Storie di ordinaria straordinarieta'. "Gatti e' un erede attuale del Realismo magico in pittura, nipote spirituale della sensibilia' di Donghi e Casorati". (Marialivia Brunelli).
di Marialivia Brunelli
Un universo silenzioso, ovattato, in cui dominano la pace e l’armonia, la solida concretezza di un quotidiano fatto di piccole cose di valore. Le opere di Gigi Gatti appartengono a un universo che sentiamo ci appartiene, perché è quello delle nostre radici. Un universo pre-consumistico, pre-televisivo, in cui i bambini anziché con la Playstation giocavano ancora con i trenini e con le trottole, coi soldati di piombo e con le macchinine. Un universo in cui c’erano la mamme che cucivano addosso vestiti di Carnevale da Arlecchino ai propri figli, in cui c’era ancora il piccolo circo di paese ora in via di estinzione.
Ma ha senso oggi dipingere queste nostalgie del passato? Ha senso se si hanno le antenne sensibili per captare il mutamento in atto nella società odierna. La crisi che stiamo vivendo ci sta portando a riconsiderare, anche nel mondo dell’arte, il valore dell’artigianalità del fare, l’importanza delle nostre radici. Recuperare le proprie origini può essere una delle modalità per riappropriarsi di un’identità che si sta perdendo, che si sente sfuggire fagocitati dai ritmi della contemporaneità. L’importante è capire che il quotidiano può essere, in ogni tempo, portatore di magia. Come diceva un grande scrittore dell’epoca evocata da Gatti nelle sue opere,“Immaginazione, fantasia: ma niente di simile al favolismo delle fate: niente milleunanotte. Piuttosto che di fiaba, abbiamo sete di avventura.
La vita più quotidiana e normale, vogliamo vederla come un avventuroso miracolo”. Queste parole di Massimo Bontempelli, lo scrittore che in Italia applicò alla letteratura l’espressione di “Realismo magico”, sono molto adatte per esprimere le atmosfere che i quadri di Gigi Gatti riescono a ricreare.
Gatti è un erede attuale del Realismo magico in pittura, nipote spirituale della sensibilità di Donghi, Casorati, Cagnaccio di San Pietro. Come questi suoi amati predecessori rifiuta l’avanguardia per rifarsi alla tradizione nazionale, prendendo particolare spunto dalla figurazione classica del Trecento e del Quattrocento italiano. Come in Donghi infatti il segno è preciso, curato in ogni particolare e definito nello spazio. Come in Casorati ogni scena dipinta è immobile, incantata, immersa in un’atmosfera di magica sospensione. Come in Cagnaccio di San Pietro i personaggi vivono una situazione di classicità assorta. Il senso di solitudine e di attesa che permea le opere di Gatti ha poi corrispettivi anche nella silenziosa desolazione dei dipinti di Hopper, dove il senso di sospensione del quotidiano si mescola a una sottile inquietudine. A queste dominanti della pittura colta fa eco inoltre l’influenza del mondo dell’illustrazione e del fumetto che l’artista ha frequentato a lungo, dai tempi in cui lavorava come cartoonist e illustratore per la rivista “Linus”.
Al di là di questi riferimenti formali, forse quello che più colpisce lo spettatore guardando le opere di Gatti è il senso di tempo dilatato che emanano i personaggi delle sue opere. Sembra sempre che abbiano moltissimo tempo a disposizione per quello che stanno facendo, che conoscano bene i sentimenti della noia e dell’ozio, il senso del riposo e del tempo libero. C’è chi gioca con la trottola e chi costruisce un castello di sabbia al mare, chi si allena come mangiafuoco e chi a stare in equilibrio su una corda: l’uomo è ancora padrone del suo tempo e si può permettere il lusso di perderlo in attività futili in cui però ritrova se stesso.
Quelle di Gatti sono storie di “straordinaria ordinarietà”, come lui le definisce, fotografie a olio di un quotidiano narrato per istanti minimali che l’artista decide di cristallizzare e mitizzare. Ma a ben vedere c’è sempre un elemento che rompe il senso di quiete totale che la scena rappresentata potrebbe trasmettere: un aereo che passa in lontananza, una nave all’orizzonte, un cane che abbaia, un’automobile in transito. O semplicemente, in un interno, una macchinina, un trenino, addirittura un topo con le ruote che movimenta quella stasi da domenica pomeriggio assolata, quando anche l’aria è immobile. La signora annoiata con il cagnolino che si rigira tra le mani una piccola palla con cui verosimilmente fa giocare il cane, ha sul tavolo di fianco un mappamondo, a evocare un desiderio di fuga verso una lontananza mitica. La stessa lontananza vagheggiata dal marinaio che, chiuso tra le mura della sua casa, contempla una nave dentro una bottiglia. “Sono personaggi alla Salgari, che scrive di tigri senza però averle mai viste”, spiega l’artista.
Nelle ultime opere di Gatti emerge in maniera evidente un avvicinamento alla poetica di “Valori Plastici”: lo si coglie nella monumentalità statuaria delle sue figure (Sironi), in una ricercata semplificazione formale (Rosai), nella sobrietà e nella essenzialità del paesaggio (Carrà), spesso caratterizzato da una spiccata bidimensionalità, di ascendenza giottesca e masaccesca. E proprio per riprodurre l’effetto della pittura murale pre-rinascimentale, dopo averli dipinti con la tecnica dell’olio su tavola attraverso una paziente serie di velature, Gatti crea delle graffiature sui suoi dipinti con oggetti abrasivi appositamente studiati per conferire loro l’aspetto di affreschi sbiaditi dal tempo. Alla ricerca di quelle suggestioni cromatiche che ci incantano ancora davanti a un’opera di Piero della Francesca o di Simone Martini.
Inaugurazione 30 maggio ore 18
Galleria del Carbone
via del Carbone, 18/A - Ferrara
Lunedi' - venerdi' 17-20, sabato e festivi 11-12.30 e 17-20, martedi' chiuso
Ingresso libero