Three Birds, Seven Stories, Interpolations and Bifurcations. Tramite una circolarita' di riflessioni su avvenimenti allo stesso tempo reali e immaginari, Starling realizza un progetto il cui tema centrale e' la storia vera di un'impresa ambiziosa; la costruzione di Manik Bagh, residenza razionalista in India commissionata nel 1929 all'architetto Eckart Muthesius dal Maharajah Yeswant Rao Holkar.
Simon Starling (1967, Epsom, Inghilterra), vincitore del Turner Prize 2005 e alla sua terza mostra
personale presso la Galleria Franco Noero, inaugura la nuova sede della galleria nella “Fetta di
Polenta”, con la mostra Three Birds, Seven Stories, Interpolations and Bifurcations.
Tramite una circolarità di riflessioni su avvenimenti allo stesso tempo reali e immaginari, Starling
realizza un progetto il cui tema centrale è la ‘storia’ vera di un’impresa ambiziosa; la costruzione di
Manik Bagh (Giardino di Pietre Preziose), residenza razionalista in India commissionata nel 1929
all’architetto tedesco Eckart Muthesius dal Maharajah di Indore Yeswant Rao Holkar.
Un’opera d’arte totale, un “gesamkunstwerk” in cui l’architettura e gli arredi disegnati da Muthesius
incontravano la tecnologia, il design e l’arte d’avanguardia di Le Corbusier, Eileen Gray, Marcel
Breuer, Lilly Reich e Constantin Brancusi.
L’avventura indiana di Muthesius, durata quasi dieci anni, si intreccia con le tre versioni del film “Il
Sepolcro indiano” sceneggiato nel 1921 da Fritz Lang e Thea Van Harbou. La prima, diretta a Berlino
da Joe May, narra di un monaco indiano Yogi ‘teletrasportato’ nella casa di un architetto europeo al
fine di persuaderlo a lavorare per il Maharajah di Eschnapur; le successive vennero dirette da Richard
Eichenberg durante il nazismo ed infine da Fritz Lang nel 1959 con la consulenza dello stesso
Muthesius.
I ‘Three Birds’ fanno riferimento al rapporto tra Constantin Brancusi e il Maharajah di Indore, iniziato
nel 1926 con l’acquisto della scultura ‘Bird in Space’ in bronzo e proseguito con la commissione di due
varianti dell’opera in marmo nero e bianco, oggi conservate alla National Gallery of Australia di
Canberra. Le tre sculture, destinate ad adornare un tempio mai realizzato per la meditazione nei
giardini di Manik Bagh, sposavano l’intenzione del Maharajah di modernizzare il culto Hindu con i
desideri creativi di Brancusi.
La scoperta a Torino di una coppia di ritratti fotografici del Maharajah e dalla Maharani di Indore in
abiti nuziali è stata uno degli spunti iniziali del progetto.
La pianta quasi triangolare dell’edificio antonelliano che ne accentua la verticalità facendolo sembrare
la proiezione virtuale di una costruzione impossibile più che una struttura di mattoni e cemento, sono
invece il punto di partenza per dare forma e collocazione su diversi piani a tre lastre di marmo, che
attualizzano il concetto di ready-made e rileggono l’idea di scultura tradizionale. La scansione laser e
l’utilizzo di macchinari di avanzata tecnologia permettono la fedele riproduzione delle superfici a
spacco di cava di un blocco di marmo nero del Belgio, lo stesso materiale usato da Brancusi per uno
dei suoi ‘Bird in Space’.
Gli altri due blocchi, ‘replica’ del primo, sono in marmo bianco italiano e in marmo nero indiano, ancora
in omaggio a Brancusi e allo scambio di forme e culture tra Europa e India. Le ‘Seven Stories’
alludono simultaneamente ai diversi intrecci narrativi e ai sette piani della Fetta di Polenta.
Il ‘passaggio’ verticale segnato dalle lastre di marmo all’interno dell’edificio dal basso verso l’alto, sarà
accompagnato da una serie di fotografie e testi – le ‘interpolazioni e biforcazioni’ – che traducono
l’ambizione progettuale di Manik Bagh in quello della Fetta di Polenta, l’immaginazione narrativa di
May, Eichenberg e Lang nella storia reale di Muthesius in India.
Documentano la creazione di un modello in scala reale 1:1 di un piano della Fetta di Polenta; lo stato
attuale di Manik Bagh e quello del Palazzo del Maharaja di Udaipur; l’immagine di un portaombrelli
progettato da Eckart Muthesius, parte dell’arredo di Manik Bagh; le cave di marmo nella regione di
Udaipur in India; il blocco di marmo nero del Belgio e le custodie in metallo impilate dei tre film
tedeschi, custoditi in archivio a Berlino.
Simon Starling mette in atto così un trasferimento di forme e di idee nel tempo e nello spazio, dalla
celluloide al marmo, da un modello virtuale alla riproduzione reale, da un edificio all’altro, da Berlino
all’India, creando un segno verticale che attraversa la casa di Torino dal primo al settimo piano.
Nato a Epsom, Inghilterra, nel 1967, Simon Starling si è diplomato alla Glasgow School of Art. Ha
vinto il Turner Prize nel 2005 ed è stato selezionato per l’Hugo Boss Prize nel 2004. Vive a
Copenhagen ed è professore di Belle Arti alla Staedelschule di Francoforte. Simon Starling ha
partecipato a numerose mostre internazionali tra le quali la Biennale di San Paulo e la Biennale di
Busan nel 2004; tra le più recenti quelle a Villa Arson, Nizza (Francia), al MACRO di Roma, alla
Dundee Contemporary Arts di Dundee e al Museo d’Arte Contemporanea di Sydney.
Inaugurazione 3 aprile 2008
Dalle 10h00 alle 20h00, solo su prenotazione
Galleria Franco Noero (Fetta di Polenta)
via Giulia di Barolo, 16D - Torino
Orari di apertura: giovedì e sabato 14 – 19, solo su prenotazione
Per facilitare l’accesso ai piani dell’edificio, l’ingresso è consentito a gruppi limitati di visitatori di non
oltre 10 persone; per informazioni tel. +39.011.882208, per prenotazioni info@franconoero.com
Ingresso libero