Visioni estensi. Percorsi segreti. I suoi decollage digitali sono immagini fluttuanti ed evocative, che hanno il fascino della sovrapposizione emotiva dei ricordi e la suggestione della patina corrosiva del tempo sugli affreschi.
Visioni estensi. Percorsi segreti
a cura di Maria Livia Brunelli
S’inaugura Sabato 29 settembre alle ore 18,00 presso il Museo Casa
dell'Ariosto di via Ludovico Ariosto 67 a Ferrara la mostra personale di
Giulio Fabbri dal titolo: VISIONI ESTENSI Percorsi segreti. Gli arredi
carichi di memorie della Palazzina di Marfisa d’Este, le silenziose presenze
sui muri di Palazzo Schifanoia, i fantasmi ariosteschi che riprendono vita
nella casa del poeta: questi i soggetti delle suggestive fotografie digitali
di Giulio Fabbri, artista ferrarese che ha elaborato attraverso una tecnica
contemporanea una nuova visione di questi luoghi carichi di storicità. Ne
sono risultate una serie di immagini fluttuanti ed evocative, che hanno il
fascino della sovrapposizione emotiva dei ricordi e la suggestione della
patina corrosiva del tempo sugli affreschi. La mostra che gode del
Patrocinio della Fondazione Cassa di Risparmio e del Comune di Ferrara è
stata realizzata in collaborazione con la Galleria del Carbone a cura di
Maria Livia Brunelli. L’esposizione che chiuderà il 18 di novembre ha avuto
una prima stazione espositiva alla Galleria del Carbone in vicolo del
Carbone 18/a fino al 30 settembre.
I décollage digitali di Giulio Fabbri
di Maria Livia Brunelli
Se il collage è accumulazione di frammenti, il décollage è una sottrazione
di quei frammenti da un’immagine unitaria. L’immagine viene in parte
cancellata, deturpata, strappata, ma dietro c’è sempre una regia precisa e
non casuale. La pratica del décollage, inventata dai noveaux réalistes
all’inizio degli anni Cinquanta, e resa celebre in Italia da Mimmo Rotella,
che strappava i cartelloni pubblicitari di miti di massa come Bogart,
Marilyn e Mastroianni, viene ora recuperata da Giulio Fabbri in occasione di
questa serie di opere.
Si tratta però di décollage digitali, perché il supporto non è più cartaceo
come nel caso delle composizioni di Rotella: Fabbri parte da fotografie di
luoghi reali per elaborarle digitalmente con la tecnica del décollage,
facendo scomparire dall’immagine tutti quegli elementi che lo sguardo
dell’artista non ritiene significativi, al fine di privilegiare solo alcuni
particolari che sono funzionali a creare sollecitazioni narrative agli occhi
dello spettatore.
Allo stesso tempo, oggetto di questa pratica artistica non sono più le icone
contemporanee dello star businnes di Rotella, ma le icone cinquecentesche
della corte estense ferrarese.
Ne sono risultate una serie di immagini fluttuanti ed evocative, che hanno
il fascino della sovrapposizione emotiva dei ricordi e la suggestione della
patina corrosiva del tempo sugli affreschi.
Un tempo sospeso fuori dalle coordinate storiche, come quello delle fiabe.
E’ in questo limbo temporale che si collocano le Visioni estensi di Fabbri,
un percorso tra passato e presente alla ricerca di tracce di vissuto in
luoghi carichi di storicità.
Lo sguardo attento e curioso del fotografo ha però evitato quegli edifici in
cui la vita della casata estense si è irrigidita in formule di pomposa
formalità, per prediligere le dimore più intime e raccolte, dense di aure
domestiche. Ad abitare questi spazi sono gli arredi carichi di memorie della
Palazzina di Marfisa d’Este, o le silenziose presenze sui muri di Palazzo
Schifanoia, o ancora i fantasmi ariosteschi che riprendono vita nella casa
del poeta.
Queste Visioni estensi, arricchite in alcuni casi da installazioni
scultoree, hanno finito per aggregarsi attorno a due nuclei tematici:
Percorsi segreti, una serie di opere dedicate ai luoghi degli Estensi,
esposte a Casa dell’Ariosto, e Frammenti di vita, una seconda serie di opere
che hanno per protagonisti gli abitanti di quegli stessi luoghi, presentate
alla Galleria del Carbone.
Percorsi segreti è un titolo evocativo, che nasconde sottesi esoterici,
sottolineati dagli interventi installativi: volontà dell’artista è stata
quella di ripercorrere le orme di chi ha abitato gli ambienti fotografati,
ricostruendone la vita quotidiana attraverso una sorta di visionario
“pedinamento” visivo. Di stanza in stanza, l’artista immagina ad esempio di
inseguire all’interno della sua casa Marfisa d’Este, la leggendaria dama
estense nipote di Lucrezia Borgia, donna bellissima ma divoratrice di
uomini, mondana ma capace di gesti magnanimi (diede assistenza a Torquato
Tasso rinchiuso nell’ospedale Sant’Anna), così legata alla sua dimora che
volle restarvi anche dopo la consegna della città al papa.
Questo attaccamento alla sua casa fu forse la causa della leggenda che
nacque attorno alla figura di Marfisa, secondo cui la nobildonna ogni notte
usciva dalla porta su un cocchio, seguita da un corteo di fantasmi: gli
amanti uccisi nella sua dimora. Ecco allora emergere come fantasmi
indistinti, da secoli di stratificazioni e cambiamenti, di sovrapposizioni e
trasparenze (e qui ai décollage di Rotella si somma il ricordo delle
stratificazioni serigrafiche di Rauschenberg), le stanze di questa fascinosa
dimora avvolte nei veli della memoria.
Ecco l’occhio soffermarsi su quella sedia, su quello specchio, su quella
finestra che furono lo sfondo di misteriosi momenti di vita vissuta (e poco
importa se in realtà non si tratta di arredi originali, ma frutto di una
ricostruzione museografica novecentesca: l’aura di Marfisa ha comunque
impregnato quelle stanze in maniera indelebile).
Ecco ancora un evocativo richiamo al grande spazio verde privato che
collegava la palazzina a Palazzo Bonacossi, ecco la porta della terribile
prigione che fece da sfondo ai patimenti di Giulio d’Este, condannato al
carcere a vita, ecco il riferimento al senno dell’Orlando ariostesco, che ha
perduto la sua umanità smarrendosi nella follia.
Protagonisti della serie di opere intitolate Frammenti di vita sono invece
evanescenti fantasmi, che per centinaia di anni paiono essere stati in
attesa di sguardi che li riportassero in vita: finché l’occhio dell’artista
ha compiuto l’atteso miracolo, attuando una cancellazione selettiva degli
sfondi in cui erano immersi per riportarli in luce, seppur in maniera
confusa e frammentata, come reperti che riaffiorano lentamente dall’oblio.
Si tratta di presenze non meglio identificate, abitatori muti di pareti e
stanze che hanno il colore ingiallito della carta antica: ogni tanto tra i
lacerti superstiti appare una dama senza volto, lo sguardo offuscato di un
infante, il piede di un passante, una mano che regge un fazzoletto, un
cagnolino in attesa di chissà quali padroni. Indizi di un vissuto supposto,
non precisato ma suggerito.
Una operazione ancora più selettiva ha per protagonisti gli affreschi di
Palazzo Schifanoia. Se Giuseppe Mazzolani, tra la fine dell’Ottocento e
l’inizio del Novecento, copia gli affreschi con intento restaurativo e
ricostituivo, in una totale capacità di identificazione con lo stile degli
autori dei Mesi, Giulio Fabbri invece li corrode con una colata lavica
infuocata, lasciando affiorare degli sfondi solo alcuni elementi
decontestualizzati, come i metafisici vestimenti di Venere, che risaltano
così con effetto moltiplicato nella loro paradossale, elettrica
visionarietà.
Museo Casa Ariosto
Via Ludovico Ariosto 67 - Ferrara
Dal martedì al sabato 10.00-13.00 e 15.00-18.00; domenica10.00-13.00