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ART'E' (1999-2007) Anno 9 Numero 4 Autunno 2006



Architetture del sacro

Annachiara Cimoli





Editoriale
di Marilena Ferrari

Un’arte di fede
di Flaminio Gualdoni

Un ex voto
di Yves Klein

Architetture del sacro
di Anna Chiara Cimoli

Manzù: la Porta della Morte
di Umberto Re

Il nostro più diletto soggiorno
di Benedetta Barontini

Elogio della committenza
di Giuseppe Ducrot

Carnet di viaggio
a cura di Emanuela Agnoli
e Laura Stella

Art’è Amica
a cura di Laura Stella

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ARTICOLI DAGLI ALTRI NUMERI


Richard Meier, Chiesa del Dio Padre Misericordioso,
Tor Tre Teste, Roma,

Richard Meier, Chiesa del Dio Padre Misericordioso,
Tor Tre Teste, Roma,

Piero Sartogo, Chiesa del Santo Volto di Gesù,
Roma, 2006. Particolare della sfera di luce, opera di Marco Tirelli, 2006

Se è vero, come ha scritto Gianfranco Ravasi, che nella concezione cristiana esiste “una componente molto pesante che sposta il baricentro teologico dallo spazio al tempo”, il Giubileo ha riportato, dopo la stagione di fermento del dopoguerra con le opere di Ponti, Gardella, Figini e Pollini e molti altri, e dopo la successiva latenza, una nuova linfa alla riflessione sullo spazio sacro contemporaneo.
Metabolizzate le intuizioni del Concilio Vaticano II, e ridistribuiti con andamento centrifugo i pesi funzionali delle città, in Italia questa riflessione riguarda ormai – tranne qualche caso – le periferie urbane.
A Roma, alcuni sobborghi confusi e per certi tratti ancora pasolinianamente desolati sono così diventati destinatari di manufatti commissionati, per incarico diretto o dopo concorso, a grandi nomi della scena contemporanea.
Sul terreno arido dell’agro romano, proprio in quella Tor Vergata che ha ospitato le Giornate Mondiali della Gioventù, Italo Rota ha posato la chiesa di Santa Maria Alacocque: arca leggera, quasi risarcimento poetico del degradato contesto abitativo. Aduso a gesti pop che allargano lo spazio culturale del progetto architettonico ponendolo in contiguità con i meccanismi della moda, della pubblicità, della scena performativa (e così sollevandolo dal complesso della permanenza), qui Rota procede con grande discrezione e altrettanta raffinatezza stilizzando l’idea stessa dell’edificio religioso e riportandolo alle sue componenti essenziali.
La “casa” azzurra con copertura a capanna e rivestimento celeste, omaggio al manto della Madonna, è essa stessa un simbolo immediato – Bibbia dei poveri – dell’ascesi. La luce dorata ottenuta mediante pellicole apposte sui vetri; la grotta della Vergine e il giardino racchiusi nello svettante volume metallico a cielo aperto; la vasca d’acqua rimandano tutti a una simbologia orientale, che parla la lingua di un misticismo antico.
Rota è forse l’unico, fra gli esponenti di questa recente rinascenza, a non sentire la necessità di esplicitare il confronto con il precedente più illustre e forse più scontato: quello con il barocco romano.
All’estremo opposto, Vittorio De Feo colloca la copia di due angeli berniniani del ponte di Castel Sant’Angelo a “firma” della chiesa di San Tommaso d’Aquino, cappella dell’università di Tor Vergata. Compendio plastico di una storia stratificata che passa per San Pietro in Montorio, Sant’Andrea al Quirinale, Sant’Ivo alla Sapienza (ma anche, sempre in tema di saggezza, Santa Sofia a Costantinopoli nel sistema complesso delle coperture e delle infiltrazioni luminose, e perfino i minareti nel volume con copertura cuspidata rivestita in rame posto all’ingresso), l’edificio è soprattutto un omaggio al barocco e alla sua organizzazione spaziale, oltre che alla sua visione dell’architettura non come sfondo ma come attore compartecipe del rito.
Il pronunciamento tettonico esprime una fiducia totale nel valore della chiesa come luogo fisico di formazione, di incontro e di spiritualità.
I volumi plastici concatenati gli uni con gli altri in complessi giochi di rotazioni e disassamenti e la camera di luce, filtrata da vetri colorati, sono altrettanti omaggi all’amato Bernini.
Se De Feo ricorre all’affresco, illustre assente della scena contemporanea, diversamente riflettono sul rapporto fra arte e architettura – non già sotto la specie di synthèse des arts majeurs ma di autonomo spazio offerto alla creatività di ciascuno – Piero Sartogo e Nathalie Grenon, progettisti della chiesa del Santo Volto di Gesù alla Magliana. Il complesso, di cui fa parte anche un edificio per la catechesi, è un dispositivo di forze che organizza energicamente lo spazio attraverso il sagrato triangolare, vettore che calamita lo sguardo verso l’alta croce e che, visto da quest’ultima, è un attrattivo spazio di accoglienza.
L’abbondanza di informazioni volumetriche si depura e si ricompone mentalmente intorno alla sfera virtuale (la semicupola sul presbiterio che si proietta idealmente all’esterno determinando la concavità del muro prospiciente), epicentro del progetto. L’edificio, a elevatissima componente tecnologica (la semicupola a sbalzo poggia sulla grande vetrata circolare), è anche un piccolo museo d’arte contemporanea.
Qui sono state collocate le opere, commissionate ad hoc, di Carla Accardi (la vetrata tra la cappella feriale e l’aula ecclesiale), Chiara Dynys (le due sculture luminose con testi di Sant’Agostino nella galleria della catechesi), Mimmo Paladino (la via crucis in formelle di ceramica smaltata), Pietro Ruffo (il volto di Gesù in trasparenza nei confessionali), Marco Tirelli (la sfera luminosa nell’ambulacro), Giuseppe Uncini (la cancellata in tondini di ferro), Ignazio Breccia (il segno della consacrazione plasmato nel muro), Eliseo Mattiacci (la croce svettante all’esterno) e Jannis Kounellis (la cui opera, già progettata, non è ancora stata posta in loco).
Ancora con il barocco – ma anche con l’opera di Wright, Aalto e Le Corbusier – dialoga Richard Meier nella chiesa di Dio Padre Misericordioso a Tor Tre Teste. Impostato a partire da una maglia proporzionale composta da quattro cerchi e da una griglia di quadrati, l’edificio fluttua nello spazio aperto con le sue vele, imago Trinitatis. La teologia è quella della contiguità fra interno ed esterno; dell’ingresso dell’atmosfera, anche elemento di disturbo, nello spazio sacro.
La luce, che penetra dall’alto e lateralmente, sostanzia l’aula, trasformandola in uno spazio poroso, insieme un dentro e un fuori. Il sagrato è un pezzo del territorio piano e riarso del quartiere affacciato alla soglia della chiesa.



Anna Chiara Cimoli

Storica dell’arte, si è specializzata in museologia all’Ecole du Louvre e ha svolto un dottorato in Storia dell’Architettura e dell’Urbanistica al Politecnico di Torino. Lavora alla Fondazione Arnaldo Pomodoro di Milano ed è consulente del C.A.S.V.A. (Centro di Alti Studi per le Arti Visive) del Comune di Milano.