Forme, segni e volumi immaginari. Nella sua creazione l'eterna opposizione fra vuoto e pieno, spirituale e materico, poetico e triviale, necessario e superfluo, astratto e concreto, che si manifesta, in modo inequivocabile, nelle relazioni grafiche e concettuali, che lui costantemente istituisce, fra alto e basso, sopra e sotto, cielo e terra. (Luigi Caramiello)
RICOSTRUIRE L'ARTE
La prospettiva estetica di Antonio Dentale
di Luigi Caramiello
"L'architetto disegna il profilo del cielo". E' una definizione che mi e'
sempre piaciuta, perche' evoca un'immagine subitaneamente percepibile, una
"visione" immediata, una dimensione manifesta, "materiale", una metafora
brutalmente concreta. Eppure, indagandone tutta la gamma possibile di significati,
leggendola in rapporto ai suoi ineluttabili esiti concettuali, essa rivela un grado
di complessita' e, per questa via, pure di ambiguita' , assai elevato, ancorche'
estremamente interessante. In sostanza, il problema fondamentale riguarda la
posizione nella quale ci collochiamo quando osserviamo le cose, insomma, e' una
questione di "punti di vista", ovvero, un problema di "scala" o
semplicemente di prospettiva. Il lavoro dell'architetto - la sua
"costruzione", il suo manufatto - visto, per esempio, da una qualche angolatura
del cielo, evidentemente, "disegna il profilo del mondo". Quale sublime
paradosso, una postazione mondana e' capace di proiettarci in una sfera cosmica,
sacra persino, se si vuole, mentre una collocazione eterea ci costringe a una
visione irrimediabilmente terricola, in questo senso certamente profana, come
l'immagine del nostro pianeta, il punto di vista celeste, ormai appannaggio del
satellite (Cfr. Caramiello, 1987, p.57). Con ogni probabilita' e' solo uno dei modi
di manifestarsi di quella dialettica interno-esterno che Kandinsky (1968) pose a
fondamento del carattere di duplicita' e ambivalenza posseduto da ogni fenomeno
artistico e piu' generalmente umano.
Antonio Dentale, pittore-architetto, o viceversa, fate voi, e' perfettamente
consapevole di questa vera e propria tragedia della percezione e del pensiero, di
questa coesistenza impossibile (e purtuttavia in atto), fra vuoto e pieno,
spirituale e materico, poetico e triviale, necessario e superfluo, astratto e
concreto. Nella sua creazione pittorica, questa opposizione, che e' anche un legame
indissolubile, si manifesta, in modo inequivocabile, nelle relazioni grafiche e
concettuali, che lui costantemente istituisce, fra alto e basso, sopra e sotto,
cielo e terra, appunto. E questa apparente dicotomia si ripropone in chiave
"immaginaria", teorica e persino ideologica, nella sua maniera, sapiente, di
comporre le varie dimensioni segniche messe in campo, con la realta' plastica cui
esse di volta in volta rimandano.
Forse non e' improprio cogliere una "memoria" costruttivista nell'opera di
Antonio Dentale, ma essa e' solo blandamente connessa al vago significato teoretico
dell'espressione, per coniugarsi invece in modo assai piu' consapevole e
stringente alla sua piu' autentica tradizione in campo culturale, espressivo,
artistico (Vallier, 1984). Insomma a quella vera e propria fucina di concezioni
estetiche che, dal manifesto, paradossalmente "realista", di Pevsner e Gabo,
redatto nella Mosca "rivoluzionaria" del 1919, arriva fino al Bauhaus.
Purtroppo, come e' noto, la celebre scuola di architettura, fu chiusa dai nazisti e
i suoi esponenti perseguitati; dal suo canto l'astrattismo, ancora prima, era
stato considerato, nella Russia sovietica, alla stregua di un'estetica
"degenerata" e messo al bando. Questo non impedi' al filone culturale, vittima,
forse non del tutto incolpevole, dei totalitarismi, di lasciare vistose tracce nel
percorso delle avanguardie storiche (cfr.Abruzzese, 1976, pp. 129-136) e di
fecondare movimenti e tendenze espressive occidentali di importanza fondamentale per
l'arte contemporanea (Cfr. De Micheli, 1985).
Il debito di Dentale con questo indirizzo tematico e' evidente, ma nella sua
interessante traiettoria creativa si intravede una originale interpretazione, dei
principali dilemmi e delle caratteristiche antinomie che hanno attraversato la
"scuola", sin dalle sue origini. A partire dalle polemiche, durissime, che
videro Tatlin e Rodcenko, sostenitori ortodossi di un'arte al servizio del popolo
e del partito, contro Malevic e Kandinsky, decisamente orientati "in difesa
dell'arte pura", come si intitolava il manifesto cui aderirono nel 1920. Tale
riferimento ha ragioni tutt'altro che accademiche, nell'opera di Dentale il
rapporto fra la concretezza geometrica delle forme, il "realismo" persino
triviale, quotidiano, degli oggetti, e la loro capacita' di combinarsi in modo
sofisticato, di farsi sistema segnico "complesso", in grado di produrre
astrazioni, oppure di fabbricare figure, e persino di tras/figurarsi, e' una
modalita' ricorrente, una costante semplicemente essenziale.
La materia prima della sua attivita' di costruzione formale, i moduli del suo
edificio espressivo, sono tutti perfettamente riconoscibili, sia quando si tratta
di figure elementari, piane e solide, della tradizione euclidea, sia quando rinviano
esplicitamente a dispositivi industriali, organi meccanici: perni, flange, feritoie,
rulli, slitte, boccole, pistoni, bielle. Molte volte ne risultano suggestive
creazioni, ma sarebbe meglio dire "creature", dai tratti singolarmente
antropomorfici. Si tratta spesso di volti, creati attraverso una sapiente
commistione di volumetrie astratte e macchine concrete, forme geometriche e congegni
tecnologici. Dentale agisce alla maniera di un nuovo Arcimboldo, di matrice
costruttivista stavolta, impiegando reperti provenienti dal mondo della tecnica,
frutti della "seconda natura" dell'uomo, quello dell'eta' industriale e non
solo; cosi' come il suo illustre predecessore utilizzava variegati organismi del
mondo vegetale, assemblava esemplari di "natura morta", per "dar vita",
paradossalmente, a forme di soggettivita' umanizzate, e forse persino singolarmente
evocatrici di una qualche "caricatura" (Cfr.Brusatin, 2002, p.37) di quanto era,
e sarebbe stato ancora, tipicamente inteso come spiritualita' (Simmel, 2001, p.33).
Insomma, superbo demiurgo, ebbro di mitologie del progresso, Antonio Dentale, alla
maniera di Frankestein, si cimenta di nuovo con l'obbiettivo di "superare"
l'uomo, di inventarne uno diverso, un uomo nuovo, come avevano vagheggiato
Nietzsche e in fondo lo stesso Marx? Niente di tutto questo, oggi il lavorio
concettuale dell'artista possiede soprattutto la saggezza dell'ironia, che gli
consente di controllare, con grande sapienza ed equilibrio, il percorso della sua
creativita' . Di agire, insomma, con una passionalita' , che resta profonda e intensa,
ma facendo anche uso di un'emotivita' sorniona, che non cela i suoi tratti amari,
pero' sa anche fabbricare, come in una sorta di videogioco, un peculiare universo
ludico (Cfr. Pecchinenda, 2003) dotato delle sue regole e farlo vivere, giocandovi
con entusiasmo e convinzione.
Dentale non nasconde, di aver sognato anch'egli l'utopia. Perche' dovrebbe? I
suoi lavori degli anni '70, a meta' strada fra grafica e pittura, sono li a
testimoniarlo. Penso ai suoi "10 poeti e poi Marx", i cui nomi venivano
disegnati, certo non alla maniera hip-hop del "writing" contemporaneo, ma
deformati e scomposti, segmentati e ricostruiti, con una tendenza al rigore ed alla
simmetria, una tensione alla sistematicita' e all'ordine, suggestive e persino
inquietanti. Bene, erano tutti, questi lirici, in qualche modo, cantori
"antisistema", avanguardie di esteti, irrazionali e romantici, dal comportamento
spesso sregolato, eccessivo, estremo, (Cfr.Caramiello, 2003a, p.132-133), idealisti
e/o rivoluzionari, li accomunava l'essere maledetti, "contro"; se si scorre
l'elenco di questi artisti, forse e' solo in questo senso che possono essere
collegati al fallace oracolo di Treviri.
Insomma, nella temperie sessantottina il costruttivismo di Dentale si piega per
certi aspetti all'alchimia, la sua figurativita' tende a iniettare linfa nuova nel
reale, il suo segno, la sua costruzione grafica si propongono quasi come un
"altro" sistema circolatorio del mondo, irrorato di un sangue che non ha mai
smesso di scorrere, per una ragione o per l'altra. Fiero rivoluzionario, eppure
Dentale non rinuncia a rivelare il suo verbo a ignavi e indegni, non sfugge alla
tentazione di mettere in mostra la sua mercanzia estetica in un tempio popolato dai
peggiori mercanti. Oggi diremmo, piu' semplicemente, a proporre le sue creazioni sul
mercato dell'arte.
Nei primi anni '70 il centro Ellisse, creato da quel vero gentiluomo della
cultura napoletana che e' Salvatore Pica, espone le opere di Antonio Dentale. Un
forbito documento estetico-politico argomenta le ragioni di questa svolta
"commerciale", giustificando tale "cedimento", con la necessita' sociale e
individuale di vendere l'arte, consapevole pero' di congiungersi, per questa via,
alla logica del consumismo "capitalistico". Oggi, appare quasi una escusatio
"rituale", un obbligo pressoche' di natura retorica, come dire, parole "di
gergo", che "andavano" pronunciate; Dentale, in realta' , aveva capito bene,
gia' allora, come stavano realmente le cose. In quelle stesse pagine, quasi en
passant, l'artista prende le distanze dall'oscurantismo "regressivo" e
"pericoloso" di Pasolini, e da qualunque sogno, intimamente reazionario dico io,
di "paradisi perduti", che non sono mai esistiti, da nessuna parte.
Dentale era scaltro, non si era lasciato fregare neppure dalla deriva Heideggeriana,
che cominciava ad andare assai di moda in quegli anni. Intellettuale sensibile e
avveduto, non lo avrebbe mai (allora) detto in modo esplicito, ma aveva gia'
compreso, ai tempi, che il massimo grado di liberta' possibile, per l'uomo, per
l'artista, possiamo sperimentarlo solo nell'orizzonte dell'evoluzione
scientifica, dello sviluppo, della tecnica, della conoscenza, del progresso.
Insomma, della "societa' aperta" (Popper, 1945).
Il manifesto che realizza in quegli anni per il centro Ellisse e' veramente molto
bello e interessante. Vi si rappresenta una terra, obliqua come sono le pendici
delle nostre colline, a scacchi, campagna "razionalmente" coltivata, che degrada
su un mare, ondoso, colorato, come una sinusoide arcobaleno. E fra la terra e il
mare, le case degli uomini, il mondo costruito, l'architettura: gli edifici, le
abitazioni, la citta' . Su tutto il cielo, presente, quasi sempre, come in certi
quadri di Magritte. Un cielo limpido, sereno, rischiarato da un sole dell'avvenire
che piu' luminoso di cosi' non lo si potrebbe dipingere. Eppure, quell'astro
brillante, che con i suoi raggi rende possibile la vita sul pianeta, quel sole
meraviglioso, e' offuscato da due sole nubi, due nuvole identiche, intrecciate,
impreviste. Una nera ed una rossa. Sono come i corvi che svolazzano sul campo di
grano di Van Gogh, ad annunciare la tragedia. Era gia' accaduto. E sarebbe accaduto
ancora. Antonio Dentale lo aveva intuito, forse vagamente, ma con largo anticipo.
Quell'immagine ci consegnava, accanto ad un alto grado di consapevolezza, anche
forse, il suo canto del cigno, come artista. Rinunciava a giocare la partita del
"superfluo", volendo usare un suo concetto, per dedicarsi a un'attivita' piu'
necessaria, utile, in un senso piu' immediato.
Per piu' di trent'anni Dentale ha fatto "semplicemente" l'architetto. Ha
progettato spazi abitativi, disegnato appartamenti, messo in pratica quella che io
chiamo la "scienza dello spazio artificiale". Del resto, come diceva Palladio,
la citta' e' una grande casa, e la casa e' una piccola citta' . Ecco, Dentale si e'
occupato di questo. E lo ha fatto con impegno, dedizione, qualita' . Ha realizzato
edifici, oggetti di arredo, mobili, e cento altre cose, ha vissuto, come lui
racconta, fra gli operai, ha guidato, in un certo senso, episodi e momenti di
"creativita' proletaria", o ha provato a interpretarli, insomma, ha praticato
l'ideale costruttivista, sul piano esistenziale, nel concreto; stando, per anni,
in mezzo ai muratori, apprendisti e maestri. Gli fa solo onore. Pensate a cosa ha
rappresentato, nella stampa, la scomparsa del rapporto fra giornalista e tipografo,
immaginate quale "frontiera" sociale fra attivita' tecnica e lavoro
intellettuale si e' dissolta con l'avvento delle nuove tecnologie (Caramiello,
2003b). Nel "cantiere" non e' ancora accaduto, non completamente, almeno. E
questo, nel bene come nel male. Come sempre.
Ma e' possibile che, per cosi' tanto tempo, Dentale si sia allontanato dalla sua
natura di artista? No, non lo e'. Egli ha solo sentito il bisogno di percepire, piu'
a fondo, piu' intensamente, quell'arte che puo' scaturire dal vissuto,
individuale, produttivo, sociale, quell'espressivita' che puo' manifestarsi,
spontaneamente, nelle cose della vita, ed ha imparato lucidamente a coglierla. Ed
oggi ci offre, ma vorrei dire ci restituisce, una intelligente traduzione, sul
terreno estetico, di quella lunga "esperienza". Nella odierna pittura di
Dentale, uno fra gli esempi piu' interessanti di quello che io ho cominciato a
chiamare "neovitalismo", si rivela esattamente una delle possibili e piu'
suggestive traiettorie del rapporto fra artisticita' ed esistenza quotidiana. Si
manifesta, cioe', sul terreno, contemporaneamente, "individuale" e
"collettivo", un significato alto dell'arte, che lungi dall'assecondare un
qualunque delirio ideologico, di qualsivoglia natura, persegue un ideale di
qualita' , che coincide con l'impegno universale in direzione di una intensa
"formativita' " umana (Pareyson, 1988; Eco, 1978) rivolta a innalzare la qualita'
della vita, sul terreno materiale e intellettuale, pratico e dell'immaginario. Il
che e' tutt'uno con la possibilita' di fornire alla gente una quantita' alta e
diversificata di beni, conoscenze, opportunita' , che agiscano positivamente sul
terreno dell'evoluzione culturale e del benessere, ovvero nel senso della loro
generale e contestuale elevazione.
La peculiare identita' di artista, la natura di creativo che esprime oggi Antonio
Dentale, si collocano esattamente in questo crocevia. E le "forme" che
provengono dal suo vissuto di professionista, di architetto, gli oggetti che egli
recupera da una "memoria" sedimentatasi "sul campo", non si mostrano solo
nella composizione di "ritratti" rigorosamente geometrici, non sono solo la
materia prima di volti meccanici; volumetrie e strumentazioni risultano fortemente
implicate anche nella "reinvenzione" dell'habitat, naturale o tecnico. Certo,
le piramidi tronche che compongono le sue catene di monti, nel loro apparente ordine
grafico, seriale, di possenti megaliti, sono, in buona sostanza, tutt'altro che
perfette, certamente propongono una falsa prospettiva, funzionano piu' da
allestimento, come "espositori" di piastrelle, quelle si perfettamente
simmetriche, che da montagne. Si', parlavo proprio di mattonelle, sempre semplici e
aggraziate, quando sono disegnate a scacchi, quando richiamano una qualche sorta di
"bugnato", quando perseguono linee spezzate o semplici giochi visivi, a meta'
strada fra l'armonia grafica di Steiner (1989) e un design che presagisce
l'optical, alla maniera di un Munari (1968).
Va da se' che le stesse piramidi, sempre tagliate al vertice possono fungere da
suggestivo significante della memoria industriale, forse evocatore di un'epopea
della fabbrica che vide nell'altoforno il suo monumento fondamentale. Un vulcano
tecnologico del passato, un tremendo ordigno, sulla cui icona puo' stagliarsi ormai
solo qualche "ombra" addomesticata, come una caffettiera di Dalisi. Ormai resta
solo il ricordo di una caldera "artificiale", che e' stata per oltre un secolo
sotto controllo, ma era pericolosa e "cattiva", anche se non quanto puo' esserlo
il vulcano "naturale" che si staglia minaccioso dall'altra parte del golfo. E
il "grido" pseudofuturista della creatura che annuncia la tragedia, il risveglio
del Vesuvio, nella sua realta' di tardivo allarme, evoca una verita' terrificante,
come lo fu il presagio dell'orrore tecnologico dell'urlo di Munch. E poi,
segmenti progettuali di segno razionalista, salite e discese, scale, strati,
tecnologici e geologici, paesaggi e architetture, in un certo senso
"impossibili", alla maniera di Escher.
Infine, c'e' da richiamare una continuita' simbolica che segna pressoche' tutto il
lavoro attuale di Dentale. Praticamente in ogni quadro dell'artista, piccola o
grande, si presenta da qualche parte una piramide. Si staglia persino sulla costa,
sulle stesse onde del mare; riesce, chissa' come, a galleggiare sull'acqua e
compare persino, in negativo, nelle profondita' sottomarine, dove appaiono cavita'
della medesima forma. Ma la potenza del segno, nel lavoro di Dentale e' superata
solo dalla forza dei suoi cromatismi: i colori fondamentali, le tinte sfumate, i
contrasti netti, il chiaroscuro, le contrapposizioni misurate, l'equilibrio del
tono su tono. Non vi e' nulla di "selvaggio" nella sua ricerca. Pastello,
tempera, altro, quale che sia la tecnica, l'insieme iconico, anche quando prende
una notevole "velocita' ", persegue sempre un ideale autentico di armonia, come
in un algoritmo matematico ben congegnato .
Si badi non si tratta di una pacificazione forzata, ne tantomeno dell'imposizione
di un ordine astratto. Dentale e' pienamente consapevole della natura
irriducibilmente duale e ambivalente delle cose, nella vita e nell'arte (Bonito
Oliva, 1987, p.33). Egli sa bene che micro e macro, natura e tecnica, luce ed ombra,
agonismo e solidarieta' , conflitto e cooperazione, differenza e ripetizione, non
sempre rappresentano fattori di una contraddizione da sciogliere, termini di un
problema da risolvere, lembi sanguinanti di una ferita da sanare; essi, molto
spesso, costituiscono elementi "regolari" di uno scenario che, proprio grazie a
loro, e' in grado di generare una dinamica, e' terreno fertile per la creazione di
energie propulsive, ambito in cui si attiva una produzione creativa. In altre
parole, sono dimensioni identicamente necessarie per giocare la partita
dell'esistenza, per mandare avanti l'avventura della vita.
Forse per questo, nella attuale produzione di Dentale, non vi e' neppure un quadro
in cui non siano rappresentati, nobilmente, il Sole e la Luna, dipinti in modo
manifesto o inseriti nel quadro "segretamente", proposti in maniera estremamente
visibile, palesati del tutto, oppure occultati nella complessa geometria degli
oggetti. Neppure la loro posizione, nella scala cromatica, come nella gerarchia
della luce, risponde, sempre e necessariamente, a criteri ovvi o tradizionali. Si
tratta di un sole e di una luna, assai particolari, meccanismi evocatori di un
universo diurno e di una dimensione notturna, mondi fisici e immaginari, cosi' come
vuole intenderli l'artista stesso. E' uno dei modi coi quali il pittore forse ci
ricorda che, nell'arte, come nella vita non vi e' quasi nulla di scontato, e che
nel dominio della creativita' , come in altre fondamentali sfere dell'esistenza, il
bene piu' prezioso, il valore da difendere, prima di ogni altra cosa, e' quello
della liberta' .
Riferimenti bibliografici
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Caramiello L., b) "La nuova identita' del giornalista", in, Novus Campus, n. 1,
2003.
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Kandinsky W., Punto Linea Superficie, Adelphi, Milano, 1968.
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Popper K.R., La societa' aperta e i suoi nemici, Armando, 1996.
Simmel G., Rembrandt. Un saggio di filosofia dell'arte, Abscondita, Milano, 2001.
Steiner A., Il mestiere di grafico, Einaudi, 1989.
Vallier D., L'arte astratta, Garzanti, Milano, 1984.
dal 15 gennaio 2008
Biblioteca della Facolta' di Architettura Palazzo Gravina
via Monteoliveto, 3 Napoli
Ingresso libero