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My name is Red
dal 23/5/2008 al 11/7/2008

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23/5/2008

My name is Red

Image Furini Arte Contemporanea, Arezzo

La collettiva raccoglie i lavori di Robert Barta, Sea-Hyun Lee, Joao Leonardo, Smith/Stewart. I riverberi del cremisi e le estenuanti sfumature dei rossi sembrano partecipare ad un'unica narrativa pur rimanendo nella propria specificita'.


comunicato stampa

Si inaugura sabato 24 maggio presso Furini Arte Contemporanea ‘My Name is Red’, collettiva che raccoglie i lavori di Robert Barta, Sea-Hyun Lee, João Leonardo, Smith/Stewart, e dove il colore rosso è tanto bramata utopia quanto infinita nostalgia.

Il titolo della mostra è stato preso in prestito dall’omonimo libro di Orhan Pamuk. Qui un’indimenticabile narrativa dipana un thriller filosofico che si rivela essere solo il mezzo per un romanzo di ben altre aspirazioni: rappresentare due mondi a confronto, l’Oriente e l’Occidente. Ossia il passaggio tra la fine del dominio del significato e l’inizio di quello della forma.

Anno 1591, siamo a Istanbul, tra le note di un liuto, coltri pesanti di neve e spossanti inventari. Storie dentro altre storie tracciano il grandioso arazzo di un mondo che non ha ancora deciso se lasciarsi incantare dalle novità dell’Occidente o restare ancorato alla tradizione. Voci diverse intervengono nel romanzo a raccontare la storia, come diverse pennellate del miniaturista che rifinisce la cornice di una pagina per lasciar spazio al racconto nella parte centrale.

Allo stesso modo, nel percorso espositivo, i riverberi del cremisi e le estenuanti sfumature dei rossi sembrano partecipare ad un’unica narrativa pur rimanendo nella propria specificità e attualità.

In Untitled red, 2003 di João Leonardo (Odemira, 1974) il cubo ghiacciato di vino rosso si scioglie per rivelare un segreto, nasconde infatti al suo centro una rosa bianca. La natura astratta e romantica del lavoro, l’aspirazione a raggiungere una sorta di stato di grazia è sottolineata dalla sua colonna sonora, la cantata BWV 12 di Johann Sebastian Bach messa in scena il 22 aprile 1714 nella cappella di Weimar.
Volendo scoprire in stato di ebbrezza l’invisibile, una sorta di interiorità profondamente nascosta, le immagini rimangono ambigue, sospese tra il patetico e il sublime.

È ancora di nostalgia ed utopia che parla la pittura di Sea-Hyun Lee (Geoje Island, 1967). La sua inconfondibile serie Between Red, 2007 rientra in un immaginario semi-utopico, risponde ad una sorta di contemporanea malia per il paesaggio ed equivale, al di là del suo distinto impegno politico, ad un continuo ed ossessivo rimescolare ricorrenti frammenti. È ovviamente un lavoro che ha a che fare con la nozione di sparizione, sono immagini di un passato perduto, di paesaggi spariti e di affollate memorie.

Quelli di Robert Barta (Praga, 1975) sono oggetti prelevati dal quotidiano. Essi hanno ormai perso ogni sorta di pratica utilitaristica ma continuano a provocare costanti impulsi e trasmettono un sottile umorismo. Pongono immediatamente la questione delle norme sociali pur evocando un senso di fiducia. L’ invitante Blind Date, 2008 è una sedia a dondolo dalle doppie sedute rosso carminio, nonostante la sua accogliente apparenza essa è stata completamente mutilata dalla sua confortante funzione, abbandonata ad un infinito e inutile dondolio.

Originariamente girato in super 8, in Dead Red, 1994 di Smith/Stewart (Manchester, 1968 e Belfast, 1961) appare la testa rasata e il torso di Stephanie Smith. Fuori campo, Stewart prima le applica del rossetto e poi comincia a baciarla ininterrottamente sulle labbra fino a quando la pelle della donna e la stessa inquadratura del film non diventano completamente sature e quindi inesorabilmente annullate dal rosso cremisi.
Intanto nell’aria risuona Bach. Dopo un breve passaggio degli strumenti marcati da un ‘adagio assai’, che include un espressivo e triste solo di oboe, in un infinito loop echeggiano le voci del coro sulle note di un basso ostinato. Weeping, lamenting, worrying, fearing.

Image Furini Arte Contemporanea
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