Facolta' di Architettura - Palazzo Gravina
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Antonio Dentale
dal 14/1/2008 al 29/1/2008
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14/1/2008

Antonio Dentale

Facolta' di Architettura - Palazzo Gravina, Napoli

Forme, segni e volumi immaginari. Nella sua creazione l'eterna opposizione fra vuoto e pieno, spirituale e materico, poetico e triviale, necessario e superfluo, astratto e concreto, che si manifesta, in modo inequivocabile, nelle relazioni grafiche e concettuali, che lui costantemente istituisce, fra alto e basso, sopra e sotto, cielo e terra. (Luigi Caramiello)


comunicato stampa

RICOSTRUIRE L'ARTE

La prospettiva estetica di Antonio Dentale
di Luigi Caramiello

"L'architetto disegna il profilo del cielo". E' una definizione che mi e' sempre piaciuta, perche' evoca un'immagine subitaneamente percepibile, una "visione" immediata, una dimensione manifesta, "materiale", una metafora brutalmente concreta. Eppure, indagandone tutta la gamma possibile di significati, leggendola in rapporto ai suoi ineluttabili esiti concettuali, essa rivela un grado di complessita' e, per questa via, pure di ambiguita' , assai elevato, ancorche' estremamente interessante. In sostanza, il problema fondamentale riguarda la posizione nella quale ci collochiamo quando osserviamo le cose, insomma, e' una questione di "punti di vista", ovvero, un problema di "scala" o semplicemente di prospettiva. Il lavoro dell'architetto - la sua "costruzione", il suo manufatto - visto, per esempio, da una qualche angolatura del cielo, evidentemente, "disegna il profilo del mondo". Quale sublime paradosso, una postazione mondana e' capace di proiettarci in una sfera cosmica, sacra persino, se si vuole, mentre una collocazione eterea ci costringe a una visione irrimediabilmente terricola, in questo senso certamente profana, come l'immagine del nostro pianeta, il punto di vista celeste, ormai appannaggio del satellite (Cfr. Caramiello, 1987, p.57). Con ogni probabilita' e' solo uno dei modi di manifestarsi di quella dialettica interno-esterno che Kandinsky (1968) pose a fondamento del carattere di duplicita' e ambivalenza posseduto da ogni fenomeno artistico e piu' generalmente umano.

Antonio Dentale, pittore-architetto, o viceversa, fate voi, e' perfettamente consapevole di questa vera e propria tragedia della percezione e del pensiero, di questa coesistenza impossibile (e purtuttavia in atto), fra vuoto e pieno, spirituale e materico, poetico e triviale, necessario e superfluo, astratto e concreto. Nella sua creazione pittorica, questa opposizione, che e' anche un legame indissolubile, si manifesta, in modo inequivocabile, nelle relazioni grafiche e concettuali, che lui costantemente istituisce, fra alto e basso, sopra e sotto, cielo e terra, appunto. E questa apparente dicotomia si ripropone in chiave "immaginaria", teorica e persino ideologica, nella sua maniera, sapiente, di comporre le varie dimensioni segniche messe in campo, con la realta' plastica cui esse di volta in volta rimandano. Forse non e' improprio cogliere una "memoria" costruttivista nell'opera di Antonio Dentale, ma essa e' solo blandamente connessa al vago significato teoretico dell'espressione, per coniugarsi invece in modo assai piu' consapevole e stringente alla sua piu' autentica tradizione in campo culturale, espressivo, artistico (Vallier, 1984). Insomma a quella vera e propria fucina di concezioni estetiche che, dal manifesto, paradossalmente "realista", di Pevsner e Gabo, redatto nella Mosca "rivoluzionaria" del 1919, arriva fino al Bauhaus. Purtroppo, come e' noto, la celebre scuola di architettura, fu chiusa dai nazisti e i suoi esponenti perseguitati; dal suo canto l'astrattismo, ancora prima, era stato considerato, nella Russia sovietica, alla stregua di un'estetica "degenerata" e messo al bando. Questo non impedi' al filone culturale, vittima, forse non del tutto incolpevole, dei totalitarismi, di lasciare vistose tracce nel percorso delle avanguardie storiche (cfr.Abruzzese, 1976, pp. 129-136) e di fecondare movimenti e tendenze espressive occidentali di importanza fondamentale per l'arte contemporanea (Cfr. De Micheli, 1985).

Il debito di Dentale con questo indirizzo tematico e' evidente, ma nella sua interessante traiettoria creativa si intravede una originale interpretazione, dei principali dilemmi e delle caratteristiche antinomie che hanno attraversato la "scuola", sin dalle sue origini. A partire dalle polemiche, durissime, che videro Tatlin e Rodcenko, sostenitori ortodossi di un'arte al servizio del popolo e del partito, contro Malevic e Kandinsky, decisamente orientati "in difesa dell'arte pura", come si intitolava il manifesto cui aderirono nel 1920. Tale riferimento ha ragioni tutt'altro che accademiche, nell'opera di Dentale il rapporto fra la concretezza geometrica delle forme, il "realismo" persino triviale, quotidiano, degli oggetti, e la loro capacita' di combinarsi in modo sofisticato, di farsi sistema segnico "complesso", in grado di produrre astrazioni, oppure di fabbricare figure, e persino di tras/figurarsi, e' una modalita' ricorrente, una costante semplicemente essenziale.

La materia prima della sua attivita' di costruzione formale, i moduli del suo edificio espressivo, sono tutti perfettamente riconoscibili, sia quando si tratta di figure elementari, piane e solide, della tradizione euclidea, sia quando rinviano esplicitamente a dispositivi industriali, organi meccanici: perni, flange, feritoie, rulli, slitte, boccole, pistoni, bielle. Molte volte ne risultano suggestive creazioni, ma sarebbe meglio dire "creature", dai tratti singolarmente antropomorfici. Si tratta spesso di volti, creati attraverso una sapiente commistione di volumetrie astratte e macchine concrete, forme geometriche e congegni tecnologici. Dentale agisce alla maniera di un nuovo Arcimboldo, di matrice costruttivista stavolta, impiegando reperti provenienti dal mondo della tecnica, frutti della "seconda natura" dell'uomo, quello dell'eta' industriale e non solo; cosi' come il suo illustre predecessore utilizzava variegati organismi del mondo vegetale, assemblava esemplari di "natura morta", per "dar vita", paradossalmente, a forme di soggettivita' umanizzate, e forse persino singolarmente evocatrici di una qualche "caricatura" (Cfr.Brusatin, 2002, p.37) di quanto era, e sarebbe stato ancora, tipicamente inteso come spiritualita' (Simmel, 2001, p.33).

Insomma, superbo demiurgo, ebbro di mitologie del progresso, Antonio Dentale, alla maniera di Frankestein, si cimenta di nuovo con l'obbiettivo di "superare" l'uomo, di inventarne uno diverso, un uomo nuovo, come avevano vagheggiato Nietzsche e in fondo lo stesso Marx? Niente di tutto questo, oggi il lavorio concettuale dell'artista possiede soprattutto la saggezza dell'ironia, che gli consente di controllare, con grande sapienza ed equilibrio, il percorso della sua creativita' . Di agire, insomma, con una passionalita' , che resta profonda e intensa, ma facendo anche uso di un'emotivita' sorniona, che non cela i suoi tratti amari, pero' sa anche fabbricare, come in una sorta di videogioco, un peculiare universo ludico (Cfr. Pecchinenda, 2003) dotato delle sue regole e farlo vivere, giocandovi con entusiasmo e convinzione.

Dentale non nasconde, di aver sognato anch'egli l'utopia. Perche' dovrebbe? I suoi lavori degli anni '70, a meta' strada fra grafica e pittura, sono li a testimoniarlo. Penso ai suoi "10 poeti e poi Marx", i cui nomi venivano disegnati, certo non alla maniera hip-hop del "writing" contemporaneo, ma deformati e scomposti, segmentati e ricostruiti, con una tendenza al rigore ed alla simmetria, una tensione alla sistematicita' e all'ordine, suggestive e persino inquietanti. Bene, erano tutti, questi lirici, in qualche modo, cantori "antisistema", avanguardie di esteti, irrazionali e romantici, dal comportamento spesso sregolato, eccessivo, estremo, (Cfr.Caramiello, 2003a, p.132-133), idealisti e/o rivoluzionari, li accomunava l'essere maledetti, "contro"; se si scorre l'elenco di questi artisti, forse e' solo in questo senso che possono essere collegati al fallace oracolo di Treviri.

Insomma, nella temperie sessantottina il costruttivismo di Dentale si piega per certi aspetti all'alchimia, la sua figurativita' tende a iniettare linfa nuova nel reale, il suo segno, la sua costruzione grafica si propongono quasi come un "altro" sistema circolatorio del mondo, irrorato di un sangue che non ha mai smesso di scorrere, per una ragione o per l'altra. Fiero rivoluzionario, eppure Dentale non rinuncia a rivelare il suo verbo a ignavi e indegni, non sfugge alla tentazione di mettere in mostra la sua mercanzia estetica in un tempio popolato dai peggiori mercanti. Oggi diremmo, piu' semplicemente, a proporre le sue creazioni sul mercato dell'arte.

Nei primi anni '70 il centro Ellisse, creato da quel vero gentiluomo della cultura napoletana che e' Salvatore Pica, espone le opere di Antonio Dentale. Un forbito documento estetico-politico argomenta le ragioni di questa svolta "commerciale", giustificando tale "cedimento", con la necessita' sociale e individuale di vendere l'arte, consapevole pero' di congiungersi, per questa via, alla logica del consumismo "capitalistico". Oggi, appare quasi una escusatio "rituale", un obbligo pressoche' di natura retorica, come dire, parole "di gergo", che "andavano" pronunciate; Dentale, in realta' , aveva capito bene, gia' allora, come stavano realmente le cose. In quelle stesse pagine, quasi en passant, l'artista prende le distanze dall'oscurantismo "regressivo" e "pericoloso" di Pasolini, e da qualunque sogno, intimamente reazionario dico io, di "paradisi perduti", che non sono mai esistiti, da nessuna parte. Dentale era scaltro, non si era lasciato fregare neppure dalla deriva Heideggeriana, che cominciava ad andare assai di moda in quegli anni. Intellettuale sensibile e avveduto, non lo avrebbe mai (allora) detto in modo esplicito, ma aveva gia' compreso, ai tempi, che il massimo grado di liberta' possibile, per l'uomo, per l'artista, possiamo sperimentarlo solo nell'orizzonte dell'evoluzione scientifica, dello sviluppo, della tecnica, della conoscenza, del progresso. Insomma, della "societa' aperta" (Popper, 1945).

Il manifesto che realizza in quegli anni per il centro Ellisse e' veramente molto bello e interessante. Vi si rappresenta una terra, obliqua come sono le pendici delle nostre colline, a scacchi, campagna "razionalmente" coltivata, che degrada su un mare, ondoso, colorato, come una sinusoide arcobaleno. E fra la terra e il mare, le case degli uomini, il mondo costruito, l'architettura: gli edifici, le abitazioni, la citta' . Su tutto il cielo, presente, quasi sempre, come in certi quadri di Magritte. Un cielo limpido, sereno, rischiarato da un sole dell'avvenire che piu' luminoso di cosi' non lo si potrebbe dipingere. Eppure, quell'astro brillante, che con i suoi raggi rende possibile la vita sul pianeta, quel sole meraviglioso, e' offuscato da due sole nubi, due nuvole identiche, intrecciate, impreviste. Una nera ed una rossa. Sono come i corvi che svolazzano sul campo di grano di Van Gogh, ad annunciare la tragedia. Era gia' accaduto. E sarebbe accaduto ancora. Antonio Dentale lo aveva intuito, forse vagamente, ma con largo anticipo. Quell'immagine ci consegnava, accanto ad un alto grado di consapevolezza, anche forse, il suo canto del cigno, come artista. Rinunciava a giocare la partita del "superfluo", volendo usare un suo concetto, per dedicarsi a un'attivita' piu' necessaria, utile, in un senso piu' immediato.

Per piu' di trent'anni Dentale ha fatto "semplicemente" l'architetto. Ha progettato spazi abitativi, disegnato appartamenti, messo in pratica quella che io chiamo la "scienza dello spazio artificiale". Del resto, come diceva Palladio, la citta' e' una grande casa, e la casa e' una piccola citta' . Ecco, Dentale si e' occupato di questo. E lo ha fatto con impegno, dedizione, qualita' . Ha realizzato edifici, oggetti di arredo, mobili, e cento altre cose, ha vissuto, come lui racconta, fra gli operai, ha guidato, in un certo senso, episodi e momenti di "creativita' proletaria", o ha provato a interpretarli, insomma, ha praticato l'ideale costruttivista, sul piano esistenziale, nel concreto; stando, per anni, in mezzo ai muratori, apprendisti e maestri. Gli fa solo onore. Pensate a cosa ha rappresentato, nella stampa, la scomparsa del rapporto fra giornalista e tipografo, immaginate quale "frontiera" sociale fra attivita' tecnica e lavoro intellettuale si e' dissolta con l'avvento delle nuove tecnologie (Caramiello, 2003b). Nel "cantiere" non e' ancora accaduto, non completamente, almeno. E questo, nel bene come nel male. Come sempre.

Ma e' possibile che, per cosi' tanto tempo, Dentale si sia allontanato dalla sua natura di artista? No, non lo e'. Egli ha solo sentito il bisogno di percepire, piu' a fondo, piu' intensamente, quell'arte che puo' scaturire dal vissuto, individuale, produttivo, sociale, quell'espressivita' che puo' manifestarsi, spontaneamente, nelle cose della vita, ed ha imparato lucidamente a coglierla. Ed oggi ci offre, ma vorrei dire ci restituisce, una intelligente traduzione, sul terreno estetico, di quella lunga "esperienza". Nella odierna pittura di Dentale, uno fra gli esempi piu' interessanti di quello che io ho cominciato a chiamare "neovitalismo", si rivela esattamente una delle possibili e piu' suggestive traiettorie del rapporto fra artisticita' ed esistenza quotidiana. Si manifesta, cioe', sul terreno, contemporaneamente, "individuale" e "collettivo", un significato alto dell'arte, che lungi dall'assecondare un qualunque delirio ideologico, di qualsivoglia natura, persegue un ideale di qualita' , che coincide con l'impegno universale in direzione di una intensa "formativita' " umana (Pareyson, 1988; Eco, 1978) rivolta a innalzare la qualita' della vita, sul terreno materiale e intellettuale, pratico e dell'immaginario. Il che e' tutt'uno con la possibilita' di fornire alla gente una quantita' alta e diversificata di beni, conoscenze, opportunita' , che agiscano positivamente sul terreno dell'evoluzione culturale e del benessere, ovvero nel senso della loro generale e contestuale elevazione.

La peculiare identita' di artista, la natura di creativo che esprime oggi Antonio Dentale, si collocano esattamente in questo crocevia. E le "forme" che provengono dal suo vissuto di professionista, di architetto, gli oggetti che egli recupera da una "memoria" sedimentatasi "sul campo", non si mostrano solo nella composizione di "ritratti" rigorosamente geometrici, non sono solo la materia prima di volti meccanici; volumetrie e strumentazioni risultano fortemente implicate anche nella "reinvenzione" dell'habitat, naturale o tecnico. Certo, le piramidi tronche che compongono le sue catene di monti, nel loro apparente ordine grafico, seriale, di possenti megaliti, sono, in buona sostanza, tutt'altro che perfette, certamente propongono una falsa prospettiva, funzionano piu' da allestimento, come "espositori" di piastrelle, quelle si perfettamente simmetriche, che da montagne. Si', parlavo proprio di mattonelle, sempre semplici e aggraziate, quando sono disegnate a scacchi, quando richiamano una qualche sorta di "bugnato", quando perseguono linee spezzate o semplici giochi visivi, a meta' strada fra l'armonia grafica di Steiner (1989) e un design che presagisce l'optical, alla maniera di un Munari (1968).

Va da se' che le stesse piramidi, sempre tagliate al vertice possono fungere da suggestivo significante della memoria industriale, forse evocatore di un'epopea della fabbrica che vide nell'altoforno il suo monumento fondamentale. Un vulcano tecnologico del passato, un tremendo ordigno, sulla cui icona puo' stagliarsi ormai solo qualche "ombra" addomesticata, come una caffettiera di Dalisi. Ormai resta solo il ricordo di una caldera "artificiale", che e' stata per oltre un secolo sotto controllo, ma era pericolosa e "cattiva", anche se non quanto puo' esserlo il vulcano "naturale" che si staglia minaccioso dall'altra parte del golfo. E il "grido" pseudofuturista della creatura che annuncia la tragedia, il risveglio del Vesuvio, nella sua realta' di tardivo allarme, evoca una verita' terrificante, come lo fu il presagio dell'orrore tecnologico dell'urlo di Munch. E poi, segmenti progettuali di segno razionalista, salite e discese, scale, strati, tecnologici e geologici, paesaggi e architetture, in un certo senso "impossibili", alla maniera di Escher.

Infine, c'e' da richiamare una continuita' simbolica che segna pressoche' tutto il lavoro attuale di Dentale. Praticamente in ogni quadro dell'artista, piccola o grande, si presenta da qualche parte una piramide. Si staglia persino sulla costa, sulle stesse onde del mare; riesce, chissa' come, a galleggiare sull'acqua e compare persino, in negativo, nelle profondita' sottomarine, dove appaiono cavita' della medesima forma. Ma la potenza del segno, nel lavoro di Dentale e' superata solo dalla forza dei suoi cromatismi: i colori fondamentali, le tinte sfumate, i contrasti netti, il chiaroscuro, le contrapposizioni misurate, l'equilibrio del tono su tono. Non vi e' nulla di "selvaggio" nella sua ricerca. Pastello, tempera, altro, quale che sia la tecnica, l'insieme iconico, anche quando prende una notevole "velocita' ", persegue sempre un ideale autentico di armonia, come in un algoritmo matematico ben congegnato .

Si badi non si tratta di una pacificazione forzata, ne tantomeno dell'imposizione di un ordine astratto. Dentale e' pienamente consapevole della natura irriducibilmente duale e ambivalente delle cose, nella vita e nell'arte (Bonito Oliva, 1987, p.33). Egli sa bene che micro e macro, natura e tecnica, luce ed ombra, agonismo e solidarieta' , conflitto e cooperazione, differenza e ripetizione, non sempre rappresentano fattori di una contraddizione da sciogliere, termini di un problema da risolvere, lembi sanguinanti di una ferita da sanare; essi, molto spesso, costituiscono elementi "regolari" di uno scenario che, proprio grazie a loro, e' in grado di generare una dinamica, e' terreno fertile per la creazione di energie propulsive, ambito in cui si attiva una produzione creativa. In altre parole, sono dimensioni identicamente necessarie per giocare la partita dell'esistenza, per mandare avanti l'avventura della vita.

Forse per questo, nella attuale produzione di Dentale, non vi e' neppure un quadro in cui non siano rappresentati, nobilmente, il Sole e la Luna, dipinti in modo manifesto o inseriti nel quadro "segretamente", proposti in maniera estremamente visibile, palesati del tutto, oppure occultati nella complessa geometria degli oggetti. Neppure la loro posizione, nella scala cromatica, come nella gerarchia della luce, risponde, sempre e necessariamente, a criteri ovvi o tradizionali. Si tratta di un sole e di una luna, assai particolari, meccanismi evocatori di un universo diurno e di una dimensione notturna, mondi fisici e immaginari, cosi' come vuole intenderli l'artista stesso. E' uno dei modi coi quali il pittore forse ci ricorda che, nell'arte, come nella vita non vi e' quasi nulla di scontato, e che nel dominio della creativita' , come in altre fondamentali sfere dell'esistenza, il bene piu' prezioso, il valore da difendere, prima di ogni altra cosa, e' quello della liberta' .

Riferimenti bibliografici
Abruzzese A., Arte e pubblico nell'eta' del capitalismo, Marsilio, Venezia, 1976.
Bonito Oliva A., Antipatia. L'arte contemporanea. Feltrinelli, Milano, 1987.
Brusatin M., Storia delle immagini, Einaudi, Torino, 2002.
Caramiello L., Il medium nucleare, Edizioni Lavoro, Roma, 1987.
Caramiello L., a) La droga della modernita' , UTET, Torino, 2003.
Caramiello L., b) "La nuova identita' del giornalista", in, Novus Campus, n. 1, 2003.
De Micheli M., Le avanguardie artistiche del novecento, Feltrinelli, Milano, 1985.
Eco U., La definizione dell'arte, Garzanti, Milano, 1978.
Kandinsky W., Punto Linea Superficie, Adelphi, Milano, 1968.
Munari B., Design e comunicazione visiva, Laterza, Bari, 1985.
Pareyson L., Estetica. Teoria della formativita' , Bompiani, Milano, 1988.
Pecchinenda G., Videogiochi e cultura della simulazione, Laterza, Bari, 2003.
Popper K.R., La societa' aperta e i suoi nemici, Armando, 1996.
Simmel G., Rembrandt. Un saggio di filosofia dell'arte, Abscondita, Milano, 2001.
Steiner A., Il mestiere di grafico, Einaudi, 1989.
Vallier D., L'arte astratta, Garzanti, Milano, 1984.

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