Zero... (vecchia sede)
Milano
via Giovanni Ventura, 6
02 36514283 FAX 02 99982731
WEB
Kabul 3000
dal 7/5/2008 al 11/7/2008
mostra visitabile solo su appuntamento

Segnalato da

Zero...




 
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7/5/2008

Kabul 3000

Zero... (vecchia sede), Milano

(Love among the cabbages). Opere di: Hans Schabus, Thomas Houseago, Nathan Mabry, Marco Boggio Sella, Victor Man, Martin Oppel, Giorgio Andreotta Calo', Diego Perrone, Christian Frosi, Michael Sailstorfer, Pietro Roccasalva, Stephen G. Rhodes, Alberto Guidato e Klaus Weber.


comunicato stampa

Hans Schabus
Thomas Houseago
Nathan Mabry
Marco Boggio Sella
Victor Man
Martin Oppel
Giorgio Andreotta Calò
Diego Perrone
Christian Frosi
Michael Sailstorfer
Pietro Roccasalva
Stephen G. Rhodes
Alberto Guidato
Klaus Weber



L'idea di connettere luoghi lontani è nell'economia della ricerca di Hans Schabus (Watschig, Austria, 1970, vive e lavora a Vienna) un punto importante, e la sua idea di scultura reca in sè la possibilità di ampliarne la concezione e la struttura. Per Schabus la scultura è ”organizzazione di materiale nello spazio”, uno spazio che a volte si estende per una certa distanza e di cui si deve fare esperienza con l’aiuto di una gran varietà di mezzi.

Le sculture allegoriche di Thomas Houseago (nato a Leeds nel 1972, vive e lavora a Los Angeles) nascono dall'uso accurato e allo stesso tempo espressionistico di materiali come gesso, cartone, canapa, iuta, acciaio e grafite. Se osservate da una certa angolazione le sue figure possono apparire quasi classiche; uno sguardo da un'altra prospettiva rivela invece la natura volutamente non finita della loro anatomia. (Sarah Lowndess)

I disegni, le fotografie e le sculture di Nathan Mabry (nato a Durango, Colorado, nel 1978, vive e lavora a Los Angeles) contraddicono le motivazioni che intendono separare l'arte dal manufatto. Gli amalgami di Mabry, composti da immagini da lui abilmente alterate, trovano un terreno comune nell’affermazione che tutta l'arte, a prescindere dall'epoca, dalla classe sociale e dalla cultura, svolge sempre le stesse funzioni legate al rito, al feticcio, allo status. (Tommy Freeman, “Artweek”)

L’approccio formale di Marco Boggio Sella (1972, Torino, vive e lavora a New York) nasce da una riflessione sull’impatto visuale e psicologico dell’opera d’arte, e dell’oggetto in particolare, nei confronti della soggettività dello spettatore. Mescolando stili e tecniche, le sue opere si snodano tra scultura, pittura e installazione, forzando i canoni imposti dal modernismo. Grazie ad effetti a sorpresa e ad un tocco di provocazione, le opere di Marco Boggio Sella generano un’atmosfera volontariamente dadaista e una riflessione su generi e clichés, e sulle tematiche dell’appropriazione e della deviazione formale dai canoni codificati della storia dell’arte.

I mezzi artistici che Victor Man (nato nel 1974 a Cluj, Romania, dove vive e lavora) utilizza sono principalmente la pittura, la scultura, la fotografia, la stampa e il disegno su parete. Con questi strumenti egli costruisce installazioni in cui pochi e misteriosi elementi sono orchestrati in composizioni spaziali intime e potenti, in cui il motivo della memoria si intreccia con temi come la storia personale, le narrazioni collettive, i detriti delle ideologie del passato, l’erotismo, il potere, la fragilità dell’esistenza umana, il desiderio, l’enigma ed il sentimento della perdita. Gli oggetti e le immagini che Man orchestra nelle sue installazioni provengono, infatti, da un passato più o meno recente. Sono oggetti trovati e sottratti allo scorrere del tempo, e immagini prelevate da riviste, libri o siti Web e che, decontestualizzate rispetto alla loro origine, assumono significati inediti e originano nuove narrazioni. Quello di Victor Man è un mondo a tratti oscuro, dove la riflessione sul sentimento di appartenenza e sulla natura dell’identità politica e nazionale, si sovrappone a una meditazione più generale sulla condizione umana, sulla malinconia, la violenza dell’esistere e la solitudine.

Le immagini dipinte e costruite di Martin Oppel (nato a Buenos Aires nel 1976, vive e lavora a Miami) esplorano oggetti e luoghi insoliti per esaminare non solo ciò che vediamo ma anche il modo in cui lo vediamo. Mentre i suoi dipinti sono influenzati da informazioni provenienti dal mondo esterno, le sue sculture sono oggetti comuni che vengono modificati. Ceste, coni stradali, bidoni della spazzatura, blocchi di calcestruzzo e sedie di plastica sono per lui più che semplici oggetti comuni: sono la materia prima, di scarso valore, dell'industria e del commercio, concepiti per essere usati, riusati, abusati, scartati e ampiamente ignorati, tranne quando ne avvertiamo l’assenza. Nelle mani di Oppel essi assumono un significato psicologico simbolico che attiene alla distinzione tra natura e cultura, fare e fabbricare, arte e commercio. (Jeff Ryan)

Il lavoro di Giorgio Andreotta Calò (nato nel 1979 a Venezia, dove vive e lavora) è una ricerca legata all’architettura radicale e alla riflessione sul concetto di monumento contemporaneo; l’artista lavora con materiali industriali e produce installazioni e sculture che inducono ad una riflessione di tipo documentaristico e di studio del contesto architettonico e ambientale. I suoi lavori sono contraddistinti, infatti, da una connotazione site-specific, alla cui base sta una precisa intenzione progettuale e teorica.

Il lavoro di Diego Perrone (Asti, 1970, vive e lavora tra Asti, Milano e Berlino) sta in bilico fra dimensione onirica e realtà tangibile, fra ciò che esiste realmente e ciò che esiste solo in quanto possibilità. Le sue opere si caratterizzano per la rilettura di temi della cultura popolare e la reinvenzione di icone tradizionali, l’evocazione di ciò che sta “dietro” il quotidiano, lo sforzo di comprendere e fare propri processi di pensiero che non hanno apparentemente concretezza o rappresentazione.

Christian Frosi, (nato nel 1973 a Milano, dove vive e lavora) per molti versi, assomiglia a un giocatore di scacchi. All’interno di una griglia formale ipercontrollata, composta da forme astratte e laconiche, immette una serie di pezzi, ognuno con il proprio movimento (evolutivo). E’ come se continuasse a ripetere una partita, vagliando possibili spostamenti e strategie alternative, verificando l’esattezza dei propri calcoli combinatori. (…) L’interpretazione, in ottemperanza ad un cronico principio d’indeterminatezza, resta aperta, così come il suo modo di progettare e lavorare. (Barbara Casavecchia)

Michael Sailstorfer (nato nel 1979 in Vilsbiburg, vive e lavora a Berlino) crea installazioni, allestimenti sperimentali e sculture classiche che trattano principalmente dello spazio, uno spazio vissuto, precodificato, ma anche una nozione di spazio come principio in espansione che richiede ampiezza. (…) I resti della società dei consumi, privati del contenuto, sono così modificati in un nuovo stato nel quale acquistano significato e ragion d’essere come elementi dell’opera d’arte. (Julia Höner)

Roccasalva (Modica, 1970, vive e lavora a Milano) indaga i dispositivi che presiedono all’atto pittorico, si concentra sull’analisi e la verifica di quell’insieme ineffabile di componenti che conduce l’artista a costruire una determinata immagine. L’artista opera al di fuori di ogni linearità. Ogni suo progetto è un addensarsi orizzontale di stimoli diversi, sia sul piano mentale che formale. Un percorso espositivo concepito da Roccasalva implica spostamenti multipli: dall’animazione digitale, al tableau vivant, alla scultura, per giungere al dipinto. (Bettina Della Casa)

Le opere di Rodhes (nato a Houston nel 1977, vive e lavora a Los Angeles) cupe, angosciose e ipnoticamente inquietanti, esplorano il subconscio di un mondo caotico e violento: un mondo sul punto di rovesciarsi. (Simon Watson, “Whiteall”)

Alberto Guidato (Ivrea, 1972, vive e lavora a Milano), utilizzando con disinvoltura diversi mezzi espressivi come video, scultura, pittura e installazione, riflette su questioni che, dall’indagine sul corpo alla critica sociale, oscillano tra una dimensione individuale e una collettiva, insinuando anche la possibilità di un’arte che possa senza pudore parlare di spiritualità, persino in modo esplicito.

Gli ingredienti degli scenari di Klaus Weber (nato nel 1967 a Sigmaringen, Germania, vive e lavora a Berlino) rivelano una certa attrazione per il venir meno della capacità di controllo dell'uomo. Le sue installazioni evocano spesso delle storie che rappresentano strappi nei confronti dell'immaginario collettivo. (Sally O'Reilly)

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