La scultura di Pina Inferrera lascia trasparire la propria autorganizzazione pur nella opacita' del suo medium plastico, appena recuperato dagli estrusi industriali di scarto. Si direbbe che metta in luce le sue venature non meno dell'antica statuaria. Vi scorre linfa, energia. Come la scienza indaga nell'autorganizzazione dei fenomeni fisici, così l'arte ha preso a esplorare l'autoreferenzialita' dei suoi linguaggi rispetto al sostrato di energia e materia, oltre che ai vari sistemi di rappresentazione.
Crisalide di Cris
Installazione
A cura di Tommaso Trini
Vene di luce
Anche la plastica ha, per così dire, un'anima. C'è una parte
dell'arte contemporanea che ha tralasciato di occuparsi del
posizionamento dei suoi segni, secondo una pronunciata ottica
modernista, in relazione al mondo esterno, ovvero davanti o dietro il
supporto delle superfici e dei volumi, per concentrarsi invece sullo
spessore interno ai supporti, su tale vascolarità intima, e forse
postmoderna, dell'opera. Questa si auto-organizza: come? La scultura di
Pina Inferrera lascia trasparire la propria autorganizzazione pur nella
opacità del suo medium plastico, appena recuperato dagli estrusi
industriali di scarto. Si direbbe che metta in luce le sue venature non
meno dell'antica statuaria. Vi scorre linfa, energia.
Come la scienza indaga nell'autorganizzazione dei fenomeni fisici,
così l'arte ha preso a esplorare l'autoreferenzialità dei suoi
linguaggi rispetto al sostrato di energia e materia, oltre che ai vari
sistemi di rappresentazione. Consideriamo la stato embrionale di tutte o
quasi le opere di Inferrera - tali da configurarsi, le più recenti,
come crisalidi. Più che il processo di metamorfosi, esse visualizzano
l'atto minimo di un linguaggio plastico che è teso a significare la
crisalide, questo stadio di transizione, a ridosso dell'estruso filato -
giacché Pina traspone, non trasforma.
E' bastato un gesto percorso da
un'idea, e tutti i grovigli di estrusi filati ritenuti, o scartati,
dall'industria assurgono a grovigli metamorfici, trasferiti in un
processo di significazione. Un lievissimo fiat divide l'arte di
Inferrera dalla tecnologia originaria. Sicché io l'assimilerei, non
alla vaga somiglianza con le plastiche bruciate di Alberto Burri, che
pure la precedono nel tempo, bensì alle chiazze pittoriche del
minimalismo concettuale. Come la "macule" di Niele Toroni riducono
all'essenza la pratica pittorica di intingere un pennello fra il
barattolo di colore e la superficie maculata (quasi che lo intingesse
nella storia della pittura per riporla nei barattoli dei colori), così
Pina Inferrera agglomera al minimo il volume sculturale quand'è ancora
nel bozzolo di
un'estrusione. L'arte al femminile delle donne artiste ha molto
contribuito, specie per la franchezza delle trasparenze ottiche, a
imporre la priorirà dell'analogia dell'artefatto coi principi
dell'organismo che si autorganizza. Inferrera ce ne offre un lucore
insegretito.
L'installazione reticolare delle sue germinazioni tanto si espande
nell'ambiente, quale mantello plastico su una superficie in apparenza
planare, quanto si contrae allo stesso tempo in nodi di luce
(metaforicamente, in lucciole, polle di vita), coinvolgendo spazio,
spettacolo, e spettatori, in una dimensione sferica che pronuncia cupole
e maternità .
Certo, una volta impalcata nello spazio della performance, qual
è ormai ogni mostra a base di strutture sempre più formalmente
corporali, l'artista non rinuncia a narrare le connotazioni ondivaghe
che le sue opere sottendono con la complicità dei titoli; ma si tratta
di messa in scena, la cui estensione narrativa immette l'artista fra gli
spettatori.
La materialità neoplastica della scultura di Inferrera non
richiede particolare attenzione. Ritengo molto più interessante la sua
testura fibrosa, prossima al derma quando non alla fluidodinamica
arteriosa. Sottolineare in questo caso l'uso di filati plastici
industriali non aggiunge granché alla storia veridica del reciclaggio
- ormai centenario - degli scarti della produzione chimica e meccanica
da parte delle esperienze estetiche moderniste. Se per l'oggetto
dada-surrealista i frammenti artificiali sostituivano la creta o la cera
allo scopo di trasporre tutto il reale nel linguaggio, ora la plastica
sostituisce la carne in vitro allo scopo di fluidificare i linguaggi
dell'arte con il virtuale e l'essere. Si completano i sogni circolari.
Sculture e installazioni di Pina Inferrera sono sempre
performative, anche quando non si aprono all'azione scenica, com'è
spesso il caso, per la buona ragione che vi si configura invariabilmente
un organismo. Tali sono i barbigli filamentosi e le scaglie
autoriproducenti che aprono il percorso del suo lavoro a metà degli
anni 90; e, con maggiore evidenza, lo sono le successive strutture a
valenza corporea che, come il rubicondo gilet tutto intinto nel colore
odoroso del vino, manifestano aderenza al sostegno antropomorfo della
figura umana o alla volatilità zoomorfa dei portatori di luce - quasi
di luminiscenza. Nella varia articolazione delle sue concrezioni
plastiche, Pina Inferrera vascolarizza di umori, luce, e fluida
sensibilità , lo sfarfallare di un ampio spettro di relazioni con la
materia e lo spirito.
Lontana è l'alchimia perversa che ancora pietrifica l'umanitÃ
dei corpi vascolarizzati nella Cappella di San Severo a Napoli. Lontane
sono la moda e le opere che la moda perverte. L'arte di Pina Inferrera
vuole sprigionare farfalle senza predisporre reti per acchiapparle.
Tommaso Trini
Inaugurazione: lunedì 25 febbraio alle ore 18.30
Segue: "Le vendette della tecnologia". Conversazione con R. Borghi, L. Giudici, M.R. Pividori e T. Trini
Apertura: tutti i giorni dalle ore 16.30 alle ore 20.00 _Chiuso: venerdì, sabato e festivi
Circolo Culturale Bertolt Brecht
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