Luca Pancrazzi
Gianni Caravaggio
Anna Muskardin
Loris Cecchini
Paolo Parisi
Mario Airò
Massimo Bartolini
Eva Marisaldi
Diego Perrone
Luca Vitone
Cosi' Calvino ha intitolato la prima delle sue Lezioni americane. In mostra 10 giovani artisti italiani che usano materiali "leggeri": gomma invece che bronzo, gesso invece che marmo, carta al posto della pietra, luce ed aria invece che materia e microchip al posto dell'architettura. Caratteristica comune alle opere scelte e' l'intervento artistico ridotto al minimo, il gesto semplice che misura la differenza tra il niente ed il quasi niente, tra arte e non-arte, e la sottile ironia.
Ein Blick auf reitgenossische Kunst in Italien - Una idea dell'arte italiana contemporanea
Luca Pancrazzi, Gianni Caravaggio, Anna Muskardin, Loris Cecchini,
Paolo Parisi, Mario Airò, Massimo Bartolini, Eva Marisaldi, Diego
Perrone, Luca Vitone
"L'arte... ti prende o ti stordisce con la sua intensità e con
la leggerezza strappata alla gravità , alla paura ed all'impotenza."
(Hannes Bohringer)
Voler evidenziare la leggerezza di un'opera anziché il peso
della sua importanza, può a prima vista sorprendere. Italo Calvino ha
intitolato la prima delle sue Lezioni americane. Sei proposte per il
prossimo millennio, "Leggerezza". II discorso poetico che Calvino
sviluppa sulla leggerezza è di grande suggestione.
La Leggerezza è l'idea di partenza della nostra mostra. I
giovani artisti italiani, le cui opere esprimono tutte una loro propria
intensità , dichiarano esplicitamente la loro intenzione a voler
lavorare più leggero di così. Da qui l'uso di materiali "leggeri":
gomma invece che bronzo, gesso invece che marmo, carta al posto della
pietra, luce ed aria invece che materia e microchip al posto
dell'architettura. Caratteristica comune alle opere scelte è
l'intervento artistico ridotto al minimo, il gesto semplice che misura
la differenza tra il niente ed il quasi niente, tra arte e non-arte, e
la sottile ironia. Ma è possibile tematizzare una leggerezza dell'arte
italiana senza allo stesso tempo riproporre nuovamente un'italianità o
senza riattivare i vecchi luoghi comuni ad essa collegati (accentuazione
del bello, del decorativo, del classico e così via)?
Punto di partenza della mostra è un'installazione dì Luca
Vitone il cui tema centrale è proprio la ricerca di quei meccanismi
che portano alla costituzione di costrutti d'identità . II titolo
dell'installazione, Stundaiu, non e traducibile, si tratta di una parola
artificiale creata dal dialetto genovese in cui si mescolano tutte
quelle caratteristiche, diverse e tra loro contraddittorie, che vengono
attribuite al tipico genovese. II modello della sua città natale
Vitone lo crea mettendo insieme ricordi soggettivi ed esperienze
obbiettive, che propone al pubblico della mostra sotto forma di
un'architettura percorribile di tipo scenico che però, allo stesso
tempo, permette di fare un'esperienza "autentica" usando tatto e olfatto
(i sassolini della strada genovese e l'odore del mare). I nostri sensi
ci seducono, ma allo stesso tempo - con una strizzatina d'occhio - ci
viene rivelato come il tutto non sia altro che un luogo comune.
Con la stessa fine ironia Diego Perrone riesce, con un tocco al
computer, a far sorridere 100 re. Liberati dal peso della storia e
riuniti in un sorriso uniforme essi ci si avvicinano, con una quasi
insostenibile penetranza. Il sorriso è diventato un linguaggio
universale, che però in fondo non rivela nulla.
Nell'opera di Eva Marisaldi sono gli abbracci tra persone o tra
animali, i cui contorni semplificati al massimo sono fissati in Skin su
tavolette di gesso, a diventare segni di un linguaggio universale.
L'attimo fuggente immobilizzato nella persistenza, I'individuale
obiettivato in un'esperienza collettiva. I corpi, derubati del loro
peso, appaiono bianco su bianco come delicati disegni in rilievo.
All'interno dello spettacolo offerto dal mondo I'artista cerca la
tenuità . Cosi ha cominciato a disegnare, per una serie di fotografie,
con il più immateriale e fuggevole dei mezzi artistici, con la luce, e
a modularla in modo tale da creare parziali infittimenti dello spazio
dove I'indeterminatezza suggerisce il movimento.
Massimo Bartolini, che con le sue performances, le sue
installazioni spaziali e le sue messe in scena della luce lavora
relazionandosi sempre allo spazio che le ospita, nel suo lavoro per la
Lenbachhaus tematizza - come anche Mario Airò con il suo progetto
Sabbia su sabbia - la materializzazione dell'immateriale e il nuovo
smaterializzarsi della materia per mezzo della luce. Con la sua Porta
gialla, una porta che emana luce gialla nella sala Franz Marc dipinta di
giallo, Bartolini crea nuove relazioni, chiudendo ed aprendo allo stesso
tempo. Anche la materialità delle sculture concave e convesse dì
Anna Muskardin viene superata mediante I'uso della luce, per quest'opera
I'artista ricorre anche ad elementi del folclore italiano come le
luminarie per una festa di piazza.
Paolo Parisi, che tra gli artisti qui presentati è l'unico a
dedicarsi principalmente alla pittura, crea immagini monocrome in cui
una stesura uniforme di colore acrilico copre le tracce di colore ad
olio precedentemente steso con le dita. II disegno (uno schizzo
geografico) si trova sospinto ai limiti del quadro o se ne intravede una
traccia nei rivoli di colore. II quadro viene a trovarsi così privato
della sua "pienezza" ed allo stesso tempo del peso della sua propria
storia.
L'opera su pavimento di Loris Cecchini mostra un enorme mucchio di
sporco in cui sono riconoscibili diversi oggetti. Cecchini vi ha
collocato in miniatura il canone completo di tutte le opere da lui
create fin ora, come Rodin nella sua Porta dell'infemo. L'uso continuato
di gomma grigia come materiale per le sue opere plastiche rimanda ad una
tradizione storica: all'arte povera, ad i fogli di plastica sciolti di
Alberto Burri, ma soprattutto alle soft sculptures di Claes Oldenburg ed
alle esperienze dello sciogliersi ivi assimilate.
Mentre Cecchini ricopre completamente il pavimento con il suo
getto di gomma attraverso cui il visitatore deve riuscire a farsi
strada, Gianni Caravaggio occupa lo spazio con un gesto minimo. Si
tratta di tre sculture in carta formate da fogli di carta stratificati
che riprendono la struttura di base del pavimento di pietra
continuandone il movimento nel giro della pila. Trasformare un pensiero
astratto in un'esperienza sensoriale - questa e l'intenzione
dell'artista. Caravaggio riprende inoltre un tema centrale nell'arte
italiana, quello dell'immorsatura tra spazio fisico e spazio
concettuale, tematica che ha avuto sempre un ruolo centrale a cominciare
dal concetto spaziale di Fontana e, piu tardi, dall'arte povera in
spazio, in cui fu anche tematizzato il "buco della psiche". Le sculture
di Caravaggio si dilatano in volume nello spazio, ma all'interno esse
appaiono svuotate, i punti di intersezione danno vita a dei cerchi
concentrici che sembrano dilatare lo spazio all'infinito.
Anche Luca Pancrazzi gioca con il tema dello spazio interno -
concettuale - e di quello esterno - fisico. Le sue sculture fanno
riferimento alla dimensione del corpo umano, più o meno all'altezza
degli occhi c'è uno spiraglio attraverso cui si vede la silhouette di
una città in miniatura. La città è costruita con un materiale che
non ha quasi peso proprio e che normalmente all'esterno non si vede, ma,
nascosto nell'interno, permette il funzionamento di complessi
procedimenti guidati da computer. Pancrazzi spinge il gioco dell'inganno
ancora più in là , infatti alcuni microchip guidano telecamere video
che rimandano all'osservatore l'immagine del suo stesso occhio, oppure
lo riprendono per poi proiettarlo sulla parete in un altro posto.
Gli artisti esposti non hanno solo in comune i temi della
creazione di spazialità mentali, della riflessione sulla percezione,
il tema della liberazione dal peso della storia, la ricerca della
tenuità ed il tema del tempo, a legarli tra loro è anche una certa
sensibilità per il semplice, per il gesto non ostentato. Degni di nota
sono i due ritratti-video completamente privi di enfasi di Perrone,
I'uno ritrae una coppia di oche che, per puro caso, davanti alla
telecamera si mette in formazione ornamentale, nell'altro, dal titolo La
periferia va in battaglia, si vedono due vecchi seduti su una panchina
che guardano davanti a sé e delle tartarughe che passeggiano nel campo
visivo della telecamera. La tartaruga, grazie ad i suoi affascinanti
attributi quali la corazza, l'aspetto arcaico, la longevità e non
ultimo la sua lentezza, potrebbe anche essere interpretata come simbolo
del desiderio di allontanarsi da un mondo rumoroso e nevrotico.
La mostra è accompagnata da un catalogo in tedesco e italiano di
112 pagine con foto a colori e testi di Giovanni Iovane e Marion
Ackermann, nonché una premessa di Helmut Friedel e commenti di Pirkko
Rathgeber.
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