Circolo Culturale Bertolt Brecht. Spazio2
Milano
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Pina Inferrera
dal 24/2/2002 al 8/3/2002
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Segnalato da

Anna Rodolfi



approfondimenti

Pina Inferrera
Tommaso Trini



 
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24/2/2002

Pina Inferrera

Circolo Culturale Bertolt Brecht. Spazio2, Milano

La scultura di Pina Inferrera lascia trasparire la propria autorganizzazione pur nella opacita' del suo medium plastico, appena recuperato dagli estrusi industriali di scarto. Si direbbe che metta in luce le sue venature non meno dell'antica statuaria. Vi scorre linfa, energia. Come la scienza indaga nell'autorganizzazione dei fenomeni fisici, così l'arte ha preso a esplorare l'autoreferenzialita' dei suoi linguaggi rispetto al sostrato di energia e materia, oltre che ai vari sistemi di rappresentazione.


comunicato stampa

Crisalide di Cris
Installazione

A cura di Tommaso Trini

Vene di luce

Anche la plastica ha, per così dire, un'anima. C'è una parte dell'arte contemporanea che ha tralasciato di occuparsi del posizionamento dei suoi segni, secondo una pronunciata ottica modernista, in relazione al mondo esterno, ovvero davanti o dietro il supporto delle superfici e dei volumi, per concentrarsi invece sullo spessore interno ai supporti, su tale vascolarità intima, e forse postmoderna, dell'opera. Questa si auto-organizza: come? La scultura di Pina Inferrera lascia trasparire la propria autorganizzazione pur nella opacità del suo medium plastico, appena recuperato dagli estrusi industriali di scarto. Si direbbe che metta in luce le sue venature non meno dell'antica statuaria. Vi scorre linfa, energia.

Come la scienza indaga nell'autorganizzazione dei fenomeni fisici, così l'arte ha preso a esplorare l'autoreferenzialità dei suoi linguaggi rispetto al sostrato di energia e materia, oltre che ai vari sistemi di rappresentazione. Consideriamo la stato embrionale di tutte o quasi le opere di Inferrera - tali da configurarsi, le più recenti, come crisalidi. Più che il processo di metamorfosi, esse visualizzano l'atto minimo di un linguaggio plastico che è teso a significare la crisalide, questo stadio di transizione, a ridosso dell'estruso filato - giacché Pina traspone, non trasforma.

E' bastato un gesto percorso da un'idea, e tutti i grovigli di estrusi filati ritenuti, o scartati, dall'industria assurgono a grovigli metamorfici, trasferiti in un processo di significazione. Un lievissimo fiat divide l'arte di Inferrera dalla tecnologia originaria. Sicché io l'assimilerei, non alla vaga somiglianza con le plastiche bruciate di Alberto Burri, che pure la precedono nel tempo, bensì alle chiazze pittoriche del minimalismo concettuale. Come la "macule" di Niele Toroni riducono all'essenza la pratica pittorica di intingere un pennello fra il barattolo di colore e la superficie maculata (quasi che lo intingesse nella storia della pittura per riporla nei barattoli dei colori), così Pina Inferrera agglomera al minimo il volume sculturale quand'è ancora nel bozzolo di un'estrusione. L'arte al femminile delle donne artiste ha molto contribuito, specie per la franchezza delle trasparenze ottiche, a imporre la priorirà dell'analogia dell'artefatto coi principi dell'organismo che si autorganizza. Inferrera ce ne offre un lucore insegretito.

L'installazione reticolare delle sue germinazioni tanto si espande nell'ambiente, quale mantello plastico su una superficie in apparenza planare, quanto si contrae allo stesso tempo in nodi di luce (metaforicamente, in lucciole, polle di vita), coinvolgendo spazio, spettacolo, e spettatori, in una dimensione sferica che pronuncia cupole e maternità.

Certo, una volta impalcata nello spazio della performance, qual è ormai ogni mostra a base di strutture sempre più formalmente corporali, l'artista non rinuncia a narrare le connotazioni ondivaghe che le sue opere sottendono con la complicità dei titoli; ma si tratta di messa in scena, la cui estensione narrativa immette l'artista fra gli spettatori.

La materialità neoplastica della scultura di Inferrera non richiede particolare attenzione. Ritengo molto più interessante la sua testura fibrosa, prossima al derma quando non alla fluidodinamica arteriosa. Sottolineare in questo caso l'uso di filati plastici industriali non aggiunge granché alla storia veridica del reciclaggio - ormai centenario - degli scarti della produzione chimica e meccanica da parte delle esperienze estetiche moderniste. Se per l'oggetto dada-surrealista i frammenti artificiali sostituivano la creta o la cera allo scopo di trasporre tutto il reale nel linguaggio, ora la plastica sostituisce la carne in vitro allo scopo di fluidificare i linguaggi dell'arte con il virtuale e l'essere. Si completano i sogni circolari.

Sculture e installazioni di Pina Inferrera sono sempre performative, anche quando non si aprono all'azione scenica, com'è spesso il caso, per la buona ragione che vi si configura invariabilmente un organismo. Tali sono i barbigli filamentosi e le scaglie autoriproducenti che aprono il percorso del suo lavoro a metà degli anni 90; e, con maggiore evidenza, lo sono le successive strutture a valenza corporea che, come il rubicondo gilet tutto intinto nel colore odoroso del vino, manifestano aderenza al sostegno antropomorfo della figura umana o alla volatilità zoomorfa dei portatori di luce - quasi di luminiscenza. Nella varia articolazione delle sue concrezioni plastiche, Pina Inferrera vascolarizza di umori, luce, e fluida sensibilità, lo sfarfallare di un ampio spettro di relazioni con la materia e lo spirito.

Lontana è l'alchimia perversa che ancora pietrifica l'umanità dei corpi vascolarizzati nella Cappella di San Severo a Napoli. Lontane sono la moda e le opere che la moda perverte. L'arte di Pina Inferrera vuole sprigionare farfalle senza predisporre reti per acchiapparle.
Tommaso Trini

Inaugurazione: lunedì 25 febbraio alle ore 18.30

Segue: "Le vendette della tecnologia". Conversazione con R. Borghi, L. Giudici, M.R. Pividori e T. Trini

Apertura: tutti i giorni dalle ore 16.30 alle ore 20.00 _Chiuso: venerdì, sabato e festivi

Circolo Culturale Bertolt Brecht
Via Padova, 61_20127 Milano Tel/fax_02 26820454

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