Associazione Artisti Bresciani - AAB
Brescia
vicolo delle Stelle, 4
030 45222 FAX 030 2898077
WEB
Paolo Petro'
dal 29/1/2010 al 16/2/2010
lun-sab 15.30-19.30

Segnalato da

Ass. Artisti Besciani




 
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29/1/2010

Paolo Petro'

Associazione Artisti Bresciani - AAB, Brescia

L'artista impagina nelle sue opere un campionario limitato e domestico di reperti. Oggetti disposti e dislocati su piani dalle prospettive incongrue e stranianti: scodelle e tazze, vecchie posate, fermagli, pennelli e tubetti di colori...


comunicato stampa

a cura di Domenico Montalto

IL DOLCEAMARO DELLA PITTURA
Realismo e metafora nell’opera di Paolo Petrò

«La realtà è ciò che vedo con i miei occhi, non quello che vedi tu». Queste parole dello scrittore Anthony Burgess affermano, perentoriamente, la soggettività del reale. L’oggetto percepito dalla nostra coscienza è solo nostro, è retaggio di una relazione sensoriale e mentale esclusiva, forzatamente unilaterale, che non coincide – se non in misura variabile – con l’immagine che gli altri hanno della medesima cosa. Ne consegue, a stretto giro di ragionamento, l’affermazione della realtà quale stato di precarietà e di ambiguità assoluta del visibile e del pensabile: questi ultimi non sono un campo unilineare e collettivo, bensì qualcosa di fatalmente frastagliato e personale, arbitrario. Lo intuì il filosofo Merleau-Ponty nel suo capolavoro postumo, L’occhio e lo spirito (1960), quando osserva che la percezione, in quanto inscindibilmente connessa alla nostra corporeità, è soltanto un limitato campo di possibilità, e che l’«autenticità» della visione non è altro che un atto di appropriazione, probabilmente indebita. Insomma il senso dell’esistenza rimane opaco, così come l’orizzonte dello sguardo, anche se volte si aprono spiragli d’una breve e crudele luce, come avviene nei quadri di Paolo Petrò.

Con questo suo ciclo di opere recenti, relative all’ultimo triennio di lavoro, l’artista bresciano ci documenta la sostanziale continuità d’una poetica, di una sua peculiare nicchia di qualità e di sentimento nel troppo vasto e pletorico panorama della pittura «realista» contemporanea, foriera di risultati spesso deludenti, scolastici, di riporto. Per contro, Petrò indaga la realtà (quella chiusa e circoscrivibile fra le pareti dello studio, s’intende) con la medesima implacabile lucidità ottica propria degli antichi: nature morte, nudi, figure, ritratti, autoritratti vengono scolpiti da un luminismo teatrale, artefatto, drammatico. Estraneo al tonalismo e al naturalismo della tradizione pittorica lombarda, Petrò guarda direttamente a un modello epocale: Caravaggio.
Ma mentre in Caravaggio luce e controluce valevano a tradurre il miracolo della scoperta fiduciosa della realtà, l’analisi razionale della res che prendeva il sopravvento addirittura sulla storia sacra, questi dipinti stupendi di Petrò registrano la svolta fatale della modernità, ovvero sottendono la coscienza infelice. Qui, l’incidenza del lume, l’icasticità della raffigurazione esprimono il disagio dell’autore, le sue riserve, la sua discrasia rispetto all’esistere, testimoniano una dimensione psichica di umor nero che è il portato della conoscenza desolata delle cose.

Quello che Petrò impagina davanti ai nostri occhi è un campionario limitato e domestico di reperti. Niente a che vedere con le sontuose still life della lezione fiamminga e italiana dei secoli d’oro della pittura, dove lo scopo della mimesi virtuosistica era compiacere lo spettatore. In questi suoi quadri contempliamo pochi silenti oggetti disposti e dislocati su piani dalle prospettive incongrue e stranianti (un tavolino, si suppone), di scarsa o nulla ortodossia euclidea: scodelle e tazze; vecchie posate; fermagli; un bricco di peltro; pennelli e tubetti di colori da pittore; magri gomitoli di fili elettrici; un piccolo bucranio; bucce e torsoli di mele; avanzi di frutta secca; rose appena aperte. Povere apparizioni di una quotidianità a portata di mano e soprattutto d’occhio, che – traslata nella pittura – diviene poesia, instillandoci il dolce veleno della melanconia. I colori appaiono vividi ma raffinati, raccordati, non privi di sgocciolature e tracce casuali; le superfici risultano scabre e increspate, fitte di carte incollate sulla tela e poi dipinte, dove la rugosità dell’immagine diviene omologia della pena del vivere.

Il tormento delle textures e dei collages di superficie si ripropone, con enfasi magistrale, nei bellissimi nudi dalle posture talora complicate, raffigurati in un interno, abbandonati nell’intimità di una penombra grigia, dimessa. Donne e uomini dall’espressione spesso celata o sfuggente, la cui anatomia perfetta e plenitudine carnale sembra affiorare, a fatica, da una materia cauterizzata, dove la luce radiosa del corpo è vista quasi attraverso una carta carbone color cenere, in un’atmosfera cromatica spenta, bassa, livida, esprimente tenerezza e nascondimento.
Petrò insomma, con la sua pittura d’atelier, ci esibisce le vette di un caravaggismo sui generis, attualissimo, prettamente moderno e destituito di ogni implicazione metafisica. La sua arte, gentile e dura, dolcissima e amara nello stesso tempo, ci tocca le corde profonde, offrendoci – nell’inganno e nella finzione di quella realtà “altra” che è il dipingere – piccole gioie che credevamo impossibili.

Domenico Montalto

Inaugurazione 30 Gennaio 2010, alle 18

Associazione Artisti Bresciani - A.A.B.
vicolo delle Stelle 4, Brescia
orario feriale e festivo 15.30, 19.30, domenica chiuso
ingresso libero

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