Il Filatoio
Caraglio (CN)
via Matteotti, 40
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WEB
Il velo
dal 27/10/2007 al 23/2/2008
martedi'-sabato: 14,30-19; dom 10-19

Segnalato da

Giuseppe Galimi




 
calendario eventi  :: 




27/10/2007

Il velo

Il Filatoio, Caraglio (CN)

Il percorso espositivo vuole riprendere, in senso metaforico, l'ordito dei fili di un tessuto, povero o ricco, serico o di lino, antico o moderno che sia. Lo svolgersi del racconto sul velo ha 7 strade da seguire: a cominciare dalla velatura pittorica e dalla memoria e la traccia che sul velo lasciano le cose e in particolar modo il corpo dell'uomo, per arrivare ad una visione contemporanea che illustra l'utilizzo del velo nelle diverse culture mondiali. Opere di Shirin Neshat, Luciano Fabro, Franko B, Janieta Eyre... A cura di Andrea Busto.


comunicato stampa

Collettiva

a cura di Andrea Busto

Quante diverse interpretazioni può avere un oggetto di uso comune? Qual è la prospettiva giusta e corretta per considerare una tematica così attuale come quella dell’uso del velo? Qual è la storia di questo oggetto? E qual è, a seconda delle diverse latitudini e longitudini, il suo uso sociale, politico e antropologico? È assolutamente evidente che il velo di una sposa italiana non ha nulla a che vedere con l’uso del sari in India, come un velario teatrale è dissimile da ciò che noi definiamo ‘un velo di polvere’ depositato su un oggetto qualsiasi. Il velo in se è un manufatto ambiguo e sfuggente, la sua stessa composizione materiale può essere realizzata in infinite possibilità di trame e orditi. La sua storia è la storia dell’uomo, legata all’evoluzione della nostra specie e al suo trasformarsi. Dalla nascita alla morte la vita di ogni essere è vincolata a esso per pochi istanti o per molti momenti: questa mostra si ispira alla trama del tessuto e all’intrecciarsi dei suoi fili. Il percorso espositivo vuole riprendere, in senso metaforico, l’ordito dei fili di un tessuto, povero o ricco, serico o di lino, antico o moderno che sia. Lo svolgersi del racconto sul velo avrà sette strade da seguire: la prima sulla velatura pittorica; la seconda sulla memoria e sulla traccia che sul velo lasciano le cose e in particolar modo il corpo dell’uomo; la terza il velo come simbolo della sposa, della verginità ma anche del lutto; la quarta come simbolo della sensualità e del sottile confine tra Eros e Thanatos; la quinta strada esaminerà il concetto del velo come separazione, come soglia o porta verso mondi ultraterreni e metafisici e come limite tra la vita e la morte; la sesta contrapporà orientalismo a occidentalismi e infine la settima strada proporrà una visione contemporanea di come viene utilizzato oggi il velo nelle diverse culture mondiali per inviare messaggi vecchi e nuovi.

Velature

In questa sezione del percorso espositivo si vuole estendere il concetto di “velo” - e quello di “velatura” in pittura - a un momento “rivelatore” del trascorrere del tempo da parte dell’artista inteso come creatore. Tecnicamente il termine “velatura” indica i differenti momenti usati dal pittore per dipingere un quadro con leggerissimi strati di pittura a olio che, sovrapponendosi l’uno sull’altro, non fanno percepire all’occhio i diversi passaggi tonali e chiaroscurali della superfice pittorica dell’opera e generano effetti, diremmo oggi, “fotografici”. Ogni velatura corrisponde a differenti momenti di lavoro, ma anche di pause per consentire l’asciugatura dello strato dipinto. Un lento susseguirsi di sovrapposizioni di colore, di tempi di asciugatura e nuovi strati di colore, corrispondono in forma simbolica alla creazione di quel microcosmo che è un’opera d’arte e che in modo paradigmatico funge da “finestra” per tutta una serie di mondi paralleli e interiori dell’artista.

Memoria e traccia

L’uomo lascia delle tracce, fossili, antiche e moderne. Le forme lasciate dai corpi nella polvere lavica di Pompei durante l’eruzione del Vesuvio nel 79 d. C. non sono altro che il condensarsi del velo di lapilli minuscoli e infinitesimali che si depositarono sulla pelle dei corpi rannicchiati e rattrappiti dai gas esalati dal vulcano. La vita, evaporata e sublimata dai secoli ebbe per limite proprio quel velo di polvere sottilissimo e spessissimo insieme, che, per sempre, fissò quel tragico momento. Altrettanto un lenzuolo, adagiato sul corpo esanime di un uomo flagellato e ancora sanguinante, diventa la carta assorbente delle ferite e della sofferenza. Il Sacro Lino della Sindone di Torino è il velo/traccia del passaggio dolente sulla Terra di un uomo, la cui identità, accettata o non accettata che sia, risulta comunque una testimonianza terribile. Il velo copre corpi nudi, esanimi e abbandonati: da Mantegna a Giuseppe Sanmartino, fino a Luciano Fabro, hanno reinterpretato il panneggio mortuario confermandone il ruolo di “svelatore” dell’identità nascosta. Yves Klein fa riaffiorare dal blu intenso delle sue tele bruciate dal fuoco della fiamma ossidrica le silouettes di corpi muliebri e Christian Boltanski imprime con proiezioni i volti degli ebrei morti nei campi di concentramento tedeschi e polacchi. Janieta Eyre avvolge il proprio corpo in un sudario macchiato e abbandonato su un tavolo, quasi fosse pronto per la sezione di una lezione di anatomia.

Purezza e candore

Il velo bianco di una sposa o di una suora, quello di una bimba nel giorno della sua prima comunione o quello nero di una donna sono espressioni di simbologie evidenti e differenti. Così lo sono il chador, il burqa o il niqab che diventano simboli di appartenenza a una casta, a una religione, a una regione geografica o a una fede. Il volto incorniciato di bianco della donna dipinta da Robert Campin nella prima metà del Quattrocento non è dissimile da quello della donna nell’opera di Steven Gontarski, eppure oltre seicento anni separano questi due ritratti.

Soglie

Il velo come soglia tra mondi separati ma contigui è esemplarmente espresso dallo straordinario ritratto di Filippo Archinto dipinto da Tiziano nel 1559 quando l’effigiato era ormai defunto. La separazione del mondo terreno da quello ultraterreno è magistralmente resa dal velo che recide in due parti verticali la tela dipinta. Il volto nascosto dall’arricciarsi della cortina bianca cela lo sguardo del prelato, il corpo si sta disfacendo in pennellate appena abbozzate, le mani scivolano scolorandosi nella cotta bianca presagendo un dissolvimento ormai irrefrenabile. Una sola pupilla si può ancora intravedere, nera e lucente, quasi lo specchio di un’anima viva e vitale nonostante l’accellerarsi del rigor mortis ormai in atto. Il velo, come sipario tra vita e morte, è anche ripreso in una magistrale opera di Gonzalez-Torres realizzata pochi anni prima di morire. L’artista malato di AIDS, separa gli astanti della galleria in cui espone quest’opera come se fossero figure di un mondo ultraterreno in cui la loro percezione si confonde attraverso le perline della tenda che paiono infinte gocce di sangue.

Eros e Thanatos

Il velo come strumento di seduzione, di affascinamento e di malia erotica. Il corpo è l’oggetto nascosto della seduzione femminile, coperto dalle trame trasparenti di teli dagli orditi larghi e fini. Da Salomé, con la sua mitica danza, alla ballerina Loïe Fuller, che vorticava sui palcoscenici parigini del can-can all’interno di un velo immenso e leggerissimo, da Isadora Duncan, seminuda tra le colonne del Partenone, fino a Mike Kelley, che proietta su veli mobili la silhouette di una pin-up nuda e in controluce, il velo è stato strumento e complice della danza, dell’erotismo e della seduzione.

Orientalismi / Occidentalismi

I documenti visivi e storici del passato che riguardano l’oriente sono per la maggior parte stati redatti da occhi occidentali. Così se il Settecento guardava soprattutto alla Cina e al Giappone - ma esistono propaggini di interesse verso questi due paesi fino agli Impressionisti -, la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento colonialista, guardano all’Africa e al Medio-Oriente con rinato interesse. L’immagine che ci viene consegnata è legata alla quotidianità e allo svolgersi delle faccende domestiche, un semplice ritrovo fra donne o la banale scelta di un tappeto diventano il pretesto per il racconto, molto aneddotico, del pittore affascinato dai mondi lontani. Eppure quel velo continua a stimolare artisti della nostra contemporaneità in cui il corpo femminile, come un manichino celato da spesse cortine nere, improvvisamente si anima per brandire una spada o un fucile o calzare una “feticissima” scarpa dal tacco altissimo.

Il velo globale

Il velo inteso, o frainteso, come divisa, uniforme o tenuta quotidiana, spesso è stato utilizzato per sottolineare l’appartenenza a uno stato civile o religioso. Esso riesce, come l’abito, a delineare uno stato di relazione fra diverse persone gerarchizzando il loro stato sociale e sottolineando il fattore di gruppo. Partendo da un’eccezionale collezione belga di abiti e gioielli del nord Africa, del medio ed estremo oriente, l’ultima parte della mostra vuole riportare l’attenzione sul semplice uso civile di questa veste.

Il Filatoio
via Matteotti 44 - Caraglio (CN)

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