Lisa Anne Auerbach
Aleksandra Mir
Pierre Bismuth
Christoph Dettmeier
Haris Epaminonda
Ozlem Gunyol
Mustafa Kunt
Henrik Hakansson
Marko Lulic
Jorg Heiser
La collettiva parla della possibilita' di dar vita ad un conflitto per far emergere la verita' su un rapporto che puo' essere quello tra due amanti, fra i membri di diversi gruppi sociali o tra l'artista e il suo pubblico. Le opere in mostra - con ferocia o umorismo - inscenano un conflitto che potrebbe rompere l'accordo col pubblico, o risolvere i problemi in modo isterico, mentre altri visualizzano e strutturano intuitivamente nello spazio la sfera immaginaria che contiene questo tipo di interazioni. A cura di Jorg Heiser.
a cura di Jörg Heiser
Dopo una serie di importanti mostre personali iniziate nel 2006 con Gregor
Schneider e proseguite con Eric Wesley e Tue Greenfort, questa è la prima
mostra tematica con la partecipazione di più artisti presso la Fondazione
Morra Greco. Nove artisti internazionali che esporranno opere ed
installazioni commissionate per l'occasione, oppure opere appositamente
riadattate per gli spazi della galleria d'arte e dei sotterranei della
fondazione, inaugurata di recente in un vecchio palazzo nel cuore di Napoli.
Il curatore è Jörg Heiser, *co-editor* della rivista londinese *Frieze*, che
autore della recente mostra dal titolo *Romantic Conceptualism* (Kunsthalle
Nuremberg, Fondazione BAWAG, Vienna, e Iberia Art Center, Pechino).
L'inaugurazione della mostra, il 21 maggio, include due performance dal
vivo, una di Marko Lulic (ore 19.30) e l'altra di Christoph Dettmeier (ore
20.30), a cui faranno seguito quelle di Aleksandra Mir e Lisa Anne
Auerbach, il 22 maggio, dalle 12 alle 14, presso la Gipsoteca dell'Accademia
di Belle Arti di Napoli.
Concept della mostra
Il titolo, "*Fare una scenata*"*, *indica solitamente quel momento in cui si
dà ampio sfogo alla propria emotività in pubblico: situazioni di rabbia,
dolore e gelosia che spesso si accompagnano a gesti ed espressioni insulse,
grida, nonché a quella violenza sfogata su cose o persone. In ogni caso,
affinché si possa parlare di scenata, deve necessariamente esserci un
pubblico. Il proverbiale litigio di coppia – spunto di innumerevoli
commedie, racconti e film, ma anche di romanzi e pellicole d'autore – è
sempre condotto a tutto volume e non mancano i bicchieri scagliati contro la
parete o i vestiti lanciati dalla finestra, mentre viene più o meno
consapevolmente inscenato contando proprio sul fatto che i vicini vi
assisteranno. Certo, agli occhi dei turisti, "fare una scenata" fa parte
dello stereotipo di Napoli, un luogo comune coltivato non solo da tutti
coloro che producono e consumano cultura popolare (basti pensare alle scene
di vecchi successi hollywoodiani come *"**La baia di Napoli*"* *(1960), con
Sophia Loren e Clark Gable), ma anche dagli stessi napoletani.
Il tentativo della mostra è di prendere lo stereotipo sul serio ed
esplorarne i vari livelli di significato per capire il rapporto fra il
processo artistico, come l'oggetto o l'immagine, e il suo esito nello
spazio, e ovviamente alla reazione del pubblico. Non c'è forse una sorta di
"accordo non scritto" fra l'artista e il suo pubblico per quanto riguarda
ciò che l'artista è tenuto a "consegnare", sia esso intrattenimento,
illuminazione o alienazione? Un buon esempio di ciò che succede qualora
questo "accordo" venisse infranto (uno degli spunti per questa mostra) è un
disastroso show del 1979 del comico americano Andy Kaufman, passato alla
storia. Dopo essersi permesso di invitare i membri della sua famiglia a
salire sul palco e raccontare barzellette o cantare in modo del tutto
dilettantesco, si vede un Kaufman sgomento, sul punto di scoppiare in
lacrime, davanti ai fischi e alle urla del pubblico. Comincia a singhiozzare
e, improvvisamente, è come se avesse ribaltato la situazione, trasformando
lo spettacolo davanti al suo pubblico in una autentica riunione di famiglia.
Preso dall'imbarazzo quando uno di loro rivela un imbarazzante segreto, cade
vittima di un esaurimento nervoso. È soltanto quando il comico comincia a
muoversi a ritmo di samba, accompagnando i singhiozzi, che tutti tornano
nuovamente a ridere, quasi fossero sollevati dal fatto che l'accordo sia
stato "ripristinato" e "mantenuto".
"*Fare una scenata*" parla della possibilità di dar vita ad un conflitto per
far emergere la "verità" – o forse allontanare dalla verità! – su un
rapporto che può essere quello tra due amanti, fra i membri di diversi
gruppi sociali o tra l'artista e il suo pubblico. È un modo isterico di
risolvere i problemi, cercando la consolazione – oppure di produrre
problemi, manifestando un fondamentale disaccordo. Quest'ultimo aspetto è
illustrato alla perfezione in una scena del film "*L'*o*ro di Napoli*"* *di
Vittorio de Sica* *(1954), tratto dal libro di Giuseppe Marotta. Nella scena
in questione, si vede Eduardo De Filippo dare consigli ad un gruppo di suoi
vicini su come punire un nobile dal cuore di pietra attraverso un *
pernacchio*, un modo tutto napoletano di dire a qualcuno che non vale un
accidente. Gli consiglia di salutare questo personaggio, ogni volta che
passa con la sua automobile, apostrofandolo col suo nome completo, "Duca
Alfonso Maria Di Sant'Agata dei Fornai", seguito da un bel
*pernacchio*collettivo. Diventa una rivoluzionaria chiamata alle armi
o, meglio, il
suono di un monumentale "*whoopee cushion*" (un cuscino da piazzare sulla
sedia della vittima ignara che, sedendosi, produrrà un rumore fragoroso) che
"sgonfia" letteralmente tutta la presunzione del duca.
Le opere messe in mostra esplorano tutta la gamma di significati di "*Fare
una scenata*". Anche se, forse, non ci sono opere ad illustrare il
"classico" litigio di coppia della commedia romantica, ci sono creazioni che
– con ferocia o umorismo – inscenano un conflitto che potrebbe "rompere
l'accordo" col pubblico, o risolvere i problemi in modo isterico, mentre
altri visualizzano e strutturano intuitivamente nello spazio, la sfera
immaginaria che contiene questo tipo di interazioni.
Gli artisti e le opere
*Lisa Anne Auerbach (Los Angeles) e Alexandra Mir (Palermo)*
Seguendo percorsi artistici diversi, hanno in precedenza collaborato alla
mostra dal titolo "*Miss America*", un intenso e allo stesso tempo
divertente viaggio attraverso gli effetti del clima politico dell'era Bush
sulla condizione della donna (Los Angeles, Rental Gallery, 2006). Questa
volta, invece, realizzeranno un nuovo lavoro dal titolo
*Marzarama*coinvolgendo il "risanamento" di calchi in gesso che
riproducono le statue
classiche alla Gipsoteca dell'Accademia di Belle Arti di Napoli. Auerbach e
Mir si servono della pasta di mandorle per riparare, come in un film, i
calchi in gesso, oppure aggiungervi le parti mancanti nelle sculture
originali a grandezza naturale. In questo modo, faranno propria un'assurda
arte ricostruttiva che unisce lo studio degli antichi ideali di bellezza con
i moderni orientamenti di chirurgia estetica. Alcuni di questi effimeri atti
creativi potrebbero tradursi in tentativi comicamente inutili di ricostruire
interi arti, o produrre nuove forme corporee che la specie umana ancora non
conosce. Ciò darà luogo ad attimi fugaci di grande trasporto che,
immortalati in un video, saranno poi proiettati negli spazi della
Fondazione.
*Pierre Bismuth (Bruxelles)*
Per questa occasione, ha appositamente realizzato una nuova opera, che va ad
inserirsi nella serie intitolata "*Following the Right Hand Of*". Alla base
della serie c'è l'idea di seguire con un pennarello, per l'intera durata di
un film, la mano destra di un'attrice. In questo modo, l'attrice
"contribuisce" a produrre un disegno mediante i movimenti della sua stessa
mano. Il disegno viene poi sistemato davanti ad un fotogramma tratto dal
film in cui compare l'attrice. I gesti dell'attrice, pacati o veementi che
siano, sono così trasformati in una sorta di diagramma e, in combinazione
con il fotogramma, danno vita ad un messaggio cifrato che racconta dei
comportamenti che nascono da desideri e conflitti. Nel caso dell'opera
presentata a questa mostra, la mano seguita è quella di Sophia Loren nel
film "*La Ciociara*" (1960) (Two Women, 1960) di Vittorio de Sica, la storia
di una donna che, con sua figlia, fugge dai bombardamenti alleati che
devastarono Roma durante la seconda guerra mondiale.
*Christoph Dettmeier (Berlino)*
Presenterà una nuova serie di esibizioni dal titolo "*Country Karaoke*".
L'artista canterà in karaoke alcuni dei suoi brani *country* preferiti, che
hanno come tema delle tragiche storie d'amore. Ai brani si intervalleranno
dei discorsi sui modelli di comportamento femminile, di ispirazione
cattolica, tipici dello stile detto "Spaghetti Western". Nel corso
dell'esibizione di Dettmeier saranno proiettate anche alcune diapositive
raffiguranti desolati paesaggi urbani, alcuni dei quali si trovano a Napoli,
che in pratica costituiscono le Monument Valley di oggi. A ciò si aggiungerà
anche la proiezione di un video con il quale l'artista interagirà ballando.
Tutti questi elementi saranno, infine, affiancati anche da un semplice
palcoscenico che, trasformato, resterà esposto per tutta la durata della
mostra.
*Haris Epaminonda (Londra e Nicosia, Cipro)*
Si è servita di sequenze tratte da diversi melodrammatici film greci di
serie B per dar vita a "*Tarahi*", un video costituito da una serie di
immagini spaziali dai colori saturi che sembrano venir fuori da una versione
surreale del mondo hitchcockiano di "*La donna che visse due volte*". Nel
video, le immagini si sovrappongono: un uomo dai capelli impomatati con in
mano un microfono volge lo sguardo al cielo mentre sul suo viso compare un
fuoco d'artificio o, ancora, alcune famiglie attraversano un aeroporto
mentre un sole slavato le segue come un riflettore (questo aspetto del video
di Epaminonda si richiama ai suoi *collage* in bianco e nero, anch'essi
basati su sorprendenti giustapposizioni). Le sovrapposizioni e le
frammentazioni presenti nelle tre proiezioni alternate creano un ritmo
musicale che si rifà alla colonna sonora per pianoforte, meravigliosamente
indecisa, firmata dal compositore russo Alexander Skrjabin.
*Ö**zlem Günyol e Mustafa Kunt (Francoforte e Ankara)*
Presenterà un video dal titolo "*Section 1" (2005). La breve sequenza,
riprodotta in modo continuo, mostra il remake* di una scena tratta dal film
"*Itiraf*" (2002) del celebre regista turco Zeki Demirkubuz. Nel film si
racconta la storia di un uomo che sospetta la moglie di infedeltà. Pur senza
allontanarsi molto dai dialoghi della scena originale, Günyol e Kunt
finiscono ugualmente per alterare profondamente la nuova scena, spostandola
dall'ambientazione semipubblica di un ristorante a quella, in apparenza
privata, di una cucina osservata attraverso lo spiraglio di una porta
lasciata socchiusa. Alla natura spesso cruda e poco cortese di quanto detto
si contrappone il comportamento curiosamente calmo dei protagonisti. Tutto
contribuisce a creare un risultato bizzarro in cui si sovrappongono lo
scenario immaginario tratto dal film, la realtà di una coppia e lo sforzo
performativo dei due artisti che creano l'opera.
*Henrik Håkansson (Berlino e Köinge, Svezia)*
L'artista svedese dà vita ad un'opera destinata al seminterrato della
Fondazione. In molte delle sue precedenti opere, Håkansson ha esplorato le
diverse condizioni di osservazione della natura. Ad esempio, ha intrapreso
viaggi avventurosi per filmare specie ad altissimo rischio di estinzione,
come la pitta di Gurney, un uccello che vive in Thailandia. Un altro filone
artistico che caratterizza le sue opere è quello degli animali in veste di
cantanti: rane che gracidano al ritmo della musica *ambient techno* che
riecheggia nella loro palude ("*Frog for e.s.t. (eternal sonic trance)*",
1995), oppure centinaia di grilli che si esibiscono dal vivo su un palco
degno di una banda rock, con tanto di effetti di riverbero ("*Monsters of
Rock*", 1997). Questa volta, da un normale amplificatore per chitarra
elettrica sarà emesso un unico verso di uccello. L'ampio seminterrato con il
soffitto a volta si trasformerà così in una camera a eco naturale in cui
anche i rumori inevitabilmente prodotti dai visitatori diverranno parte
integrante del suono.
*Marko Lulic (Vienna e Berlino)*
Lulic ha fatto suoi i monumenti eretti alla memoria dei partigiani
jugoslavi, impiegandoli nel progetto intitolato "*Modernity in Yu*"
(febbraio 2001), che ha animato numerose mostre, e il monumento dedicato da
Mies van der Rohe a Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg (distrutto dai nazisti
nel 1935), impiegato in diverse versioni dell'"*Entertainment Center Mies*"
(aprile 2004). Nel farlo, è sempre stato pienamente cosciente del fatto che
vi sia qualcosa di profondamente "inappropriato"nel trasformare un monumento
pubblico alla memoria in una scultura "privata" esposta in una galleria. Ma
è proprio questa "inappropriatezza" a costituire la molla che consente a
Lulic di scuotere i frammenti della modernità, svincolandoli dalla paralisi
storica ed eroica in cui versano e valutare la possibilità di rapportarli
alle questioni del tempo presente. In modo simile, per la sua nuova opera
dal titolo "*Opening Speech*", si approprierà di svariati stili di
progettazione delle tribune per oratori, appartenenti ad epoche storiche e
contesti diversi – politica, economia, ambito accademico – per creare lo
scenario di apertura della mostra "*Fare una scenata*". Tre professionisti
dell'arte di fama mondiale terranno ciascuno un discorso di apertura (la cui
registrazione farà da sfondo all'esposizione delle sculture). La lieve
pomposità di questi tre discorsi – in effetti un fatto abbastanza comune
nelle mostre presso i musei e nelle cerimonie di premiazione – avrà
probabilmente come risultato dei momenti di assurda incomprensione in un
cacofonico e sorprendente sincronismo.
Inaugurazione 21 maggio 2008
Fondazione Morra Greco
Largo Avellino, 17 - Napoli
Orari: dalle 10:30 alle 13.30., dal lunedì al venerdì, oppure su appuntamento