La mostra si configura come la terza tappa del ciclo dedicato al nuovo figurativo. In esposizione opere di Maria Aristova, Titus Helmke, Domenico Lasala. A cura di Giovanna Arancio.
a cura di Giovanna Arancio
La mostra si configura come la terza tappa del ciclo dedicato al nuovo figurativo. Quest’ultimo offre ora lo spunto per delineare un’interessante e diversa angolazione da cui affiorano problematiche zone scure rimaste nascoste. Anzitutto va detto che l’esposizione privilegia un confronto di ampio respiro: Russia, Germania e Italia sono rappresentate attraverso un’articolata panoramica di pittura contemporanea che le differenzia e nello stesso tempo le riunisce tramite un comune denominatore: una riflessione sul classico, sulla tradizione, sul mito.
Si sa che parlare di linguaggi significa per forza addentrarsi in territori multiformi che non si lasciano con facilità classificare in alcuna categoria di fatti umani non essendo agevole determinarne l’unità; nondimeno è possibile individuare degli ambiti, di natura individuale e sociale, entro cui trattare alcune caratteristiche espressive rilevanti dal punto di vista artistico.
Un linguaggio vitale implica una tendenza più o meno accentuata al movimento, variabile nel tempo e capace di produrre novità, alterazioni e slittamenti semantici: sono prerogative che permettono di garantire il grado di “realismo”linguisticamente indispensabile. Perciò riferirsi al carattere creativo contemporaneo presuppone un riesame e un rinvio al concetto di realismo in senso lato in base al quale si definisce quale sia il grado di incisività e di aderenza dell’arte al contesto attuale (qualsiasi aspetto formale, aformale, informale ponga in gioco): in mancanza di tali presupposti non c’è progettazione ideativa ma si ha davanti un puro atto formalistico.
Tuttavia la perduta caratura realistica del patrimonio del passato, seppure appaia irreversibile, tramuta e sostanzia la ricerca più di quanto di solito si creda; in particolare, negli ultimi decenni del secolo scorso ha ripreso vigore un diffuso e deliberato ripensamento del“classico” che continua con variazioni anche oggi. Per gli artisti ha rappresentato un guardarsi alle spalle assumendo atteggiamenti differenziati e dando risposte operative anche contradditorie fra loro; si sono manifestate reazioni dissacranti o manierate, rivisitazioni decontestualizzanti o nostalgiche, altre ancora guidate da intenti etici oltrechè estetici.
Inoltre l’odierna rapida usura dell’immagine, bruciata dall’accavallarsi dei messaggi visivi e dalla loro facilità riproduttiva, determina la perdita auratica della figura, in altre parole la deprezza , la spoglia di significanza rendendola disinvoltamente intercambiabile; pertanto affondare le radici nel retaggio classico, legato ad una diversa concezione sia del tempo sia della valenza immaginifica della visione, assicura o almeno aiuta un rinnovamento secondo i termini qualitativi di valore.
Anche il mito, etimologicamente narrazione, dopo aver percorso un lungo cammino in cui ha più volte subito un cambiamento di senso, ha esaurito la sua carica simbolica riducendosi a rappresentare un’idea “pigra”: adesso essere un mito vuol dire dirottare la mente collettiva verso uno scadente immaginario in cui predomina l’appiattimento del pensiero.
Inaugurazione sabato 30 gennaio, ore 18
Galleria Ariele
Via Lauro Rossi, 9c -Torino
orari: lunedì - sabato, ore 16-19,30
ingresso libero