Granma
Roma
via Vecchiarelli 39

Mimmo Pesce
dal 11/2/2002 al 21/2/2002

Segnalato da

Emilia Aru



approfondimenti

Mimmo Pesce



 
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11/2/2002

Mimmo Pesce

Granma, Roma

Sculture Installazioni Performance. L'esposizione comprende una serie di sculture-installazioni ispirate al mito di Frankestein, nato dalla profetica fantasia di Mary Shelley.


comunicato stampa

Sculture Installazioni Performance

L'esposizione comprende una serie di sculture-installazioni ispirate al mito di Frankestein, nato dalla profetica fantasia di Mary Shelley.

Tre figure femminili, androgine e caste, appese e sospese come vittime sacrificali a telai in ferro, una figura di ermafrodito - dal divino di un tempo al trans contemporaneo, immobile nella sua fisicità, attonito - realizzate direttamene sul corpo di splendide modelle, con la tecnica del calco (gesso). Una moto (chopper), un bricolage composto da pezzi di moto autentiche, nel ricordo di Easy Rider, cavalcata dall'angelo più antico (la morte, il cavaliere dell'Apocalisse), dal viso cromato nello stile delle fiction cinematografiche. Quattro dipinti, trasfigurazione dell'immagine del Frankestein cinematografico, e una testa dello stesso, in marmo non finito (corpo incompiuto non amato ma sereno nella pietra smussata). Una Mary Shelley in carne e ossa - figura umana più installazione che limita i suoi movimenti - identificazione del "mostro" di Frankestein, interpretata da Katiuscia, che racchiude in se tutti i significati della mostra. Fanno parte dell'esposizione le composizioni-esecuzioni musicali di David e Ciro e gli interventi fotografici di Manuel.

"L'arte di Pesce è un esuberante territorio di manipolazione magica, investito di significati erotico-sessuali, sociali e politici, in cui la bellezza antica, con le sue leggi compositive, lungi dall'essere contestata, trova ancora un posto nella pur crudele confusione della vita."

Mimmo Pesce è nato a Reggio Calabria e ha frequentato l'accademia di Belle Arti di Roma dove è stato allievo di Pericle Fazzini. Oggi è docente di discipline plastiche al Liceo Artistico Alessandro Caravillani di Roma.

Testo critico di Bruna Condoleo

Dal mito di Frankestein, nato dalla profetica fantasia di Mary Shelley, nasce lo spunto, tutt'altro che occasionale, per una mostra che raggruppa lavori antichi e nuovi di Domenico Pesce, scultore e pittore che fin dagli anni '70 ha affrontato con trasgressiva espressività il tema del "mostruoso" in tutte le sue accezioni.

Malgrado una compiacenza estetica, nata dal desiderio mai spento della Bellezza, caratterizzi la sua opera, tuttavia egli non può fare a meno di subire il fascino ambiguo del mostruoso, un'attrazione-repulsione che rimanda all'eterno dualismo dell'animo umano, a ricordare che l'inferno può nascondersi anche nelle sublimazioni più ardite, e che ad un lineare pensiero può associarsi la più oscura pulsione dell'inconscio.

L'arte di Pesce è un esuberante territorio di manipolazione magica, investito di significati erotico-sessuali, sociali e politici, in cui la bellezza antica, con le sue leggi compositive, lungi dall'essere contestata, trova ancora un posto nella pur crudele confusione della vita. L'artista aggredisce con un concettualismo privo di retorica i temi della cultura passata, il nudo, il significato del mito, la figura dell'ermafrodito, nel quale il senso appagante di una "completezza" svanisce dinanzi all'inquietante epifania di un'anomalia, vissuta come imperfezione e non già come divina difformità.

La donna e l'eros sono per lo scultore calabrese un binomio in cui vita e morte si sfiorano e si contaminano continuamente: le donne sono la verità più offerta e più nascosta: veneri o prostitute, colombe o feroci arpie, gioia di vivere o tormento, esse divengono nell'interpretazione dell'artista vittime ed idoli oscuri. Androgina e casta, imprigionata in un triangolo, come triade divina, o appesa al macello, come novella Medusa, nella figura femminile si rispecchiano tutte le violenze e le turpitudini perpetrate dall'uomo, ma anche le idealizzazioni possibili e le costruzioni simboliche della mente. Non più oggetto del desiderio, ma vittima sacrificale, la donna sembra il risultato di una mutazione genetica, ove maschile e femminile si confondono in un'allarmante metamorfosi.

Gli opposti si intrecciano in sconcertanti simbiosi: il volto marmoreo di Frankestein, creatura bella e terribile, ripropone il tema di un moderno Prometeo che infonde alla materia il soffio vitale e nel contempo crea il monstrum, prodigio che atterrisce ed attrae, realtà più perfetta o realtà in cui trasferire le più segrete forze distruttive dell'inconscio?

"L'aria del Paradiso è quella che soffia tra le orecchie di un cavallo", recita un proverbio arabo, ma il cavallo tecnologico, ideato da Pesce, non somiglia affatto al cavallo della tradizione millenaria, neppure è il simbolo classico del risorgere della vita e del femminino materno da un lato e della bellezza raggiunta attraverso il dominio della spiritualità sulla materia, dall'altro. Più drammaticamente vicino all'idea dell'eterno conflitto tra vita e morte, tra Logos ed Eros, il cavallo è una figura scarnificata ed anoressica, privato di qualsiasi fisicità: la sua struttura di ferro ha contorni precisi e vive dello spazio vuoto che ingloba come pura linearità, quasi invisibile, simulacro di un'immagine che non rappresenta più l'archetipo dell'istintualità vitale ed ha perduto ogni suggestione di vigoria e con essa di libertà. Con la sua statica criniera ed il corpo svuotato d'ogni segreto, è una semi-mostruosità, un metaplasma che traduce con spietata crudeltà la corrosiva contestazione da sempre presente nell'opera dello scultore.

Il sesso esibito in modo aggressivo è ricerca della verità dell'essere, di una fisicità integrale, ma anche espediente selvaggio e polemico per valorizzare il contenuto espressivo dell'immagine che dalla dimensione materiale si sposta a quella psichica, traducendo i bisogni del corpo e gli istinti primordiali nelle anomalie del pensiero. Distanti dai calchi realistici di Rodin come dai raggelati manichini di Ségal, i gessi di Pesce sono il frutto di un'operazione tecnica manuale che pur generando nell'osservatore disagio e tensione emotiva, conserva ancora il sapore antico di una metafora dell'aspirazione ad una spiritualità, inconsapevolmente agognata.

Una motocicletta minacciosa, un guidatore terribile, dal volto demoniaco: è il moderno cavaliere dell'Apocalisse, tema romantico macabramente rivisitato dall'immaginazione dell'artista. Con la lunga falce ed il volto di maschera mortale, il guidatore è il lucido testimone della libertà naufragata, dell'agonia delle coscienze, icona allucinante della violenza distruttrice del nostro tempo, che ha azzerato persino i sogni, proiettando l'ombra sinistra di un oscuro medioevo, senza ideali né speranze.

Per Mimmo Pesce scolpire è dunque ancora grido e denuncia di una dimensione pessimistica dell'esistenza ove traspare il pathos della sua anima magno-greca, strettamente legata alla vita ma ammalata d'eternità; scolpire è anche tentativo di liberazione, ponte gettato tra realtà ed immaginario, in cui favole antiche, visionarie fantasie, erotismo e tragiche realtà si fondono in un gioco dissacratorio, a volte surreale. Un originale nomadismo culturale, quello di Pesce, che si appropria con estrema libertà di forme e mezzi i più disparati, senza timore di imbattersi nella crudezza esacerbata della vita, nella consapevolezza un po' ironica e beffarda che"gli dei entrano anche in cucina!" (Borges).

Orario: dal Lunedì al Sabato Ore 17/20

Ufficio Stampa Emilia Aru 06 77591217

Associazione Culturale Granma
Vicolo di Sant'Ambrogio, 4 Roma

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dal 31/5/2005 al 11/6/2005

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