L'Arlecchino dell'arte. L'esposizione presenta piu' di 180 opere tra oli, lavori su carta e sculture, che offrono un quadro esaustivo della frenesia creativa originale ed eclettica del maestro spagnolo, nel ventennio tra le due guerre mondiali. La mostra comprende anche una sezione documentaria che intende mettere in luce il viaggio compiuto dall'artista spagnolo a Roma nel 1917. A cura di Yve-Alain Bois.
a cura di Yve-Alain Bois
Le massime autorità istituzionali venerdì 10 ottobre 2008 presso il Complesso del Vittoriano inaugureranno la grande mostra “Picasso 1917 – 1937 L’Arlecchino dell’arte”.
Cinquantacinque anni dopo l’ampia retrospettiva curata dall’artista stesso alla Galleria Nazionale di Arte Moderna nel 1953, Roma rende un nuovo importante omaggio a Pablo Picasso, il più grande artista del Novecento, con una ricchissima esposizione al Complesso del Vittoriano: “Picasso 1917 – 1937 L’Arlecchino dell’arte” dall’11 ottobre 2008 all’8 febbraio 2009. Più di 180 opere tra oli, opere su carta e sculture offrono un quadro straordinario della frenesia creativa originale ed eclettica del maestro spagnolo, nel ventennio tra le due guerre mondiali. Una selezione di importanti capolavori, che si inserisce nel novero delle più importanti rassegne dedicate a Picasso dai più prestigiosi musei del mondo.
La Mostra, che nasce sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana, è promossa dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, con la collaborazione del Comune di Roma - Assessorato alla Cultura e alla Comunicazione, Assessorato alle Politiche Educative Scolastiche della Famiglia e della Gioventù – della Provincia di Roma – Presidenza e Assessorato alle Politiche culturali - della Regione Lazio – Presidenza e Assessorato alla Cultura, allo Spettacolo e allo Sport -, con il patrocinio del Senato della Repubblica, della Camera dei Deputati, del Ministero Affari Esteri, dell’Ambasciata di Francia in Italia e dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano. La rassegna è organizzata e realizzata da Comunicare Organizzando di Alessandro Nicosia.
La famiglia Picasso, prestigiose collezioni private ed i più importanti musei di tutto il mondo hanno sostenuto questo ambizioso progetto con il prestito di opere di altissima qualità; tra le tante istituzioni spiccano: National Gallery of Canada, Ottawa; Centre Pompidou, Musée national d'art moderne, Centre de création industrielle e Museo Picasso, Parigi; Museu Picasso, Barcellona e Malaga; Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia, Madrid; Foundation Beyeler, Basilea; Kunstverein Winterthur, Winterthur; Baltimore Museum of Art, Baltimore; Philadelphia Museum of Art, Philadelphia; The Museum of Fine Arts, Houston; The Metropolitan Museum of Art e The Solomon Guggenheim Museum, New York; The National Gallery of Art, Washington D.C.
L’esposizione “Picasso 1917 – 1937 L’Arlecchino dell’arte” è a cura di Yve-Alain Bois, Ordinario di Storia dell’Arte, School of Historical Studies presso l’Institute for Advanced Study di Princeton, New Jersey nella cattedra inaugurata da Erwin Panowsky. Il prof. Bois si avvale della collaborazione di un prestigioso comitato scientifico composto dai più noti studiosi di arte moderna del mondo: Dawn Ades, Ordinaria di Storia dell’Arte, University of Essex (Regno Unito); Lisa Florman, Professore associato di Storia dell’Arte, Ohio State University (Stati Uniti); Timothy Clark, University of California at Berkeley; Elizabeth Cowling, Ordinaria di Storia dell’Arte, University of Edinburgh (Regno Unito).
La mostra
La produzione di Pablo Picasso è davvero enciclopedica ed è molto difficile affrontare adeguatamente in una mostra un fenomeno che, già solo a livello quantitativo, non conosce uguali in tutta la storia dell’arte. Come tutte le esposizioni a lui dedicate, anche in questo caso ci si sofferma su un tema specifico, il periodo dal 1917 al 1937, che ingloba per così dire tutti gli altri, poiché sottolinea la proteiforme diversità dell’artista. E’ proprio questa diversità a distinguere maggiormente Picasso da tutti i suoi contemporanei e forse anche da qualsiasi altro artista mai esistito.
Yve-Alain Bois scrive: “La storia dell’arte è ricca di pittori prolifici (benché nessuno raggiunga i livelli di Picasso) ed è tutt’altro che insolito riscontrare, nella produzione complessiva di un dato artista, stili alquanto distinti e talvolta persino contraddittori. Una simile varietà, tuttavia, è sempre il risultato di un’evoluzione, effetto di una maturazione personale. Questo è vero anche per la prima parte della carriera di Picasso: il periodo blu fu seguito dal periodo rosa, il periodo rosa dal cubismo. Il 1917, anno in cui si colloca appunto l’inizio di questa mostra, segna tuttavia una definitiva inversione di tendenza: Picasso smette di sostituire una data maniera con un’altra e non scarta più nulla, inventando stili sempre nuovi senza mai eliminare quelli precedenti. Negli anni, anzi, si costruisce un incredibile arsenale di forme e approcci al quale attinge liberamente ogni volta che ne ha voglia o che lo ritiene opportuno. Di conseguenza non gli parrà affatto strano dipingere, nell’arco dello stesso mese o persino dello stesso giorno, un Arlecchino “neoclassico” e una versione cubista o magari surrealista dello stesso personaggio teatrale.
L’estrema libertà nei confronti del proprio corpus di opere e l’intenso desiderio di mantenere vivo qualsiasi prodotto creato dalle sue mani per rivisitarlo costantemente senza mai sentire il peso del concetto di “evoluzione” cronologica è appunto ciò che, a nostro avviso, contraddistingue Picasso a partire dal soggiorno romano del 1917 e per tutto il ventennio successivo, senz’altro il più eterogeneo della sua carriera.”.
Il titolo “Arlecchino dell’arte” vuole quindi essere una metafora.
“Arlecchino può essere qualsiasi cosa desideri e Picasso, che era all’apice della sua produttività e poteva adottare contemporaneamente gli stilemi del cubismo, del neoclassicismo, del surrealismo e dell’espressionismo, aveva diverse affinità con questa maschera leggendaria”.
A testimoniare quest’interesse, la mostra presenta ben quattro diverse interpretazioni che Picasso dà di questo soggetto: il classico Arlecchino (Ritratto di Léonice Massine) del 1917 (Museu Picasso, Barcelona), lo splendido Arlecchino suonatore cubista del 1924 (The National Gallery of Art, Washington D.C.), l’Arlecchino astrattista del 1927 (The Metropolitan Museum of Art, New York) e la Testa di Arlecchino surrealista sempre del 1927 (collezione privata).
Per Picasso, Roma rappresenta il momento in cui, dopo la crisi del cubismo, l’artista sceglie di recuperare la tradizione classica, decidendo che nulla va scartato e tutto può entrare a far parte del proprio arsenale artistico. In occasione della mostra, torna per la prima volta nella capitale dal 1917 L’Italienne (Fondazione Collezione E. G. Bührle, Zurigo), allegra scomposizione cubista di una fanciulla italiana con il profilo del cupolone di San Pietro sullo sfondo, che Picasso dipinse durante il suo soggiorno romano.
Nel 1925 Picasso, ormai stanco di alternare solo due stili, il cubismo e il neoclassicismo, si accostò al surrealismo e, pur senza mai legarsi al movimento, superò tuttavia i surrealisti nel realizzare il loro programma artistico, poiché sapeva meglio della maggior parte di loro come evitare la trappola di illustrare una teoria creando un’immagine. Sempre nella seconda metà degli anni Venti, Picasso diede anche una seconda possibilità a quell’astrattismo che aveva rifiutato nel periodo di massimo sviluppo del cubismo, come testimonia, tra gli altri, un capolavoro come Due donne davanti alla finestra (1927, Museum of Fine Arts di Houston).
Nei primi anni Trenta, probabilmente in reazione alle pratiche decisamente antipittoriche delle avanguardie, Picasso ricominciò a considerare Matisse un suo interlocutore, come se volesse fare di lui il nuovo rappresentante vivente della tradizione analizzando l’intenso rapporto del più anziano pittore con l’opera di Cézanne, Gauguin, van Gogh e Seurat. Poiché tuttavia il modello adottato dopo il soggiorno romano non prevedeva alcuna “sostituzione”, Picasso continuò a dialogare con la tradizione neoclassica in vari modi, in particolare nella straordinaria serie di cento incisioni nota come Suite Vollard, eccezionalmente presente integralmente in questa mostra (National Gallery of Canada, Ottawa).
Sempre negli anni Trenta l’artista spagnolo tornò a interessarsi al ritratto, un genere che gli consentiva di adottare stili ancora più eterogenei e di passare liberamente da una maniera all’altra a seconda del suo rapporto col modello. “Anche nei momenti più gioiosi, tuttavia”, scrive Bois, “Picasso non dimenticava la cupa realtà del mondo circostante“. In questo periodo Picasso si concentra sul futuro di un mondo che sembrava sprofondare rapidamente nel caos e nella brutalità (con l’ascesa di Hitler, lo stalinismo e soprattutto con la guerra spagnola). Per molti versi il capolavoro di questi anni, Guernica, era stato lungamente preparato da una serie di quadri raffiguranti scene violente: sanguinose corride, come quelle turbinose presentate in mostra nei dipinti del Philadelphia Museum of Art e del University of Michigan Museum of Art, e donne in lacrime, come si vede nelle drammatiche tele della Fondation Beyeler di Basilea e del Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia di Madrid.
Il Picasso che emerge da questa ricchissima mostra, è un artista straordinariamente onnicomprensivo e proprio per questo è restato tanto a lungo un punto di riferimento imprescindibile per molti artisti più giovani e al tempo stesso divenne un ostacolo così difficile da superare per coloro che erano alla ricerca di uno stile originale. Mantenere viva la tradizione continuando a trasformarla: per Picasso era questa la scelta indispensabile.
La Roma di Picasso. Un grande palcoscenico (17 febbraio – 2 maggio 1917)
La sezione documentaria informativa, a cura di Alessandro Nicosia, apre il percorso e vuole mettere in evidenza attraverso lettere, fotografie e materiali originali, contesti e dinamiche del viaggio a Roma compiuto da Picasso dal 17 febbraio al 2 maggio 1917. Questo soggiorno romano ha dato luogo a numerose analisi e interpretazioni volte a valutare quanto il rapporto con l’Italia abbia rappresentato per l’artista la motivazione o quantomeno il presupposto di una svolta stilistica e formale che non sarebbe avvenuta, o forse non in quei termini, se Picasso non avesse visitato e visto con i propri occhi il tempio della classicità. Ma quelle dieci settimane sono anche l’occasione per incontrare nuove e vecchie conoscenze, amici italiani, frequentare caffè e atelier, confrontarsi con le avanguardie italiane, iniziare una storia d’amore che si sarebbe coronata in un matrimonio l’anno successivo e, soprattutto, realizzare due capolavori: Arlecchino e donna con collana e L’Italienne, di proprietà della Fondazione Collezione E. G. Bührle, che eccezionalmente dopo novant’anni torna a Roma.
La vita
Pablo Ruiz Picasso nasce il 25 ottobre 1881 a Malaga, figlio di Maria Picasso y López, di lontane origini liguri, e Josè Ruiz Blasco. Professore alla Scuola delle Arti e dei Mestieri, conservatore del museo della città e pittore di decorazioni, Josè dà le prime nozioni di disegno e pittura al piccolo Pablo, che dimostra sin da bambino un talento straordinario.
Dopo aver frequentato corsi d’arte a La Coruña e Barcellona, dove segue i trasferimenti della famiglia, Picasso vince il concorso per l'Accademia Reale a Madrid. Sono anni di lavoro furioso ed eclettico, nei quali adotta definitivamente il cognome della madre come nome d'arte, per il suo suono, dirà lui, più raro di Ruiz, o forse a causa del conflitto sempre più grave tra padre e figlio. E’ al caffé “scapigliato” di Barcellona, Els Quatre Gats, che Picasso allestisce con buon successo la sua prima mostra personale. Nella città catalana Pablo diventa un "personaggio", amato e odiato, ma il desiderio di ampliare i propri orizzonti è forte e nel 1900 si trasferisce a Parigi.
Sono gli anni in cui Montmartre e Montparnasse sono il centro della vita artistica europea, Picasso frequenta tra gli altri Breton, Modigliani, Apollineaire, Gertrude Stein e Max Jacob. Stilisticamente, questo viene definito il suo "periodo blu" (1901-1904), nel quale egli utilizza per lo più toni freddi, in una pittura cupa quasi monocromatica che raffigura gli emarginati dalla società.
Gli anni successivi (1905-1907) sono quelli del “periodo rosa", più allegro nelle cromie del rosa e dell’arancione e grazie alla comparsa del soggetto del circo e della figura di Arlecchino, ma sempre velato di malinconia. Picasso frequenta Fernande Olivier e molti di questi lavori risentono positivamente della relazione tra i due, oltre che del contatto con la pittura francese.
A venticinque anni Picasso é già un artista affermato, non solo come pittore, ma anche come scultore ed incisore. Ispirato dalle maschere africane esposte al Musée de l'Homme, al Trocadero, Picasso dipinge Les demoiselles d'Avignon, dove l’abolizione della prospettiva e i piani taglienti della composizione mirano a coinvolgere lo spettatore in una quarta dimensione, quella della mente.
Le idee sviluppate in questo periodo, detto “africano” (1907-1909), porteranno poi alla definizione di uno dei più importanti movimenti artistici del secolo: il cubismo.
Il cubismo in Picasso può essere anch’esso diviso in due periodi: "analitico" (1909-1911) e "sintetico" (1912-1913). Se nel primo, l’artista si focalizza sulla rappresentazione del soggetto contemporaneamente sotto tanti punti di vista, nel secondo inizierà ad inserire nelle composizioni frammenti di carta, carta da parati e carta di giornale. Nel 1912 un’altra donna entra nella sua vita: Marcelle Humbert, che Picasso chiama Eva, dedicandole molti quadri di questo periodo.
Con lo scoppio della prima guerra mondiale, però, Parigi cambia volto: alcuni amici di Pablo, come Braque e Apollinaire, partono per il fronte, mentre l’artista, pacifista convinto, resta neutrale. E’ la morte di Eva per tubercolosi, un colpo durissimo per Picasso, a portarlo in contatto con Jean Cocteau, che gli propone di disegnare i costumi per il nuovo spettacolo dei Ballets Russes di Sergei Diaghilev: Parade. In quest’occasione, a Roma, Pablo conoscerà una ballerina, Olga Kokhlova, che diventerà ben presto moglie e sua nuova musa ispiratrice e dalla quale avrà un figlio, Paulo. Il soggiorno romano porta l’artista a riscoprire il valore della tradizione giungendo ad esiti neoclassici, memori di artisti come Ingres. Nel 1927, Picasso lascia la moglie per la diciassettenne Marie-Thèrése Walter, da cui avrà una figlia, Maya.
Nel corso degli anni trenta il leit-motiv dell’arlecchino viene sostituito da quello del Minotauro, frutto dell’influenza surrealista. Nel 1936, scoppia la guerra civile spagnola, che oppone i repubblicani ai fascisti del generale Franco; Picasso simpatizza per i repubblicani e molti suoi amici si uniscono addirittura alle Brigate Internazionali. Il 1937 é l'anno dell'Esposizione Universale di Parigi e per l'occasione Picasso crea la sua opera più nota: Guernica, dal nome della città basca distrutta dall’aviazione tedesca il 26 aprile 1937 in un attacco, che aveva provocato una sanguinosa strage tra i civili. La realizzazione dell’opera è documentata dalla fotografa Dora Maar, che nel frattempo ha sostituito Marie-Thérèse al fianco dell’artista.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, Picasso si lega a Françoise Gilot, una giovane studentessa d'arte, da cui ha altri due figli, Claude e Paloma, e che sarà l’unica donna a lasciarlo, un duro colpo per l’artista, che ormai settantenne inizia a percepire il declino fisico. Pablo non rimane solo a lungo, trovando conforto in Jacqueline Roque, che rimarrà con lui per gli ultimi vent’anni della sua vita, diventando sua moglie nel 1961.
Ormai Pablo Picasso é non solo un'autorità artistica in tutto il mondo, con mostre e riconoscimenti che si susseguono senza sosta, ma una vera e propria celebrità e come tale è assillato dalla stampa, che pare più interessata alla sua tumultuosa vita privata che alla sua opera. Per sfuggire a Cannes, dove era ormai diventato un’attrazione turistica, Picasso acquista prima il castello di Vauvenargues e poi una residenza a Mougins, in Provenza, dove muore per un attacco di cuore l'8 aprile 1973. Aveva 92 anni.
Inaugurazione 10 ottobre 2008
Complesso del Vittoriano
via San Pietro in Carcere - Roma
Orario: lun-gio 9.30-19.30, ven-sab 9.30-23.30, dom 9.30-20.30
Biglietti: euro 10, ridotto euro 7.50