I love my tags. L'artista elabora una personale visione del contesto grafico e materico metropolitano. Vuole essere testimone della realta' e, nel farlo, gioca sull'elevazione estetica di scritte comuni: tags e slogan, segni lasciati rapidamente e abusivamente sul corpo della citta'.
I love my tags
Si potrebbe cominciare dalla fine e dire che Max Bi (Brescia, 1973) lancia un concetto che è quasi un manifesto: espressionismo urbano; per poi aggiungere: “tutti coloro che lo condividono sono chiamati ad unirsi a me”. In questa esposizione del tutto peculiare, Max Bi insinua la sua più recente ricerca fra i muri accidentati della Galleria44; con un leggero ma fondamentale grado di sfasatura rispetto alle sue opere precedenti, l’artista elabora una personale visione del contesto grafico e materico metropolitano. Come da disciplina etnografica, ciò che interessa a Max è la restituzione, la comunicazione di un particolare aspetto della vita contemporanea occidentale: a partire dalla registrazione dei dettagli, ricostruisce un contesto complesso. Può sembrare un infelice gioco di parole associare il naturalismo a un lavoro che ha per oggetto muri, vernici e cemento, eppure, quasi fosse un narratore verista, l’artista non concede spazio a giudizi, critiche, rabbia e ironia soggettive: la descrizione di ciò che attrae l’interesse occupa l’intera scena espressiva, in virtù di una poderosa e solida tecnica esecutiva.
Ogni opera è infatti frutto di un intenso lavoro su forma e materia; anche quando una fotografia struttura l’opera, l’inserzione di materiali poveri - come ritagli e frammenti d’oggetti desueti – articola la composizione su diversi piani prospettici e molteplici livelli di lettura. L’esperienza e la mano del pittore (resine e colori vanno a colmare le spaccature che il cemento genera sulla juta), modellatore e scultore, sorreggono lo sguardo del fotografo per restituirci la visione di una copia esatta del caos “cosmologico” e contaminato che ricopre i muri di qualsiasi città: da Palermo ad Aosta. Porzioni di edifici colti in presa diretta si propongono su grandi jute intelaiate o su carte pergamenate di piccolo formato; Max Bi vuole essere testimone della realtà e, nel farlo, gioca sull’elevazione estetica di scritte comuni, scarne ed essenziali. Tags e slogan: segni lasciati rapidamente e abusivamente sul corpo della città.
Se le singole opere non tradiscono il giudizio su antichi e nuovi writers, la mostra, presa nel suo insieme, genera nello spettatore un dubbio: a chi è rivolta questa “classica” citazione a tutto tondo, la terracotta esposta nella nicchia della galleria… l’anatomicamente perfetto dito medio alzato? e la scultura-assemblaggio che fa il verso alla più nota multinazionale del fast-food? Premesso che la mostra è il risultato di una ricerca che volutamente esula dai tradizionali contesti espositivi legati al mercato, è importante rilevare l’importanza dei fattori ambientali: Brescia e Milano, contesto urbano e arte contemporanea, cultura e assessore alla cultura, moda, tendenza e mercato.
Prima della laurea in giurisprudenza l’artista è già un precoce autodidatta (a 15 anni vince il suo primo concorso d’arte nazionale): all’età di 35 anni, Max Bi si fa interprete del contemporaneo e, a dispetto del coro che quotidianamente dà vita ad un nuovo movimento, elabora concettualmente il suo espressionismo urbano. Se le ascendenze si rivelano numerose (Basquiat, Rotella, Baj…), l’attualità del messaggio è pari a quella, complessa, degli ipertesti sui muri: graffiati, sedimentati, ricomposti e ridisegnati. Al momento, il frutto del neonato espressionismo urbano è, secondo Max Bi, un organismo inerte eppure in perpetua e fluida modificazione.
[Luca Bochicchio]
Galleria Studio 44
Vico Colalanza, 12/r - Genova
Orario: martedì/sabato 16.00/19.00
Ingresso libero