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Mandarino (2008) Anno 1 Numero 2 aprile- giugno 2008



Prospettive Nevskij

Andrea Sartori



Dentro e fuori luogo


Sommario Mandarino Magazine, numero 02

06 BALKANIKA, reportage , di Emilia Dissette e AAVV
E’ disponibile su richiesta il DVD del reportage Balkanika

48 THE STRANGE BIRTH BANQUET, reportage fotografico, di Michele Panzeri

58 Anteprima sugli osservatori

60 TI TRATTANO BENE I LONDINESI? di Andrea Sartori

62 PROSPETTIVE NEVSKIJ di Andrea Sartori

70 ¡SOY DESPERADA! Di Elisabetta Ramponi

72 DAI PAESI AI MESTIERI FANTASMA, Il caso della Spagna, di Raffaella Balbo

76 NELLA TANA DELLA VOLPE, Hotel Fox a Copenhagen, di Roberta Frangipane

80 IN GIARDINO, riflessione pressoché romantica sull’arte del verde, di Elisabetta Ramponi

82 JOUER AU JARDIN, di Maria Rega
ARTICOLI DAGLI ALTRI NUMERI




Sono passati oltre centosettant’anni da quando lo scrittore ucraino Nikolaj Gogol’ pubblicò il più pietroburghese dei suoi racconti, La Prospettiva Nevskij (1835).

E sembra che nulla sia cambiato da allora.

Come se l’omonima strada di San Pietroburgo a cui egli dedicò le sue celebri pagine, non fosse mai stata sottoposta agli urti di una doppia forza rivoluzionaria: quella che prima mutò il nome ufficiale del luogo in Leningrado, e che più tardi, tra le macerie del socialismo reale, ridefinì nuovamente il carattere della città, accostandola alle altre grandi metropoli europee, dalle quali il totalitarismo del potere politico l’aveva tenuta lontana.

I due eventi epocali della rivoluzione d’Ottobre e della dissoluzione dell’entità sovietica si sono dunque annullati a vicenda, elidendosi reciprocamente alla stregua di due spinte opposte e speculari, che hanno lasciato tutto come prima?

In effetti allora come oggi, lungo la Prospettiva Nevskij, d’estate, si respira un’aria cosmopolita, in cui le fogge dei nobili, dei militari e degli artigiani italiani, francesi e tedeschi sono sostituite dalle t-shirts dei turisti giapponesi, dai gessati degli uomini d’affari, e dallo stile e dalle movenze degli stessi giovani pietroburghesi, che con creatività imitano i loro coetanei d’Italia, Francia e Germania.

Mutate le condizioni storiche, la Prospettiva Nevskij pare illuminata dalla medesima luce, già in primavera mai del tutto spenta dal buio, ed altrettanto mai del tutto cristallina, ma trapuntata dalle macchie d’un grigiore residuo, d’uno sporco tipicamente nordico.

Oggi come centosettanta anni fa, San Pietroburgo è indubbiamente la più europea delle città russe, al punto che nella sua via principale le omologhe metropoli occidentali possono ravvisare dei tratti a loro famigliari, sebbene affastellati in un caleidoscopio percettivo che non manca di riprodurre delle vertiginose alterazioni prospettiche.

Apparentemente, infatti, come scriveva Gogol’, la Nevskij incarna per il pedone l’idea, l’ “odore”, della “pura passeggiata”, durante la quale le donne e gli uomini non fanno null’altro che esibire se stessi, liberi dalle preoccupazioni e dalle “necessità” proprie dei rispettivi ruoli sociali, produttivi, pubblici. Liberi, cioè, di esporre come su di un palcoscenico, o ad una mostra d’arte, il portamento, l’abito alla moda, la bellezza dei volti, gli ornamenti e gli accessori che portano con sé.

Prima ancora della Parigi di Baudelaire, quale ci è stata riconsegnata dalla penna sociologica di Walter Benjamin, San Pietroburgo con la sua Prospettiva ha pertanto dischiuso la visuale del moderno, e del desiderio che vi è implicato, fin negli aspetti più minuti ed effimeri.

Questa visuale, tuttavia, comporta anche che ciò che si vede venga colto per quel che è, nella rilucenza del suo involucro di sogno, mai del tutto identico alla realtà. Apparente. Simbolico.

Il giovane Gogol’, giungendo a San Pietroburgo intorno al 1830 con l’ingenua aspirazione di conoscere Puškin, venne non a caso colpito, come prima cosa, dalle insegne dei negozi, che da sole marcavano ai suoi occhi la differenza profonda tra la vita di città e la vita di provincia. Questi furono i simboli visibili che segnarono, quali impressioni immediate dell’occhio, la giovinezza dello scrittore. Simboli che manifestavano certo un’anima ma che anche la nascondevano, la celavano in maniera a volte eccentrica, in un modo che non poteva non stimolare la mente dell’altrettanto eccentrico Nikolaj Gogol’, aduso a parlottare fra sé e sé lungo la via, e a scambiare i propri mormorii per le risonanze acustiche delle voci dei passanti. Come ha osservato Vladimir Nabokov, il simbolismo gogoliano prende le mosse da questa marcata radice materiale, fonica e visiva: “il simbolismo, in lui, assumeva un aspetto fisiologico, ottico nella fattispecie”.

L’apparente disinteresse per le preoccupazioni materiali con cui la gente passeggia lungo la Prospettiva, fa d’altra parte sembrare che le persone che si incontrano qui siano “meno egoiste” di quelle in cui capita d’imbattersi altrove. La cura per l’abbigliamento, tipica di chi pare non avere altro pensiero per la testa, di chi si è affrancato dalle necessità del lavoro e del perseguimento dell’utile, era una costante anche ai tempi di Gogol’: “esiste una gran quantità di persone che, incontrandovi, immancabilmente volge lo sguardo ai vostri stivali, e se passate, si volta indietro a spiare le falde del vostro abito. Non sono mai riuscito a capire come ciò possa accadere. All’inizio pensavo fossero calzolai, ma non era affatto così”.

Questa considerazione, che vale ancor oggi come dato primario dell’osservazione, fa tuttavia velo a qualche cosa di più articolato, di sfuggente, ad un che di depositato sul fondo, sul retro, della visione. Nell’arco di un’intera giornata, infatti, la Prospettiva Nevskij conosce una “rapida fantasmagoria”, ovvero dei mutamenti tanto repentini quanto cadenzati. “Fino alle dodici” la strada si popola di sporadici impiegati, contadini, vecchi e vecchie che alla via come palcoscenico non pensano affatto. “Alle dodici”, invece, la via è “invasa dagli istitutori di ogni nazione con i loro pupilli in colletti di batista”. Ad un’ora più tarda, “tra le due e le tre del pomeriggio, in cui la Prospettiva Nevskij può definirsi una capitale vagante, ha luogo la principale esposizione di tutte le migliori opere dell’uomo”: ognuno si mette in mostra, e le donne si fanno desiderare. “A partire dalle quattro”, poi, “la Prospettiva Nevskij è vuota, e difficilmente potete incontrarvi sia pure un solo funzionario”. Solo al calare del crepuscolo, e ciò è valido tanto per l’autunno quanto per l’inverno, la via “rivive e incomincia a muoversi”. A quest’ora, per Gogol’, gli oggetti e le persone incontrate durante il giorno rivelano quel che sta loro dietro, sul fondo della propria immagine: “allora arriva quel momento misterioso, quando i lampioni danno ad ogni cosa una luce ingannevole, meravigliosa”.

All’inizio del XXI secolo, la scansione temporale delineata da Gogol’ mantiene una sua attualità, anche se essa va riformulata come compresenza, ad ogni ora del giorno e della notte, di diversi elementi, anziché mantenuta come srotolamento lineare lungo le ventiquattro ore delle differenti tipologie umane incontrate. Tanti esercizi commerciali, internet cafè, uffici-cambio, bar, ristoranti, non chiudono mai, e restano costantemente a disposizione di un’utenza variegata che in qualunque momento potrebbe avere bisogno di qualche cosa. Giovani ed elegantissime ragazze, agghindate per una sfilata, passeggiano accanto ad anziane babu?ke infagottate in cappotti invernali anche sotto il sole. Le coloratissime insegne in cirillico sono intervallate da quelle di Mango, KFC, Reebok, Diadora, ed ovviamente Mc Donald’s.

Tuttavia, anche nella Russia di Vladimir Putin, la Prospettiva Nevskij non dismette quell’aura d’ingannevolezza che tanto colpiva Gogol’. Il prezzo d’un simile attivismo diurno e notturno è infatti il lavoro dell’uomo, solo apparentemente spensierato e libero da preoccupazioni materiali. Rientrando alle sei del mattino dai clubs più noti come il Maghrib ed il Rossi’s (che deve il suo nome ad un architetto italiano che qui ha progettato un intero isolato dalla squadrata geometria simmetrica), i giovani pietroburghesi ricchi gettano occhiate distratte ai loro coetanei impiegati come commessi negli stores d’abbigliamento: li vedono dormire stremati dai turni ed in divisa sulle panche interne dei negozi, dove loro si provano le scarpe di giorno.

Non sorprende quanto Gogol’ scriveva a proposito d’un tipo umano che nulla sembra avere a che fare con ciò, ma che è dotato dello sguardo più idoneo ad accogliere il doppiofondo delle immagini che affollano la strada: l’ “artista” Piskarëv. “Questo giovane”, scriveva Gogol’, “era di una categoria che da noi costituisce un fenomeno alquanto strano e appartiene ai cittadini di Pietroburgo allo stesso modo in cui una figura vista in sogno appartiene al mondo reale”. Gli artisti non guardano la Prospettiva Nevskij con l’occhio dell’ “osservatore” (e dell’ “ufficiale di cavalleria”): “ciò dipende dal fatto che nello stesso tempo vedono sia i vostri tratti, sia quelli di un Ercole di gesso che sta ritto nella loro stanza; oppure perché appare ai loro occhi un quadro che per il momento è solo nella loro mente. Perciò rispondono spesso a sproposito, in modo sconnesso, e la timidezza aumenta ancor di più per gli oggetti che si mescolano nella loro testa”. Capita allora che sia l’artista, non altri, a cogliere il sortilegio nascosto della Prospettiva: “il marciapiede scorreva sotto di lui, le carrozze con i cavalli al galoppo parevano immobili, il ponte si dilatava spezzandosi nel suo arco, la casa stava con il tetto all’ingiù, la garitta ruzzolava verso di lui e l’alabarda della guardia insieme con i caratteri d’oro di una insegna e con le forbici disegnate lì sopra gli pareva brillasse proprio sulle ciglia degli occhi”.

Solo Piskarëv, od uno come lui, potrebbero oggi cogliere la logica delirante di quel mosaico di insegne, in gioiosa ed insieme malinconica dissipazione, che è divenuta la Prospettiva Nevskij: “gli parve che qualche demone avesse ridotto l’intero mondo in una gran quantità di pezzettini e li avesse poi mescolati insieme senza alcun senso, senza alcuna ragione”.

Entrare negli androni delle case, superarne la soglia blindata e protetta da telecamere e codici segreti d’ingresso, è anch’essa un’esperienza gogoliana. I palazzi, tanto paiono curati dalla facciata, quanto risaltano d’abbandono e d’oscurità all’interno, lungo le scale, gli spazi comuni, i pianerottoli. Come se Piskarëv non avesse mai smesso d’inseguire la sua amata, bella come un angelo, senza tuttavia esserlo, correndo di rampa in rampa, d’edificio in edificio, di soglia in soglia, salvo poi ritrovarsi in disadorni locali tutt’ al più drappeggiati di panni scuri impolverati, tra schegge di stucco staccatesi dalle pareti, e cadute disordinatamente a terra.

Pietroburgo, hanno rilevato gli storici e i letterati, aveva una fama di “stranezza” fino a che fu la capitale di un impero, e si può dire che questa fama, di tanto in tanto, riaffiori, soprattutto per chi vi sopraggiunge la prima volta.
Chi non è abituato alla latitudine di Pietroburgo, e si trova in città tra la primavera e l’estate, può effettivamente cadere in una condizione simile a quella del giovane pittore russo ritratto da Gogol’, e patire gli effetti delle notti bianche: “i sogni diventarono la sua vita e da quel momento l’intera sua esistenza prese uno strano andazzo; si può dire che dormiva da sveglio e vegliava nel sonno”, con “i segni della follia sul volto”.

Ha scritto Nabokov: “Un tiranno geniale aveva edificato la città principale della Russia sopra una palude e sulle ossa di schiavi che vi marcivano: qui stava la radice della stranezza, il peccato originale. Già Puškin aveva descritto l’inondazione della città ad opera della Neva come una specie d’oscura vendetta mitologica, tentativo dei geni della palude per riprendersi ciò che ad essi apparteneva; e la loro zuffa con lo zar di bronzo era una visione che aveva fatto uscire di senno uno dei primi piccoli funzionari della letteratura russa, il protagonista del Cavaliere di bronzo di Puškin”.

Il Festival delle Arti che ha luogo a Pietroburgo in giugno ? un festival esistente da cinquant’anni, aperto anche a nomi stranieri ? può certamente contribuire a moltiplicare a livello internazionale le prospettive che la Nevskij continua ininterrottamente a dischiudere, ma può anche avvalersi, forse, d’un privilegiato legame con l’Italia, e con artisti italiani. Quest’osservazione non fa in fondo che completare quanto suggeriva Gogol’, allorché parlava di artisti come il suo immaginario Piskarëv: “nei loro lavori c’è sempre un colore grigiastro opaco, incancellabile suggello del Nord. E tuttavia essi faticano con vero diletto sul loro lavoro. Spesso coltivano in sé un autentico talento, e se per poco alitasse su di loro la fresca aria dell’Italia, esso certamente si svilupperebbe così libero, ampio e chiaro, come la pianta che da una camera finalmente viene portata all’aria aperta”.

Intanto, la nuova generazione di video-artisti, scrittori e musicisti, s’incontra alla sera in locali come il Fish Fabrik, mescolando parole poetiche e suoni, note ed immagini, nel feroce ed arrabbiato tentativo di piegare le immagini dell’antica palude pietroburghese al dovere della creazione. Un dovere che fa il paio con il consumismo iper-realista dell’odierna Prospettiva Nevskij, già un passo al di là del consumismo primario, ormai storico, che l’Occidente conosce dai lontani anni ’80. A Pietrroburgo la visione degli oggetti di consumo è essa stessa consumo, inganno che s’esibisce come inganno, anzi come inganno che ormai è al di là della distinzione tra “vero” e “falso”, che ancora costituiva un problema per Gogol’, e poi per Nabokov.

Proprio uscita da una pagina di Lolita, di Nabokov, sembra essere Aleksandrja, bionda diciottenne pietroburghese che distribuisce per la strada il flyer d’invito per il suo compleanno. Qui Aleksandrja è fotografata nuda, con una sottile striscia d’adesivo nero (staccabile) a coprirle il seno chirurgicamente perfetto, in una posa che ricorda una scena di American Beauty, di Sam Mèndes. Un’accattivamente claim attira i ricercatissimi ragazzi italiani: “with the support of rich, young & sexy Russian girls!!!”

Nonostante tutto, echeggiano nella mente le parole conclusive di Gogol’: “Oh, non fidatevi della Prospettiva Nevskij! Quando ci passo m’avvolgo stretto nel mantello, e mi sforzo di non guardare gli oggetti che mi vengono incontro. Tutto è inganno, tutto è sogno, tutto è differente da quel che appare! (…) Voi credete che queste dame… ma delle dame fidatevi il meno possibile. Guardate meno le vetrine dei negozi: i gingilli che vi sono esposti sono magnifici, ma puzzano di una gran quantità di banconote. (…) E presto, il più presto possibile, passate oltre. (…) Tutto puzza d’inganno. Essa mente ad ogni ora, questa Prospettiva Nevskij”.