Le invenzioni dell'artista ruotano intorno ad una forma che e' la sintesi di molte forme possibili: una sorta di mandorla oblunga in cui risuona un vasto repertorio di archetipi. Essa e' la forma ideale per veicolare, l'organico e l'inorganico, l'umano e il divino, l'artificiale e il naturale.
La sua pittura e la sua scultura sono fuse in un’unica cosa, ed esprimono una felice unione della materia e del colore. E’ questo il senso della ricerca artistica dell’ultimo periodo di Domenico Difilippo.
Le invenzioni di Domenico Difilippo ruotano intorno ad una forma che è la sintesi di molte forme possibili. Si tratta di una sorta di mandorla oblunga in cui risuona un vasto repertorio di archetipi. Essa è bocca e sesso, orizzonte palpitante di luce e alone mistico, ferita e palpebra socchiusa, pietra scheggiata e canoa, foglia e petalo. In altre parole è la forma ideale per veicolare, facendoli continuamente trapassare l’uno nell’altro, l’organico e l’inorganico, l’umano e il divino, l’artificiale e il naturale.
Due sono i modi, rispettivamente complementari, in cui l’artista si serve di questo nucleo originario. Da un lato riportandolo al contesto del quadro, con quel che ne discende in termini di rapporto figura-sfondo. Dall’altro collocandolo direttamente nello spazio ambientale, vuoi a parete vuoi a terra vuoi nell’aria, in modo tale da liberare tutto il potenziale dell’illuminazione ambientale, delle ombre portate, dei giochi percettivi.
Per addentrarsi in questa diarchia strutturale, compositiva e semantica torna molto utile rifarsi a due titoli particolarmente emblematici con cui lo stesso Difilippo suggella il proprio lavoro. Angeli e Icone sono infatti apparizioni di specie diversa, anche se dal punto di vista del rapporto col sacro esse possono apparirci confinanti e quasi sovrapponibili.
L'Angelo è una presenza che giunge dallo spazio esterno, illimitato, metafisico, come del resto ci testimonia il significato della parola anghelos nel greco antico: colui che annuncia, il messaggero. L'Icona è la trasposizione in termini metaforici, linguisticamente codificati, di quell'annuncio, di quel messaggio: dunque una scrittura per immagini, una superficie istoriata di cifre.
Angeli e Icone costituiscono le due polarità estreme - quella della presenza flagrante e quella della sostituzione simbolica - della ricerca dell'artista. Entrambi sono ugualmente necessari alla mitologia di Difilippo: ne sostengono la genesi, ne incarnano i significati, ne esprimono l'essenza filosofica. I loro colori puri, saturi di luce, refrattari ad ogni compromesso chiaroscurale, chiedono allo sguardo di azzardare il salto nel vuoto, di perdersi e forse addirittura di annullarsi nell'immagine, per identificarsi pienamente con essa.
Percorso cosciente o illuminazione improvvisa? Nascita o ritorno al concepimento? Lo spazio pittorico e scultoreo di Difilippo vive di queste duplicità, di queste tensioni, di questi punti di domanda. L'occhio non vede, non conosce le risposte, non elabora le strategie di appropriazione della realtà, ma piuttosto ne è esso stesso vittima compiacente. E' quanto sembrano volerci dire due opere realizzate dall'artista ormai trent’anni fa, L'Io marino alla deriva e dieci anni dopo L'Io conservato, in cui l'organo della vista diviene object trouvè, residuo di una vita cosciente che fagocita, insieme agli oggetti, se stessa. Consumandosi nella passione per la vita tutta intera. Enrico Maria Davoli
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