Sculture Installazioni Performance. L'esposizione comprende una serie di sculture-installazioni ispirate al mito di Frankestein, nato dalla profetica fantasia di Mary Shelley.
Sculture Installazioni Performance
L'esposizione comprende una serie di sculture-installazioni
ispirate al mito di Frankestein, nato dalla profetica fantasia di Mary
Shelley.
Tre figure femminili, androgine e caste, appese e sospese come vittime
sacrificali a telai in ferro, una figura di ermafrodito - dal divino di
un tempo al trans contemporaneo, immobile nella sua fisicità , attonito
- realizzate direttamene sul corpo di splendide modelle, con la
tecnica del calco (gesso). Una moto (chopper), un bricolage composto da
pezzi di moto autentiche, nel ricordo di Easy Rider, cavalcata
dall'angelo più antico (la morte, il cavaliere dell'Apocalisse), dal
viso cromato nello stile delle fiction cinematografiche. Quattro
dipinti, trasfigurazione dell'immagine del Frankestein cinematografico,
e una testa dello stesso, in marmo non finito (corpo incompiuto non
amato ma sereno nella pietra smussata). Una Mary Shelley in carne e
ossa - figura umana più installazione che limita i suoi movimenti -
identificazione del "mostro" di Frankestein, interpretata da Katiuscia,
che racchiude in se tutti i significati della mostra. Fanno parte
dell'esposizione le composizioni-esecuzioni musicali di David e Ciro e
gli interventi fotografici di Manuel.
"L'arte di Pesce è un esuberante territorio di manipolazione magica,
investito di significati erotico-sessuali, sociali e politici, in cui
la bellezza antica, con le sue leggi compositive, lungi dall'essere
contestata, trova ancora un posto nella pur crudele confusione della
vita."
Mimmo Pesce è nato a Reggio Calabria e ha frequentato l'accademia
di Belle Arti di Roma dove è stato allievo di Pericle Fazzini. Oggi è
docente di discipline plastiche al Liceo Artistico Alessandro
Caravillani di Roma.
Testo critico di Bruna Condoleo
Dal mito di Frankestein, nato dalla profetica fantasia di Mary Shelley,
nasce lo spunto, tutt'altro che occasionale, per una mostra che
raggruppa lavori antichi e nuovi di Domenico Pesce, scultore e pittore
che fin dagli anni '70 ha affrontato con trasgressiva espressività il
tema del "mostruoso" in tutte le sue accezioni.
Malgrado una compiacenza estetica, nata dal desiderio mai spento della
Bellezza, caratterizzi la sua opera, tuttavia egli non può fare a meno
di subire il fascino ambiguo del mostruoso, un'attrazione-repulsione
che rimanda all'eterno dualismo dell'animo umano, a ricordare che
l'inferno può nascondersi anche nelle sublimazioni più ardite, e che ad
un lineare pensiero può associarsi la più oscura pulsione
dell'inconscio.
L'arte di Pesce è un esuberante territorio di manipolazione magica,
investito di significati erotico-sessuali, sociali e politici, in cui
la bellezza antica, con le sue leggi compositive, lungi dall'essere
contestata, trova ancora un posto nella pur crudele confusione della
vita. L'artista aggredisce con un concettualismo privo di retorica i
temi della cultura passata, il nudo, il significato del mito, la figura
dell'ermafrodito, nel quale il senso appagante di una "completezza"
svanisce dinanzi all'inquietante epifania di un'anomalia, vissuta come
imperfezione e non già come divina difformità .
La donna e l'eros sono per lo scultore calabrese un binomio in cui vita
e morte si sfiorano e si contaminano continuamente: le donne sono la
verità più offerta e più nascosta: veneri o prostitute, colombe o
feroci arpie, gioia di vivere o tormento, esse divengono
nell'interpretazione dell'artista vittime ed idoli oscuri. Androgina e
casta, imprigionata in un triangolo, come triade divina, o appesa al
macello, come novella Medusa, nella figura femminile si rispecchiano
tutte le violenze e le turpitudini perpetrate dall'uomo, ma anche le
idealizzazioni possibili e le costruzioni simboliche della mente. Non
più oggetto del desiderio, ma vittima sacrificale, la donna sembra il
risultato di una mutazione genetica, ove maschile e femminile si
confondono in un'allarmante metamorfosi.
Gli opposti si intrecciano in sconcertanti simbiosi: il volto marmoreo
di Frankestein, creatura bella e terribile, ripropone il tema di un
moderno Prometeo che infonde alla materia il soffio vitale e nel
contempo crea il monstrum, prodigio che atterrisce ed attrae, realtÃ
più perfetta o realtà in cui trasferire le più segrete forze
distruttive dell'inconscio?
"L'aria del Paradiso è quella che soffia tra le orecchie di un
cavallo", recita un proverbio arabo, ma il cavallo tecnologico, ideato
da Pesce, non somiglia affatto al cavallo della tradizione millenaria,
neppure è il simbolo classico del risorgere della vita e del femminino
materno da un lato e della bellezza raggiunta attraverso il dominio
della spiritualità sulla materia, dall'altro. Più drammaticamente
vicino all'idea dell'eterno conflitto tra vita e morte, tra Logos ed
Eros, il cavallo è una figura scarnificata ed anoressica, privato di
qualsiasi fisicità : la sua struttura di ferro ha contorni precisi e
vive dello spazio vuoto che ingloba come pura linearità , quasi
invisibile, simulacro di un'immagine che non rappresenta più
l'archetipo dell'istintualità vitale ed ha perduto ogni suggestione di
vigoria e con essa di libertà . Con la sua statica criniera ed il corpo
svuotato d'ogni segreto, è una semi-mostruosità , un metaplasma che
traduce con spietata crudeltà la corrosiva contestazione da sempre
presente nell'opera dello scultore.
Il sesso esibito in modo aggressivo è ricerca della verità dell'essere,
di una fisicità integrale, ma anche espediente selvaggio e polemico per
valorizzare il contenuto espressivo dell'immagine che dalla dimensione
materiale si sposta a quella psichica, traducendo i bisogni del corpo e
gli istinti primordiali nelle anomalie del pensiero. Distanti dai
calchi realistici di Rodin come dai raggelati manichini di Ségal, i
gessi di Pesce sono il frutto di un'operazione tecnica manuale che pur
generando nell'osservatore disagio e tensione emotiva, conserva ancora
il sapore antico di una metafora dell'aspirazione ad una spiritualità ,
inconsapevolmente agognata.
Una motocicletta minacciosa, un guidatore terribile, dal volto
demoniaco: è il moderno cavaliere dell'Apocalisse, tema romantico
macabramente rivisitato dall'immaginazione dell'artista. Con la lunga
falce ed il volto di maschera mortale, il guidatore è il lucido
testimone della libertà naufragata, dell'agonia delle coscienze, icona
allucinante della violenza distruttrice del nostro tempo, che ha
azzerato persino i sogni, proiettando l'ombra sinistra di un oscuro
medioevo, senza ideali né speranze.
Per Mimmo Pesce scolpire è dunque ancora grido e denuncia di una
dimensione pessimistica dell'esistenza ove traspare il pathos della sua
anima magno-greca, strettamente legata alla vita ma ammalata
d'eternità ; scolpire è anche tentativo di liberazione, ponte gettato
tra realtà ed immaginario, in cui favole antiche, visionarie fantasie,
erotismo e tragiche realtà si fondono in un gioco dissacratorio, a
volte surreale. Un originale nomadismo culturale, quello di Pesce, che
si appropria con estrema libertà di forme e mezzi i più disparati,
senza timore di imbattersi nella crudezza esacerbata della vita, nella
consapevolezza un po' ironica e beffarda che"gli dei entrano anche in
cucina!" (Borges).
Orario: dal Lunedì al Sabato Ore 17/20
Ufficio Stampa Emilia Aru 06 77591217
Associazione Culturale Granma
Vicolo di Sant'Ambrogio, 4 Roma