Stadtische Galerie im Lenbachhaus und Kunstbau
Munich
Luisenstrasse 33
+49 08923332020
WEB
Leggerezza
dal 9/11/2001 al 13/1/2002
089 23332000 FAX 089 23332003/04
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Segnalato da

Base/Italy



 
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9/11/2001

Leggerezza

Stadtische Galerie im Lenbachhaus und Kunstbau, Munich

Cosi' Calvino ha intitolato la prima delle sue Lezioni americane. In mostra 10 giovani artisti italiani che usano materiali "leggeri": gomma invece che bronzo, gesso invece che marmo, carta al posto della pietra, luce ed aria invece che materia e microchip al posto dell'architettura. Caratteristica comune alle opere scelte e' l'intervento artistico ridotto al minimo, il gesto semplice che misura la differenza tra il niente ed il quasi niente, tra arte e non-arte, e la sottile ironia.


comunicato stampa

Ein Blick auf reitgenossische Kunst in Italien - Una idea dell'arte italiana contemporanea

Luca Pancrazzi, Gianni Caravaggio, Anna Muskardin, Loris Cecchini, Paolo Parisi, Mario Airò, Massimo Bartolini, Eva Marisaldi, Diego Perrone, Luca Vitone

"L'arte... ti prende o ti stordisce con la sua intensità e con la leggerezza strappata alla gravità, alla paura ed all'impotenza." (Hannes Bohringer)

Voler evidenziare la leggerezza di un'opera anziché il peso della sua importanza, può a prima vista sorprendere. Italo Calvino ha intitolato la prima delle sue Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, "Leggerezza". II discorso poetico che Calvino sviluppa sulla leggerezza è di grande suggestione.

La Leggerezza è l'idea di partenza della nostra mostra. I giovani artisti italiani, le cui opere esprimono tutte una loro propria intensità, dichiarano esplicitamente la loro intenzione a voler lavorare più leggero di così. Da qui l'uso di materiali "leggeri": gomma invece che bronzo, gesso invece che marmo, carta al posto della pietra, luce ed aria invece che materia e microchip al posto dell'architettura. Caratteristica comune alle opere scelte è l'intervento artistico ridotto al minimo, il gesto semplice che misura la differenza tra il niente ed il quasi niente, tra arte e non-arte, e la sottile ironia. Ma è possibile tematizzare una leggerezza dell'arte italiana senza allo stesso tempo riproporre nuovamente un'italianità o senza riattivare i vecchi luoghi comuni ad essa collegati (accentuazione del bello, del decorativo, del classico e così via)?

Punto di partenza della mostra è un'installazione dì Luca Vitone il cui tema centrale è proprio la ricerca di quei meccanismi che portano alla costituzione di costrutti d'identità. II titolo dell'installazione, Stundaiu, non e traducibile, si tratta di una parola artificiale creata dal dialetto genovese in cui si mescolano tutte quelle caratteristiche, diverse e tra loro contraddittorie, che vengono attribuite al tipico genovese. II modello della sua città natale Vitone lo crea mettendo insieme ricordi soggettivi ed esperienze obbiettive, che propone al pubblico della mostra sotto forma di un'architettura percorribile di tipo scenico che però, allo stesso tempo, permette di fare un'esperienza "autentica" usando tatto e olfatto (i sassolini della strada genovese e l'odore del mare). I nostri sensi ci seducono, ma allo stesso tempo - con una strizzatina d'occhio - ci viene rivelato come il tutto non sia altro che un luogo comune.

Con la stessa fine ironia Diego Perrone riesce, con un tocco al computer, a far sorridere 100 re. Liberati dal peso della storia e riuniti in un sorriso uniforme essi ci si avvicinano, con una quasi insostenibile penetranza. Il sorriso è diventato un linguaggio universale, che però in fondo non rivela nulla.

Nell'opera di Eva Marisaldi sono gli abbracci tra persone o tra animali, i cui contorni semplificati al massimo sono fissati in Skin su tavolette di gesso, a diventare segni di un linguaggio universale. L'attimo fuggente immobilizzato nella persistenza, I'individuale obiettivato in un'esperienza collettiva. I corpi, derubati del loro peso, appaiono bianco su bianco come delicati disegni in rilievo. All'interno dello spettacolo offerto dal mondo I'artista cerca la tenuità. Cosi ha cominciato a disegnare, per una serie di fotografie, con il più immateriale e fuggevole dei mezzi artistici, con la luce, e a modularla in modo tale da creare parziali infittimenti dello spazio dove I'indeterminatezza suggerisce il movimento.

Massimo Bartolini, che con le sue performances, le sue installazioni spaziali e le sue messe in scena della luce lavora relazionandosi sempre allo spazio che le ospita, nel suo lavoro per la Lenbachhaus tematizza - come anche Mario Airò con il suo progetto Sabbia su sabbia - la materializzazione dell'immateriale e il nuovo smaterializzarsi della materia per mezzo della luce. Con la sua Porta gialla, una porta che emana luce gialla nella sala Franz Marc dipinta di giallo, Bartolini crea nuove relazioni, chiudendo ed aprendo allo stesso tempo. Anche la materialità delle sculture concave e convesse dì Anna Muskardin viene superata mediante I'uso della luce, per quest'opera I'artista ricorre anche ad elementi del folclore italiano come le luminarie per una festa di piazza.

Paolo Parisi, che tra gli artisti qui presentati è l'unico a dedicarsi principalmente alla pittura, crea immagini monocrome in cui una stesura uniforme di colore acrilico copre le tracce di colore ad olio precedentemente steso con le dita. II disegno (uno schizzo geografico) si trova sospinto ai limiti del quadro o se ne intravede una traccia nei rivoli di colore. II quadro viene a trovarsi così privato della sua "pienezza" ed allo stesso tempo del peso della sua propria storia.

L'opera su pavimento di Loris Cecchini mostra un enorme mucchio di sporco in cui sono riconoscibili diversi oggetti. Cecchini vi ha collocato in miniatura il canone completo di tutte le opere da lui create fin ora, come Rodin nella sua Porta dell'infemo. L'uso continuato di gomma grigia come materiale per le sue opere plastiche rimanda ad una tradizione storica: all'arte povera, ad i fogli di plastica sciolti di Alberto Burri, ma soprattutto alle soft sculptures di Claes Oldenburg ed alle esperienze dello sciogliersi ivi assimilate.

Mentre Cecchini ricopre completamente il pavimento con il suo getto di gomma attraverso cui il visitatore deve riuscire a farsi strada, Gianni Caravaggio occupa lo spazio con un gesto minimo. Si tratta di tre sculture in carta formate da fogli di carta stratificati che riprendono la struttura di base del pavimento di pietra continuandone il movimento nel giro della pila. Trasformare un pensiero astratto in un'esperienza sensoriale - questa e l'intenzione dell'artista. Caravaggio riprende inoltre un tema centrale nell'arte italiana, quello dell'immorsatura tra spazio fisico e spazio concettuale, tematica che ha avuto sempre un ruolo centrale a cominciare dal concetto spaziale di Fontana e, piu tardi, dall'arte povera in spazio, in cui fu anche tematizzato il "buco della psiche". Le sculture di Caravaggio si dilatano in volume nello spazio, ma all'interno esse appaiono svuotate, i punti di intersezione danno vita a dei cerchi concentrici che sembrano dilatare lo spazio all'infinito.

Anche Luca Pancrazzi gioca con il tema dello spazio interno - concettuale - e di quello esterno - fisico. Le sue sculture fanno riferimento alla dimensione del corpo umano, più o meno all'altezza degli occhi c'è uno spiraglio attraverso cui si vede la silhouette di una città in miniatura. La città è costruita con un materiale che non ha quasi peso proprio e che normalmente all'esterno non si vede, ma, nascosto nell'interno, permette il funzionamento di complessi procedimenti guidati da computer. Pancrazzi spinge il gioco dell'inganno ancora più in là, infatti alcuni microchip guidano telecamere video che rimandano all'osservatore l'immagine del suo stesso occhio, oppure lo riprendono per poi proiettarlo sulla parete in un altro posto.

Gli artisti esposti non hanno solo in comune i temi della creazione di spazialità mentali, della riflessione sulla percezione, il tema della liberazione dal peso della storia, la ricerca della tenuità ed il tema del tempo, a legarli tra loro è anche una certa sensibilità per il semplice, per il gesto non ostentato. Degni di nota sono i due ritratti-video completamente privi di enfasi di Perrone, I'uno ritrae una coppia di oche che, per puro caso, davanti alla telecamera si mette in formazione ornamentale, nell'altro, dal titolo La periferia va in battaglia, si vedono due vecchi seduti su una panchina che guardano davanti a sé e delle tartarughe che passeggiano nel campo visivo della telecamera. La tartaruga, grazie ad i suoi affascinanti attributi quali la corazza, l'aspetto arcaico, la longevità e non ultimo la sua lentezza, potrebbe anche essere interpretata come simbolo del desiderio di allontanarsi da un mondo rumoroso e nevrotico.

La mostra è accompagnata da un catalogo in tedesco e italiano di 112 pagine con foto a colori e testi di Giovanni Iovane e Marion Ackermann, nonché una premessa di Helmut Friedel e commenti di Pirkko Rathgeber.

Lenbachhaus Kunstbau / Luisenstrasse 33, 80333 Munchen / Telefon 089 23332000 / Fax 089 23332003/04

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