Orologi a polvere. Personale. "Il gesto pittorico che cercava di rivelare e rilevare gli oggetti, e' qui respinto, sul margine della traccia negativa, costretto alla ripetizione, al tentativo circolare."
Orologi a polvere
“Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria; un filo s’addipana.”
Eugenio Montale
“Non costruisco se non distruggendo,
non avanzo se non voltando le spalle alla meta.”
Alberto Giacometti
ll passo si chiude alle nostre spalle. L’incedere progressivo e positivo può allora, nel segno, capovolgersi in un incidere la ritrosìa dell’oggetto, il suo immancabile farsi residuo in fuga. E se l’oggetto è il tempo – o meglio, la sua continua vacanza – la misura diventa scarto, polvere. La fenomenologia della percezione è alla base della ricerca di Versari, la necessità di farsi vuoto, di ridurre l’osservazione a un grado zero perché il reale si riempia di sé, è il conato che ha generato molte delle sue tele, unitamente alla sorpresa dell’oggetto, allo stupore della sua comparsa straniata e ieratica in campiture di silenzio blu o violaceo.
Quello che questi Orologi a polvere manifestano, ovvero rendono visibile, è l’estremità ultima di quelle tele, il segno definitivo che non può comparire se non come sindone di materia. Non c’è rappresentazione, niente si esprime e si rappresenta se non la perfezione dell’assenza, calco semico di un soggetto che mentre ci accoglie ci rifiuta: sistole e diastole depositata e figurata in filo. Avvicinare il tempo, mimandone l’incosuntile tessuto tramite la tessitura del filo, con la cura di una meditazione – non è assente la concentrazione dell’ideogramma giapponese nella gestualità di Versari – è uno stillicidio della tela, dove anziché costruirsi il soggetto-oggetto volge le spalle, ci lascia orfani, ci rigetta come ossi di seppia.
Il gesto pittorico che cercava di rivelare e rilevare gli oggetti, è qui respinto, oltre ogni ulteriore tentativo, sul margine della traccia negativa, costretto alla ripetizione, al tentativo circolare. Un fallimento solo apparente, poiché nell’accettazione della propria fatica, reiterata in un labirinto liturgico, qualcosa si libera, il gesto slitta sinesteticamente verso un senso acustico, apre una percussione inaspettata, si dà voce. L’eco percussivo del tempo che si scolla si fa simile al suono del frangente nell’onda, al crepitare del fuoco. L’ascolto si fa allora conciliante, attraente, ctonio. Marco Bernini
Fontanonearte Faenza
Via G. da Oriolo, 2 - Faenza (RA)
Ingresso libero