Proiezioni sentimentali 3. Dal disegno alla pittura alla fotografia, i suoi molteplici campi di interesse hanno un comune denominatore, ovvero la composizione dell'opera.
a cura di Adelinda Allegretti
Mauro Martin è un artista che non pochi addetti ai lavori definirebbero “completo”. Dal disegno alla pittura alla fotografia, i suoi molteplici campi di interesse hanno un comun denominatore, ovvero la composizione, la struttura dell’opera. Ad ogni linguaggio visivo, infatti, per Martin sottende la medesima regola: quella pulizia formale e quel rigore di impostazione che nel Rinascimento era alla base di ogni creazione artistica.
Credo debba essere questa la giusta introduzione non solo alla mostra fotografica romana, ma all’intero corpus dell’operato di Martin. La prima considerazione che permette, anche ad un pubblico di semplici amatori, di comprendere appieno lo spirito della sua ricerca.
La mostra, nel suo specifico, è costituita da cinque sezioni, alcune caratterizzate da un importante coinvolgimento autobiografico, altre dallo studio della Sezione Aurea, altre ancora da un rinnovato rapporto con la Natura e con la Storia.
Nella serie Geometrie della memoria, che dà inizio al percorso espositivo, l’artista narra di sé, mettendo in bella vista una serie di oggetti che poco svelano all’occhio di uno spettatore che non abbia accompagnato Martin in certi momenti della sua esistenza. Uno sguardo, una rosa, una lettera, un libro, un soprammobile persino, come pure le fotografie, rigorosamente in coppia, dei suoi genitori -unica facile intuizione-, sono attimi topici, eppure siamo lontani da ogni tentativo di mettersi a nudo. Martin non si offre affatto allo sguardo voyeuristico dello spettatore, che solo apparentemente guarda, ma in realtà non vede se non ciò che l’artista vuole che egli veda, ovvero degli oggetti disposti con eleganza formale, attenzione prospettica ed armonia cromatica su un piano di appoggio perlopiù neutro. Come non ricordare lo spazio metafisico di de Chirico o quel modo, tanto caro a Caravaggio e, prima ancora, alla pittura veneziana, di lasciare leggibili alcune parole e note in lettere, cartigli e spartiti, al fine di dare allo spettatore colto la possibilità di accedere ad indizi più concreti?
Nella serie Mitologie dell’infanzia Martin procede su questa stessa linea, svelando con parsimonia momenti e ricordi lontani nella memoria. Pinocchio, una piccola bambola, dei biscotti -persino questi rigorosamente geometrici-, il modellino di un’automobile, al tempo stesso gioco e simbolo di quella “torinesità” che contraddistingue Martin, sono ancora una volta indizi del suo essere uomo ed artista, a cui si affianca, stavolta in bella vista, “Il meccanismo del pensiero”: se prima la sua presenza aleggiava, ora il Pictor Optimus si fa tangibile e sommo riferimento.
La serie Regola aurea, di nuovo, mette in scena una serie di oggetti che diventano il pretesto per esprimere quella ricerca di perfezione cui ho accennato all’inizio di questo excursus e che, in virtù del convincimento della superiorità estetica che ne deriva, per secoli è stato il punto nodale della ricerca di pittori ed architetti, non meno che di musicisti e poeti. Non spetta a me in questa sede spiegare il complicato rapporto matematico che intercorre tra le singole grandezze che costituiscono un’immagine ricreata secondo tale regola, di cui peraltro Sezione aurea dà un concreto esempio. Ancora un appunto circa L’enigma del portapenne ligneo, in cui torna l’idea del cartiglio che sembra svelare una verità (“Il pittore rivela quello che gli spiriti gli dicono”) ma che in realtà l’astuccio continua a custodire gelosamente, perché per quanto ci si sforzi di leggere e di interpretarne il senso, la parte finale del messaggio rimane celato in quella sezione di foglio nascosta al nostro sguardo.
Mi piace leggere la serie La natura ricreata come un omaggio al virtuosismo costantemente ricercato nella storia della pittura, da Apelle in avanti. Come non vedere, in un’opera come In estate, delle affinità con la Canestra di frutta ambrosiana e con la pittura fiamminga ed olandese, dove la bravura di un artista si misurava con la sua capacità di meravigliare lo spettatore? E se qui la lente si sostituisce al pennello il concetto non cambia, perché per ottenere certa resa cromatica e certi rapporti luce-ombra, l’attesa -come confessa Martin- può essere davvero molto lunga, e comunque frutto di attento lavoro. Non è anche questo virtuosismo?
L’ultima serie esposta, Trittico della Kore, esprime un felice connubio tra Natura e Storia. Una sorta di messa in atto dell’Età dell’Oro, in cui l’abbondanza della natura, si lega, o meglio corrisponde, ad un’altrettanta levatura del pensiero. Un omaggio alla cultura greca, quale culla della nostra civiltà e, forse, picco ultimo di quel vivere dell’uomo in armonia con ciò che lo circonda. E qui, la difficoltà intrinseca nel rendere fotograficamente la perfezione e la proporzione dei singoli elementi, nonché la corretta esposizione, non si identifica forse in un rincorrere dell’uomo contemporaneo quell’antica idea di Età Aurea?
Adelinda Allegretti
Inaugurazione 14 giugno ore 18.30
SpaziOfficina Associazione Culturale
via dell'Arco di Parma, 1 - Roma
Orari: lun. e mer. 17-20; mar. e gio. 10,30-13; ven. 18,30-20
Ingresso libero