Shirin Neshat
Luciano Fabro
Jocelyne Alloucherie
Giuseppe Sanmartino
Franko B
Janieta Eyre
Andrea Mantegna
Robert Campin
Antonio Corradini
Vanessa Beecroft
Andrea Busto
Il percorso espositivo vuole riprendere, in senso metaforico, l'ordito dei fili di un tessuto, povero o ricco, serico o di lino, antico o moderno che sia. Lo svolgersi del racconto sul velo ha 7 strade da seguire: a cominciare dalla velatura pittorica e dalla memoria e la traccia che sul velo lasciano le cose e in particolar modo il corpo dell'uomo, per arrivare ad una visione contemporanea che illustra l'utilizzo del velo nelle diverse culture mondiali. Opere di Shirin Neshat, Luciano Fabro, Franko B, Janieta Eyre... A cura di Andrea Busto.
Collettiva
a cura di Andrea Busto
Quante diverse interpretazioni può
avere un oggetto di uso comune?
Qual è la prospettiva giusta e corretta
per considerare una tematica così
attuale come quella dell’uso del velo?
Qual è la storia di questo oggetto?
E qual è, a seconda delle diverse
latitudini e longitudini, il suo uso
sociale, politico e antropologico?
È assolutamente evidente che il velo
di una sposa italiana non ha nulla
a che vedere con l’uso del sari
in India, come un velario teatrale
è dissimile da ciò che noi definiamo
‘un velo di polvere’ depositato
su un oggetto qualsiasi.
Il velo in se è un manufatto ambiguo
e sfuggente, la sua stessa
composizione materiale può essere
realizzata in infinite possibilità di
trame e orditi. La sua storia è la storia
dell’uomo, legata all’evoluzione della
nostra specie e al suo trasformarsi.
Dalla nascita alla morte la vita di ogni
essere è vincolata a esso per pochi
istanti o per molti momenti: questa
mostra si ispira alla trama del tessuto
e all’intrecciarsi dei suoi fili.
Il percorso espositivo vuole riprendere,
in senso metaforico, l’ordito dei fili
di un tessuto, povero o ricco, serico
o di lino, antico o moderno che sia.
Lo svolgersi del racconto sul velo avrà
sette strade da seguire: la prima sulla
velatura pittorica; la seconda sulla
memoria e sulla traccia che sul velo
lasciano le cose e in particolar modo
il corpo dell’uomo; la terza il velo
come simbolo della sposa, della
verginità ma anche del lutto; la quarta
come simbolo della sensualità e del
sottile confine tra Eros e Thanatos;
la quinta strada esaminerà il concetto
del velo come separazione, come
soglia o porta verso mondi ultraterreni
e metafisici e come limite tra la vita
e la morte; la sesta contrapporà
orientalismo a occidentalismi
e infine la settima strada proporrà
una visione contemporanea di come
viene utilizzato oggi il velo nelle
diverse culture mondiali per inviare
messaggi vecchi e nuovi.
Velature
In questa sezione del percorso espositivo
si vuole estendere il concetto di “velo” - e quello
di “velatura” in pittura - a un momento
“rivelatore” del trascorrere del tempo da parte
dell’artista inteso come creatore.
Tecnicamente il termine “velatura” indica i
differenti momenti usati dal pittore per dipingere
un quadro con leggerissimi strati di pittura a olio
che, sovrapponendosi l’uno sull’altro, non fanno
percepire all’occhio i diversi passaggi tonali e
chiaroscurali della superfice pittorica dell’opera
e generano effetti, diremmo oggi, “fotografici”.
Ogni velatura corrisponde a differenti momenti
di lavoro, ma anche di pause per consentire
l’asciugatura dello strato dipinto.
Un lento susseguirsi di sovrapposizioni di colore,
di tempi di asciugatura e nuovi strati di colore,
corrispondono in forma simbolica alla creazione
di quel microcosmo che è un’opera d’arte
e che in modo paradigmatico funge da
“finestra” per tutta una serie di mondi paralleli
e interiori dell’artista.
Memoria e traccia
L’uomo lascia delle tracce, fossili, antiche e
moderne. Le forme lasciate dai corpi nella
polvere lavica di Pompei durante l’eruzione del
Vesuvio nel 79 d. C. non sono altro che il
condensarsi del velo di lapilli minuscoli e
infinitesimali che si depositarono sulla pelle dei
corpi rannicchiati e rattrappiti dai gas esalati dal
vulcano. La vita, evaporata e sublimata dai secoli
ebbe per limite proprio quel velo di polvere
sottilissimo e spessissimo insieme, che, per
sempre, fissò quel tragico momento.
Altrettanto un lenzuolo, adagiato sul corpo
esanime di un uomo flagellato e ancora
sanguinante, diventa la carta assorbente delle
ferite e della sofferenza. Il Sacro Lino della
Sindone di Torino è il velo/traccia del passaggio
dolente sulla Terra di un uomo, la cui identità,
accettata o non accettata che sia, risulta
comunque una testimonianza terribile.
Il velo copre corpi nudi, esanimi e abbandonati:
da Mantegna a Giuseppe Sanmartino, fino a
Luciano Fabro, hanno reinterpretato il panneggio
mortuario confermandone il ruolo di “svelatore”
dell’identità nascosta. Yves Klein fa riaffiorare
dal blu intenso delle sue tele bruciate dal fuoco
della fiamma ossidrica le silouettes di corpi
muliebri e Christian Boltanski imprime con
proiezioni i volti degli ebrei morti nei campi di
concentramento tedeschi e polacchi. Janieta Eyre
avvolge il proprio corpo in un sudario macchiato
e abbandonato su un tavolo, quasi fosse pronto
per la sezione di una lezione di anatomia.
Purezza e candore
Il velo bianco di una sposa o di una suora,
quello di una bimba nel giorno della sua prima
comunione o quello nero di una donna sono
espressioni di simbologie evidenti e differenti.
Così lo sono il chador, il burqa o il niqab che
diventano simboli di appartenenza a una casta,
a una religione, a una regione geografica
o a una fede.
Il volto incorniciato di bianco della donna dipinta
da Robert Campin nella prima metà del
Quattrocento non è dissimile da quello
della donna nell’opera di Steven Gontarski,
eppure oltre seicento anni separano questi
due ritratti.
Soglie
Il velo come soglia tra mondi separati ma
contigui è esemplarmente espresso dallo
straordinario ritratto di Filippo Archinto dipinto
da Tiziano nel 1559 quando l’effigiato era ormai
defunto. La separazione del mondo terreno da
quello ultraterreno è magistralmente resa dal
velo che recide in due parti verticali la tela
dipinta. Il volto nascosto dall’arricciarsi della
cortina bianca cela lo sguardo del prelato, il
corpo si sta disfacendo in pennellate appena
abbozzate, le mani scivolano scolorandosi nella
cotta bianca presagendo un dissolvimento ormai
irrefrenabile. Una sola pupilla si può ancora
intravedere, nera e lucente, quasi lo specchio di
un’anima viva e vitale nonostante l’accellerarsi
del rigor mortis ormai in atto.
Il velo, come sipario tra vita e morte,
è anche ripreso in una magistrale opera di
Gonzalez-Torres realizzata pochi anni prima
di morire. L’artista malato di AIDS, separa gli
astanti della galleria in cui espone quest’opera
come se fossero figure di un mondo ultraterreno
in cui la loro percezione si confonde
attraverso le perline della tenda che paiono
infinte gocce di sangue.
Eros e Thanatos
Il velo come strumento di seduzione, di
affascinamento e di malia erotica. Il corpo è
l’oggetto nascosto della seduzione femminile,
coperto dalle trame trasparenti di teli dagli orditi
larghi e fini. Da Salomé, con la sua mitica danza,
alla ballerina Loïe Fuller, che vorticava
sui palcoscenici parigini del can-can all’interno
di un velo immenso e leggerissimo, da Isadora
Duncan, seminuda tra le colonne del Partenone,
fino a Mike Kelley, che proietta su veli mobili la
silhouette di una pin-up nuda e in controluce,
il velo è stato strumento e complice della danza,
dell’erotismo e della seduzione.
Orientalismi / Occidentalismi
I documenti visivi e storici del passato che
riguardano l’oriente sono per la maggior parte
stati redatti da occhi occidentali. Così se il
Settecento guardava soprattutto alla Cina e al
Giappone - ma esistono propaggini di interesse
verso questi due paesi fino agli Impressionisti -,
la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento
colonialista, guardano all’Africa e al
Medio-Oriente con rinato interesse.
L’immagine che ci viene consegnata è legata
alla quotidianità e allo svolgersi delle faccende
domestiche, un semplice ritrovo fra donne o la
banale scelta di un tappeto diventano il pretesto
per il racconto, molto aneddotico, del pittore
affascinato dai mondi lontani.
Eppure quel velo continua a stimolare artisti della
nostra contemporaneità in cui il corpo
femminile, come un manichino celato da spesse
cortine nere, improvvisamente si anima per
brandire una spada o un fucile o calzare una
“feticissima” scarpa dal tacco altissimo.
Il velo globale
Il velo inteso, o frainteso, come divisa, uniforme
o tenuta quotidiana, spesso è stato utilizzato per
sottolineare l’appartenenza a uno stato civile
o religioso. Esso riesce, come l’abito, a delineare
uno stato di relazione fra diverse persone
gerarchizzando il loro stato sociale e
sottolineando il fattore di gruppo.
Partendo da un’eccezionale collezione belga
di abiti e gioielli del nord Africa, del medio ed
estremo oriente, l’ultima parte della mostra
vuole riportare l’attenzione sul semplice uso
civile di questa veste.
Il Filatoio
via Matteotti 44 - Caraglio (CN)