Scivolata nel Cosmo. ''Fotografo e scultore come Brancusi, l'artista e' abile a mettere in scena il proprio immaginario come se fosse il nostro. Capisce anche che l'inconscio e' barocco e che non puo' fare a meno degli eccessi, perche' e' di questi che si nutre.'' (Valerio Deho').
La nostalgia d’infinito che deve aver colto Mattia Ruggeri fin da bambino, trova dal 2004 a oggi una capacità visionaria che riesce a reggere lo stress della fotografia tradizionale, anzi in questo serrato dialogo si esalta. Accade che i due opposti, la scultura e la fotografia, o quelli che appaiono tali, si ritrovano sul piano di una proiezione verso l’illimitato, l’impossibile.
Ruggeri si ritrae nelle sue immagini a occhi chiusi: dorme, sogna o fa finta e basta? Non ci è dato di saperlo con esattezza. Certo è che attorno a lui capitano strane storie. Ciliegi illuminati che sembrano in fiamme, armadi e cassepanche che rivelano un ventre così obeso da contenere l’universo, alberi che sembrano cattedrali e stelle, tante stelle: il repertorio delle meraviglie potrebbe fermarsi qui, ma va avanti. C’è perfino un Ufficio del tempo , per chi ha confidenza con la burocrazia. Ma è chiaro che la nostalgia di cui sopra, si nutre di paradossi e di qualche alchimia. In effetti, sembra di entrare in un manuale di astrologia scritto da un cosmologo timido o in una interpretazione alla Phil Dick del “Libro dei sogni” di Artemidoro.
E’ buio eppure ci si vede. Però fa bene guardare questo inventario di corpi luminosi che non sempre risplendono, fa bene perché ci si sente come Alice attraverso lo specchio: le Pendu qualcosa ci suggerisce, una vita tarocca, un fallo, un’infamia, un errore (sempre giovanile) oppure un cieco destino che si accanisce contro gli innocenti. Il mondo va alla rovescia da queste parti e anche se sappiamo che nel Cosmo le direzioni non contano mica, ci troviamo in qualche modo a fare i conti non solo con dei prodigi, ma anche con delle inversioni di senso che neppure il più ardito dei limerick potrebbe riuscire a mettere in rima. Su, giù, destra e sinistra si sono cancellati, agitiamo un joystick impazzito che non risponde ai nostri comandi.
Mattia Ruggeri, fotografo e scultore come Brancusi, è abile a mettere in scena il proprio immaginario come se fosse il nostro. Capisce anche che l’inconscio è barocco e che non può fare a meno degli eccessi, perché è di questi che si nutre. Oltretutto accompagna le sue foto, tutte realizzate con il banco ottico, con dei testi in cui la sua grafia si aggiunge al chaos cosmologico, il che è tutto dire. Scrive così davvero o fa finta? Anche questa è una domanda senza senso perché oltre lo specchio tutto è possibile, perché nulla ha una spiegazione. Farsi delle domande vuol dire solo aumentare il numero di risposte in attesa di archiviazione. E Ruggeri ha l’aria solenne e compassata di chi ad una domanda risponde con un'altra domanda, ma nello stesso momento rassicura che una risposta se non sarà certa, sarà certamente probabile: di questo bisogna accontentarsi. Ma non c’è Kafka nascosto sotto le sue palpebre chiuse. Forse qualche stravagario scritto da un poeta in vacanza oppure le nuvole che si riflettono in un cielo metallico e stellare. C’è il flusso degli astri e ci sono le maree del tempo, le bugie della bellezza e le lusinghe della ragione. Non è poco.
Mattia Ruggeri quando guarda pensa e quando chiude gli occhi lo fa davvero, per riposarsi dai sogni.
Valerio Dehò
Metropolis Photogallery
Viale Pietramellara 3/A - Bologna
Ingresso libero