’anaeconomico, tra il rialzo e la caduta, tra l’operazione abissale che non può che lavorare al rialzo e ciò che in essa riproduce regolarmente la caduta.” Così Campanelli vive ed entra in questa logica dell’abisso, in cui opera ed anima vengono deturpate da una condizione di caduta fra l’economico e l’anaeconomico, ma in seguito questa operazione non potrà che portare ad un rialzo psicologico, in cui la sua arte diventerà oggetto e precorritrice di una stabilità emotiva.
Nei dipinti di Campanelli osserviamo come i colori siano sempre in primo piano e ci presenta una selezione cromatica di non trascurabile livello. I colori come il blu, l’arancio o il nero prevalgono nella maggior parte dei dipinti dell’ultimo periodo. Assistiamo in essi anche a continui contrasti simultanei in cui l’arancio, quando si trova accostato per esempio ad un blu oltremarino, venga sensorialmente trasformato in un grigio che si avvicina molto al nero. In tal modo viene trasmessa alla nostra retina una segnalazione, un imput che ci avvicina ad uno stato di quiete, una sorta di visione rilassata e confortevole. Essa però scaturisce come risultato di una lunga battaglia, quella che intercorre tra il pittore e lo spazio con il quale si trova a lottare. Oppure, in altri casi, si manifesta in modo simile al moto di un’onda del mare, che al suo prorompere imponente, in cui sprigiona tutta la sua forza, fa seguito una distensione, dando luogo ad un movimento più calmo e tranquillizzante, quasi si verificasse una distensione psichica.
Il campo del quadro è il luogo della tensione fra relitti di forme e sincronia del colore; ma da tutto ciò l’artista ne esce vittorioso, e adornandosi d’alloro, il suo animo contemplativo che è capace di sopravvivere al mutare del tempo, ha finalmente la meglio. Anche se, mentre tutto ciò avviene, l’artista non ne è totalmente conscio ed il suo agire, che prende forma e si materializza sulla tela, avviene con moto spontaneo.
Questo modalità di procedere, apparentemente casuale, si esplicita nell’epifania del gesto, che si costituisce e si dissolve fra visioni inconsce ed inaspettate. In tutto ciò è la pittura stessa, per prima, a dettare il linguaggio all’artista. Perciò astrarre diventa anche estrarre, quindi togliere, fino a giungere all’essenza alchemica della pittura. Pittura che, ancor oggi, possiamo considerare come una delle più significative espressioni nel mondo dell’arte contemporaneo.
Un immagine lampante di tutto ciò è per esempio il lavoro di Franz Kline “Untitled” dipinto nel 1957. Esso infatti costituisce un esempio di grande importanza, sia dal punto di vista della sua esecuzione, sia nella gestualità dalla carica coloristica notevole. Campanelli in questo aspetto se ne avvicina molto. In seguito però, nei suoi dipinti di più recente realizzazione, possiamo osservare come l’andatura del segno diventi decisamente più controllata, probabilmente questo controllo deriva da una memoria storica, di cui egli non sembra consapevole, ma che dimostra di avere il potere di trasformare, dolcemente, il rigido involucro ovattato che avvolge il segno.
Perciò la pittura di Campanelli assume, come elemento tautologico, l’arma affilata della pittura, capace di deformare la materia ed il colore, per racchiudere in sé un frammento indefinito del caos interiore, dell’io più celato dell’artista. Così con tale risposta antitetica al sociale, l’artista si lascia smarrire all’interno di un sogno esultante.
L’arte è uno dei pochi mezzi, anche per l’uomo di oggi, capace di sfidare o di contenere la paura della morte o di un destino oscuro. Ecco allora, che la pittura e l’arte in generale, possono costituire uno splendido modo di far fronte a quel “malessere di vivere” che ci accomuna tutti.
E ancora ricordiamo che “Solo gli esseri umani veramente grandi sanno dipingere” così affermo il grande artista tedesco Gerhard Richter.
Giulia Ceschel
Galleria Spazio Bianco
via Palazzo, 45 - Mestre (VE)