Glenda Cinquegrana: the Studio
Milano
via Francesco Sforza, 49
02 89695586 FAX
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Simon Haddock e Stuart Chubb
dal 17/6/2008 al 9/9/2008
mar-sab 11-19,30 su appuntamento
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Glenda Cinquegrana



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Simon Haddock
Stuart Chubb



 
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17/6/2008

Simon Haddock e Stuart Chubb

Glenda Cinquegrana: the Studio, Milano

We're In Construction! Progetto installativo site-specific. I lavori ambientali che compongono la mostra sono integralmente realizzati con i pannelli che solitamente si utilizzano come supporto nelle mostre "blockbuster": le opere costituiscono il libero ripensamento dei materiali di scarto di quelle istituzioni - dalla Tate Modern alla Serpentine.


comunicato stampa

................english below

We’re In Construction! è il progetto installativo site-specific che Simon Haddock e Stuart Chubb hanno realizzato per il loro primo solo-show italiano alla galleria Glenda Cinquegrana The Studio. Il titolo WE're in construction! che Haddock&Chubb hanno scelto per il loro primo progetto italiano allude programmaticamente ad un atto di costruzione che, nel caso specifico dei due artisti – l'uno pittore e l'altro scultore – è il frutto dell'esperienza accumulata nella progettazione degli allestimenti delle principali mostre temporanee delle istituzioni museali e gallerie londinesi.

I lavori ambientali che compongono la mostra sono, infatti, integralmente realizzati con i pannelli che solitamente si utilizzano come supporto nelle mostre blockbuster: le opere costituiscono il libero ripensamento dei materiali di scarto di quelle istituzioni - dalla Tate Modern alla Serpentine. Le installazioni che i due artisti hanno concepito per WE're in construction! sono il frutto della libera giustapposizione di materiali di recupero: lo scenario illusorio che scaturisce dalla sovrapposizione dei pannelli costituisce lo specchio ideale su cui si dispiega una pittura che acquisisce una dimensione di tipo spaziale, architettonico.

Addentrandosi nell’ambiente creato da Haddock e Chubb, si intuisce che entrare in un disegno sarebbe proprio così. Camminare sui pannelli di MDF schizzati e scheggiati, sentirne il crepitio a ogni passo e continuare a camminare, significa avvilupparsi in un mondo a scale di grigio, fatto di polpa e pigmento (Isabel De Vasconcellos). Il lavoro di Haddock&Chubb fa esplicito riferimento allo spazialismo da Kline a Fontana: esso non solo ne utilizza scientemente la grammatica pittorica della gestualità, ma ne propone una rilettura secondo un’originale concezione post-moderna.

Il segno pittorico che si trova a monte della ricerca risolve brillantemente la sottile relazione dialettica che intercorre fra la superficie bidimensionale del disegno e quella tridimensionale dello spazio della galleria, acquistando una nuova dimensione in senso geometrico, che è
coerentemente architettura. Il disegno, quando sfugge alle normali logiche di incarcerazione proprie del quadro, segue un’ottica di febbrile ripensamento dello spazio, e lo investe nella sua completezza, a partire dal pavimento fino alle pareti. La poetica che è alla base del lavoro di Haddock&Chubb, mette in questione diverse problematiche relative alla dimensione stessa del fare arte.

Innanzitutto, i due artisti, attraverso l'atto deliberato di collocare al centro della mostra ciò che generalmente si nasconde sul fondo, mettono implicitamente in dubbio il metodo di produzione del valore proprio dell'arte contemporanea, alla luce del nuovo tipo di spettacolarità proposto dai mezzi di comunicazione. La domanda posta dai due artisti è: che cosa si deve mostrare e cosa si deve nascondere? E’ più importante ciò che si rappresenta o quello che resta alle spalle della rappresentazione?

Inoltre, attraverso la creazione di un'opera site-specific realizzata con un originale materiale di recupero, essi riflettono anche una concezione dell'installazione che, a partire dal concetto tradizionale di ready-made, si svolge alla luce di una visione ecosostenibile. Qual è il potenziale del ritaglio, del frammento scartato? È possibile immaginare per lui un nuovo posto, rendere necessario l’inutile? (…) Attraverso il processo di questa nuova costruzione, l’involontarietà (il taglio, lo schizzo, la fessura) può farsi finalità, e scampoli provenienti dai puzzle di altre mostre, altre gallerie, possono trovare il proprio posto, insieme altrove (Isabel De Vasconcellos).

Il ripensamento dello spazio alla luce di una pittura intesa secondo una dimensione globale, determina le condizioni per sperimentare nuove forme di fruizione: Haddock&Chubb si pongono in veste di scienziati, intenti ad osservare il visitatore nell'atto di entrare in un'architettura che vibra dell'animazione della pittura, e a registrarne le emozioni.

I titoli delle opere, infine, alludono ad un gioco di costruzione mai fine a sé stesso, ma al contrario funzionale ad un ironico atto di decostruzione dei miti della storia dell'arte e della cultura moderna. Haddock&Chubb sfiorano, con un tono che mescola sapientemente ironia e dissacrazione, ingenuità e poesia, le matrici della cultura classica (Minotaur), l'apologia del Costruttivismo fiero di sé da Tatlin a Malevič (This is modernism!), sino all'evasione propria della cultura post-moderna (Wave).

Simon Haddock (Londra, 1970), completa la sua educazione artistica presso il Royal Academy di Londra.
Personali_Principali: Vertigo Gallery, London (2005, 2004); Paton Gallery (2002, 2000); Zwemmer Gallery London (2001, 2000). Collettive_principali: Standpoint Gallery, Londra (2008).

Stuart Chubb (Great Yarmouth, Norfolk, 1970) collabora dal diversi importanti artisti inglesi (Thomas Demand, Elmgreen&Dragset, Ilya e Emilia Kabakov, Rirkrit Tiravanija, Anthony Gormley) per la realizzazione di progetti installlativi. Personali_Principali, Thermophile. The Pump House, London. 2002, Spectator Still. Wirksworth Art Festival (2001), Ground to Air (1999). Collettive_principali: Standpoint Gallery, Londra (2008).

Simon Haddock&Stuart Chubb si incontrano al college di Bristol nel 1994, dove iniziano a sviluppare un approccio critico alle tradizionali nozioni di pittura e scultura. Nel 2007 danno vita al progetto WE're in construction, frutto dei loro percorsi artistici individuali.

......................English Version

WE’re In Construction! is the site-specific installational project that Simon Haddock and Stuart Chubb created for their first solo show in Italy, at Glenda Cinquegrana The Studio gallery. The title WE’re in construction! which Haddock&Chubb have chosen for their first Italian project makes reference to a programmatic act of construction. In the case of the two artists – from whom one is a painter, and the other one is a sculptor – this is the result of the experience they developed while constructing the displays for the most important temporary exhibitions of the major museums and galleries in London.

The installation works that compose this exhibition are entirely made of the panels, normally used as main supports for the blockbuster shows: the works are a free rethinking product of those temporary materials, rejectd by that institutions - which range from the Tate Modern to the Serpentine - after the use.The installations the two artists built up for the WE’re in construction! exhibition are the outcome of an entirely personal act of justapositxion of those recycled materials: the illusory scenario originating from the fixation of panels is inteded as a sort of ideal dimension on which painting is going to acquire not only a spatial and but also an architectural living.

Walking into the environment created by Haddock and Chubb, one imagines this is what it might be like to walk into a drawing. To step onto the panels of splattered and scratched MDF [...] which crackle underfoot, and to walk on, is to be enveloped within the folds of a world in greyscale, composed of pulp and pigment. (Isabel De Vasconcellos).Haddock&Chubb’s work makes explicit reference to the spatialism of Kline and Fontana: the mention is not only made by using consciously the same gestural expression, but it is also by offering a new interpretation of that grammar, based on an original post-modern vision.

The pictorial mark, intended as the starting point of the research, brilliantly reveals the subtle dialectic relationship that stands between the two-dimensional surface of the drawing and the three-dimensional gallery space, thus reaching out a new geometrical dimension that is coherently architectural. While trying to escape the normal captivity ties that are naturally concerns of the picture, the drawing embarks a feverish re-examination of space, and sweeps through it entirety, involving in an embrace the floor as well the walls.

The poetic vision which is at the heart of Haddock&Chubb’s work brings into question a number of criical concerns that involve a theoretical dimension related to the process of making art.First of all, by deliberately drawing the attention on what is normally kept in the shadow, the two artists are implicitly questioning the method of producing value in the contemporary art market, which is dominated by a new type of spectacularism taken form the media. The main question is: what is bound to be shown and what should be hidden? Is far more relevant what is represented or what remains behind the representation?

By creating a site-specific work using original salvaged materials, they also reflect a new concept of installation art that, while is taking inspiration from the traditional concept of the ready-made, take steps towards a new sustainable approach, in an environmental sense.What is the potential of the off-cut, the discarded fragment? Is it possible to re-imagine a place for it, to make the unnecessary necessary?[…] Through the process of this new construction, the inadvertent (the cut, the splatter, the fissure) can become purposeful, and parings from the jigsaws of other exhibitions, other studios, can find their place, together elsewhere (Isabel De Vasconcellos).

The free rethinking of space taking steps from a new conception of painting intended in a spatial dimension opens up the way for an experimentation of a new fruition conditions: Haddock&Chubb are cought as scientists, while observing visitors as they enter an architectural construction that vibrates of the animation of painting, and recording their emotions.

The titles of the works allude to a game of construction that is never exhausted in itself but functional to an explicit act of deconstruction of the main myths of art history and of modern culture. Haddock&Chubb, by skilfully mixing irony and desecration, ingenuity and poetry, are reinterpreting the roots of classical culture (Minotaur), the apology of haughty Constructivism seen from Tatlin to Malevič (This is Modernism!), passing through the evasion myth inteded as a feature of post-modern culture (Wave).

Simon Haddock (London, 1970), completed his artistic training at the Royal Academy in London.
Major solos: Vertigo Gallery, London (2005, 2004); Paton Gallery (2002, 2000); Zwemmer Gallery London (2001, 2000). Major group exhibitions: Standpoint Gallery, London (2008).

Stuart Chubb (Great Yarmouth, Norfolk, 1970) works with a number of important British artists (Thomas Demand, Elmgreen&Dragset, Ilya and Emilia Kabakov, Rirkrit Tiravanija, Anthony Gormley) on the creation of installation projects. Major solos: Thermophile. The Pump House, London. 2002, Spectator Still. Wirksworth Art Festival (2001), Ground to Air (1999). Major group exhibitions: Standpoint Gallery, London (2008).

Simon Haddock and Stuart Chubb met at college in Bristol in 1994, where they started formulating a critical approach to traditional notions of painting and sculpture. In 2007, they set up the WE’re in construction project as outcome of their individual artistic careers.

Opening: mercoledì 18 giugno 2008 ore 19,00

Glenda Cinquegrana: The Studio
via F. Sforza, 49 I- 20122 Milano
dal martedì al sabato dalle 11,00 alle 19,30 su appuntamento

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